Omega 3: come proteggono dal diabete

Nel diabete di tipo 1 non è ancora chiaro che cosa inneschi il processo autoimmune di distruzione delle beta-cellule pancreatiche che producono l’insulina.
Probabilmente compartecipano fattori alimentari, tra cui viene suggerito il possibile ruolo degli acidi grassi polinsaturi.
Gli omega-3 che abbondano negli oli di pesce, in particolare in quello di fegato di merluzzo: fonte ricca di omega-3 come l’eicosapentaenoico (EPA) e il docosaesaenoico (DHA).
Un olio che contiene però anche molta vitamina D, la cui integrazione pediatrica in alcuni studi è apparsa inversamente associata al rischio di diabete, ed è per questo che il dott. Norris e colleghi del Diabetes Autoimmunity Study in the Young (DAISY) di Denver (Colorado) hanno indagato per capire a fondo il ruolo dei polinsaturi. Prima che si manifesti con l’iperglicemia, il diabete tipo 1 è preceduto da una fase asintomatica di mesi o anni in cui sono dosabili nel sangue gli autoanticorpi per le beta-cellule delle insule (IA). In questo stadio sono coinvolti eventi infiammatori in cui compare una forte quantità di omega-3: una loro relativa carenza può predisporre a un aumento delle reazioni infiammatorie e quindi anche del rischio di malattie autoimmuni, quali il diabete di tipo 1.

Il principale omega-3 nelle diete occidentali è l’acido alfa-linolenico, che abbonda in vegetali a foglia verde, semi oleosi, legumi e può essere precursore dell’EPA e del DHA che si ottengono soprattutto dal pesce; l’omega-6 prevalente nella dieta è l’acido linoleico, presente soprattutto in semi e oli vegetali. Alfa-linolenico e linoleico sono coinvolti nella conversione pro-infiammatoria o anti-infiammatoria degli eicosanoidi, sostanze che regolano appunto l’infiammazione.

Gli autori hanno condotto due ricerche separate ma congiunte su 1.770 bambini di età media 6 anni al reclutamento e a rischio di diabete tipo 1 per presenza di uno specifico genotipo o genitori o fratelli con la malattia. Hanno valutato, quindi, l’associazione tra autoimmunità, cioè presenza di IA, e assunzione di polinsaturi dal primo anno d’età. E hanno calcolato gli apporti di omega-3 e omega-6 per tipo e quantità di pesci (anche molluschi e crostacei), oltre che di grassi vegetali o animali per cucinarli; nell’analisi è considerato l’intake di vitamina D come fattore confondente.
Nel periodo d’osservazione 58 bambini sono diventati positivi per gli IA.
Dopo gli aggiustamenti per genotipo, precedenti familiari, apporto calorico e di omega-6, l’assunzione di omega-3 è risultata inversamente associata con il rischio autoimmunità. In una seconda analisi, su un sottogruppo di 224 soggetti, anche per il contenuto di omega-3 nelle membrane dei globuli rossi è apparsa una relazione inversa con rischio di sviluppare IA, aspetto che sostanzia l’osservazione.

Gli autori ipotizzano che aumentare l’intake di omega-3 incrementi la loro concentrazione nelle membrane. L’assunzione durante l’infanzia potrebbe diminuire il rischio di sviluppare IA e la supplementazione di DHA in utero o in età infantile può bloccare i precoci eventi infiammatori chiave della patogenesi del diabete 1: questa potrebbe essere quindi una via per la prevenzione.

 

Fonte: Jama 2007;298:1420-8

27 dicembre 2007