Medici di famiglia: quasi 6% di diabetici tra gli assistiti, il 53% ha valori sopra il limite

Ogni medico di famiglia italiano ha fra i suoi assistiti dagli 80 ai 100 diabetici (il 5,59% su un totale di oltre mille pazienti). Di questi più della metà non è ancora sufficientemente sotto controllo: il 53% non raggiunge gli obiettivi terapeutici consigliati dalle linee guida nazionali per raggiungere il cosiddetto ‘buon compenso’ del diabete, una pratica che mette i pazienti al riparo dalle complicanze che derivano dalla malattia, mantenendo i valori dell’emoglobina glicata sotto una soglia raccomandata del 7%.

Ma non solo: meno del 10% fa ricorso all’insulina, mentre il 42% ha come unica terapia quella di stare a dieta. In pochi tengono a bada la pressione arteriosa e il colesterolo, amplificando i rischi di andare incontro a una patologia cardiovascolare. E’ il quadro che emerge da un’indagine condotta dalla Società italiana di medicina generale (Simg) e dal suo centro di ricerca Health Search, su un campione di 602.670 assistiti, di cui 33.698 diabetici.

Lo studio retrospettivo, svolto nel 2005 e presentato oggi a Milano, offre uno spaccato della realtà dei diabetici italiani, rivelando anche il modo in cui viene gestita nel Paese questa patologia cronica che colpisce più di tre milioni di persone, con una previsione di crescita che porterà i malati a quota 5 milioni nel 2025. Dall’osservatorio dei medici di famiglia emerge inoltre che le donne, nonostante siano più virtuose nei controlli e più costanti nelle visite, in realtà sortiscono risultati più bassi rispetto agli uomini. Anche se il più soggetto alle patologie cardiovascolari resta il sesso maschile. ”Nonostante l’Italia sia tra le più virtuose a livello internazionale e versi in una situazione più favorevole rispetto ad altre realtà, la strada da percorrere è ancora lunga”, osserva Paolo Cavallo-Perin, vicepresidente della Società italiana di diabetologia (Sid).

Primo passo da compiere: rafforzare l’alleanza fra diabetologi e medici di medicina generale, per creare una solida rete assistenziale al paziente e, aggiunge Raffaele Scalpone, presidente dell’Associazione italiana diabetici (Aid), ”aumentare la consapevolezza sull’importanza dell’obiettivo del buon compenso del diabete”.

A questo fine punta la campagna istituzionale lanciata dall’International Diabetes Federation (Idf) insieme alle affiliate Associazione medici diabetologi (Amd) e Società italiana di diabetologia (Sid). Un’iniziativa avviata in Italia nel corso del 2006 e del 2007, coinvolgendo diabetologi, medici di medicina generale e associazioni di volontariato. A una fase preliminare è seguita la pubblicazione di un libro bianco sul buon compenso del diabete e di un insieme di raccomandazioni per una comunicazione efficace medico-paziente. Secondo passo: coinvolgere la medicina generale con la pubblicazione di un terzo libro che sarà consegnato ai medici di famiglia entro la fine dell’anno.

Il flusso di informazioni però non deve essere interrotto, spiegano gli esperti. L’ultima fase, la più importante, sarà quella di trasferire, nel 2008, le conoscenze ai diretti interessati: i pazienti, che devono essere in grado di collaborare consapevolmente con il medico di medicina generale, condividendo target terapeutici di cui riconoscono l’importanza per la salute.

L’obiettivo è uno solo: diffondere la pratica del test dell’emoglobina glicata, importante cartina al tornasole delle terapie. Finora, secondo la ricerca solo il 30% ne effettua almeno due l’anno, come consigliato dalle linee guida nazionali (più di due). La maggioranza (44%) esegue una sola misurazione nel corso dei 12 mesi, il 26% neanche quella. Tra quanti si sono sottoposti al test almeno una volta, il 47% mostra valori entro il limite. In pochi però sono anche attenti agli altri due fattori di rischio cardiovascolare: solo il 34% dei pazienti ha valori a target (cioè sotto i 130-80 mmHg) mentre per il colesterolo Ldl solo il 26,7% ha un valore sotto il limite previsto di 100 milligrammi per decilitro.

Per tutti gli altri il rischio di sviluppare patologie cardiovascolari aumenta. ”E si amplifica ancora di più per quel 18% di diabetici fumatori. Il messaggio da lanciare è uno solo: il compenso del diabete deve essere globale, non solo limitato alla glicemia, ma esteso anche alla correzione degli altri fattori di rischio cardiovascolare, come l’ipertensione e la dislipidemia”, conclude Cavallo-Perin.

 

 

 

 

(Adnkronos Salute)