Salviamoci dal grasso

Obesità e sovrappeso le nuove emergenze mondiali Le politiche di prevenzione sono ancora in ritardo Le cifre allarmanti di una “epidemia sotterranea” spesso sotttovalutata. Stile di vita, sport ed educazione fin da bambini

Malati di grasso fino a morirne. Alla stregua di un virus l’obesità si diffonde dall’opulento occidente ai paesi poveri.
I numeri sono allarmanti: quasi due miliardi di persone soprappeso, 300 milioni i gravemente obesi. Due milioni e mezzo di decessi.

L’Italia in barba alla dieta mediterranea è tristemente in buona posizione, il 42,5% di maschi adulti ha problemi di bilancia di questi un 10,5% è obeso; meno peggio per le donne, in sovrappeso il 26,5% contro un 9% di obese. Una tragedia i bambini. Il 34,1% dei nostri piccoli tra sei e nove anni è in sovrappeso o francamente obeso, i morti per colpa del grasso sono 52 mila all’anno. La scenario è simile ovunque.

In Europa dolci, cheeseburger e bevande zuccherate rappresentano il 50% del cibo consumato. L’America del Nord è prima per numero di obesi e fast food, l’America del Sud – il 40% dei brasiliani è sovrappeso – ha triplicato in poco meno di vent’anni le vendite di cibi lavorati. In Africa – le donne della Mauritania pesano tra i 60 e i 100 chili, in Tunisia il 40% delle donne è obeso, in Egitto lo è il 60% della popolazione – ci sono più bambini sovrappeso che malnutriti; l’Asia, Cina in testa, ha identici problemi. Resiste il Giappone ma gli abitanti del Pacifico hanno sostituito la genuina dieta a base di pesce con quella grassa e ipercalorica all’occidentale.

I governi cominciano appena ad intervenire ma in maniera sottilmente isterica. Gli Stati Uniti che hanno obbligato le multinazionali a scrivere di tutto e di più sulle etichette, ripropongono diete con restrizioni caloriche insopportabili per qualsiasi essere umano, ritoccano il concetto di “porzione” e, seguiti dalla Gran Bretagna, minacciano leggi severe, tagli ai rimborsi per le cure e rincarano i prezzi di un cibo cattivo di per se poco costoso acquistato dalle minoranze meno abbienti. In Italia il Servizio sanitario nazionale ha, nella classificazione di diagnosi, un Drg (Diagnosis Related Groups) per l’obesità, il ministero della Salute e della Pubblica Istruzione hanno promosso nell’ambito del programma “Guadagnare salute” il progetto “Frutta Snack” che prevede l’installazione di distributori automatici in alcune scuole. “Però mancano Centri contro l’obesità e i pochi esistenti segnano il passo e non possono offrire tutta l’assistenza necessaria a questi malati cronici”, lamenta Geltrude Mingroni, associato di medicina interna alla Cattolica di Roma.

Dal canto loro McDonald’s, Kraft, Cadbury, Masterfood aggiungono ai BigMac insalate e promettono di ridurre del 10-35% gli zuccheri e i grassi nelle pietanze. Il fatto è che tutti comprendono la gravità della situazione e le pesanti ricadute in termini di malattie (diabete, ipertensione, tumori…), costi sociali e sanitari cui si dovrà sempre più far fronte, a meno di ricorrerre a seri programmi preventivi. Il punto è come attuarli all’interno di quella che l’International Obesity Task Force ha definito “una società obesogenica”, dove peraltro l’opinione pubblica stigmatizza il “grassone” ma non ha alcuna percezione del sovrappeso quale fattore di rischio.

“Niente di strano” – afferma Massimo Cuzzolaro, psichiatra del Centro dei disturbi alimentari e dell’obesità alla “Sapienza” di Roma, “visto che fino a pochi anni fa nemmeno dai medici l’obesità era considerata fattore di rischio né tantomeno malattia, definizione che l’Oms introduce solo negli anni Novanta, anche se a inizio Ottocento sono le Assicurazioni per prime a inquadrare il problema stilando le tabelle del normopeso rispetto alle quali decidevano l’entità dei premi da versare”.

L’obesità è la seconda causa di morte prevenibile dopo il fumo di sigaretta. Dice Giovanni Spera, ordinario di medicina interna all’Università “Sapienza” di Roma,: “È il sovrappeso la fase preliminare sulla quale bisogna intervenire: ricreare un modello all’interno della famiglia, educare all’attività fisica giornaliera, offrire un supporto psicologico già in età scolare e per le obesità patologiche ricorrere alla chirurgia”. Di obesità si può guarire ma l’impegno è prevenirla.

 

di Maria Paola Salmi

da Supplemento Salute di Repubblica.it

24 gennaio 2008