Un vaccino contro il diabete dei bambini

Test al San Raffaele di Milano. Con un’analisi del sangue si scopre chi è a rischio.

Un semplice esame del sangue e una pillola al giorno prima che il diabete di tipo I, quello che colpisce ogni giorno quattro bambini italiani entro i 15 anni, porti alla dipendenza da insulina.
Una sperimentazione.
Una speranza. Cento bambini in 5 anni. Poi, se funziona, il via libera. Il San Raffaele di Milano punta decisamente alla lotta al diabete.
E’ la malattia del secolo. Ne sono consapevoli anche le Nazioni Unite che l’anno scorso sono intervenute con una chiara risoluzione d’allerta, come se si trattasse di lotta al terrorismo.

E il prossimo 14 novembre sarà la prima giornata mondiale dedicata alla lotta al diabete: tutti uniti contro… Contro cosa? Una pandemia che prevede 366milioni di malati (tra tipo I e tipo II) nel 2025. E che causa, direttamente o per le conseguenze, una morte ogni 20 nel pianeta. Guerre incluse. Oltre 180 milioni i malati di diabete oggi nel mondo (di cui 155 affetti dal tipo II), tre milioni e mezzo in Italia. Giusta l’apprensione dell’Onu. Si illumineranno monumenti da Est ad Ovest del globo. Diabete Italia ha già raggiunto accordi per la Torre di Pisa, Castel Sant’Angelo a Roma, Palazzo Marino a Milano, la Reggia di Caserta. E i Tir bianchi per la prevenzione e lo screening di «Changing Diabetes » saranno a New York, davanti al Palazzo di vetro, per chiedere ai popoli una Carta dei diritti del bambino diabetico.

Ma anche per informare, educare ai controlli e agli stili di vita anti-diabete: attività fisica e corretta alimentazione abbassano del 60% il rischio. Ma è il diabete giovanile, il tipo I, a preoccupare di più: da 30 anni in continua crescita (le due zone del mondo con maggiore incidenza sono Sardegna e Lapponia, ma non si sa perché). Bastano i dati italiani, snocciolati da Aurora Ketmaier (presidente di Jdrf Italia), a far accapponare la pelle: colpiti oltre 1.200 fra bambini e ragazzi, almeno 20 mila costretti a iniezioni quotidiane di insulina per controllare il livello di zuccheri nel sangue. La ricerca italiana è in prima linea. Nonostante i pochi soldi: circa 20 milioni di euro in totale, contro più di un miliardo di dollari a disposizione dei colleghi Usa. Un segnale è il nuovo Diabetes research institute (Dri) realizzato al San Raffaele.

Lo dirige Maria Grazia Roncarolo, ricercatrice rientrata in Italia che gli americani rivorrebbero negli States. Molti gli studi avviati, tra cui quello del «vaccino»: pillole di insulina (ma non con funzioni di ormone) o una formula endonasale (che resta però a livello della mucosa) somministrata ai bambini maggiori di 4-5 anni ritenuti a rischio di sviluppare la malattia. Ha lo scopo di «impegnare» gli anticorpi contro l’insulina che sono poi la causa della distruzione delle cellule del pancreas produttrici appunto dell’insulina. Bloccati gli anticorpi, il pancreas dovrebbe preservarsi. Lo studio sarà condotto nell’ambito del TrialNet, consorzio internazionale finanziato dai Nih (National Institutes of Health) americani e dalla Jdrf. «Vi partecipano 18 centri in tutto il mondo — spiega Emanuele Bosi, coordinatore del protocollo milanese — di cui 5 al di fuori dagli Usa: in Italia siamo gli unici».

Il diabete di tipo I, di cui non sono ancora chiare le cause, insorge infatti acutamente. Ha una lunga incubazione, che inizia nella prima infanzia e può durare decenni. Cova in silenzio, ma è riconoscibile per la presenza nel sangue di anticorpi contro le cellule beta del pancreas. «Per individuare i piccoli a rischio — spiega Bosi — c’è un semplice test del sangue rivolto ai parenti stretti di persone con diabete di tipo I. Questi ultimi, infatti, hanno una probabilità di ammalarsi 10 volte superiore a tutti gli altri ». Il Dri San Raffaele avrà anche una sofisticata apparecchiatura per «vedere» in vivo le cellule del pancreas e i meccanismi dell’autoimmunità. Un gioiello in mano ad Alessandro Del Maschio. E le staminali? Da loro la speranza di vincere la guerra. «Soprattutto dalle embrionali — dice Camillo Ricordi, direttore del Diabetes research institute (Dri) di Miami —. Queste cellule hanno il 60% di probabilità di portarci un giorno a una cura definitiva. Il restante 40% andrebbe diviso tra gli altri tipi di staminali».

 

 

di Mario Pappagallo
Da Corriere della Sera