Pieno accordo tra cardiologi e diabetologi europei: per normalizzare il colesterolo bisogna intervenire sull’assorbimento e sulla sintesi

Il 94% dei cardiologi e diabetologi ritiene che l’inibizione dell’assorbimento del colesterolo LDL (C-LDL o “colesterolo cattivo”) nell’intestino e della sua produzione nel fegato produca risultati superiori alla sola inibizione della sintesi del C-LDL nel fegato. Questo il risultato una indagine condotta da TNS – uno dei più importanti istituti di ricerca a livello mondiale – e sponsorizzata dalla partnership sul colesterolo Merck/Schering-Plough.

La ricerca, presentata al congresso della European Society of Cardiology (ESC) svoltosi bei gironi scorsi a Vienna, riporta il punto di vista di 750 specialisti di cinque Paesi europei (Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna). I risultati hanno inoltre messo in luce che un’alta proporzione di cardiologi (81%) è d’accordo o concorda pienamente sul fatto che la maggior parte dei pazienti con iperlipidemia/ipercolesterolemia e fattori di rischio quali la cardiopatia ischemica o il diabete nella pratica clinica possa essere trattata in maniera inadeguata con una monoterapia a base di statine.

Inoltre, una larga maggioranza dei cardiologi europei intervistati (78%) si è anche detta preoccupata per il fatto che le linee guida sulla gestione del C-LDL nei pazienti ad alto rischio (come quelli con cardiopatia ischemica o diabete) non ricevano sufficiente attenzione nel proprio Paese. La grande maggioranza di tutti coloro che hanno risposto (81 per cento) ha affermato che portare un maggior numero di pazienti agli obiettivi raccomandati dalle linee guida per il C-LDL è il vantaggio prodotto dalla contemporanea inibizione dell’assorbimento e della sintesi del colesterolo.

“Le statine – ha affermato nel corso dell’incontro Michel Farnier, specialista in endocrinologia e disturbi metabolici alla Point Medical di Digione, in Francia – sono un trattamento efficace per molti pazienti, ma questa indagine conferma una mancanza di fiducia nella loro efficacia nei pazienti ad alto rischio. Il raggiungimento degli obiettivi ESC/EASD (=70 mg/dL) è fondamentale per il paziente con diabete o cardiopatia ischemica. Questi risultati dimostrano che i cardiologi europei hanno manifestato la loro preoccupazione relativamente al fatto che la monoterapia con statine e il suo adattamento posologico possano non essere ottimali in questi pazienti ad alto rischio e che debba essere necessariamente preso in considerazione il trattamento con le terapie più innovative come gli inibitori dell’assorbimento del colesterolo”.

L’indagine ha inoltre messo in evidenza come il 69% degli intervistati sia convinto che la maggior parte dei propri pazienti iperlipidemici/ipercolesterolemici a rischio non raggiunga gli obiettivi per C-LDL, collocati dalla grande maggioranza dei cardiologi intervistati a <2,5 mmol/L (97 mg/dL) nei pazienti a rischio. Le nuove linee guida della IV European Joint Task Force presentate nell’ambito del Congresso raccomandano obiettivi più restrittivi di C-LDL <2,5 mmol/L con l’opzione di scendere a <2 mmol/L (circa 80 mg/dL) ove possibile, rendendo ancora meno probabile che i pazienti trattati in monoterapia con statine riescano a seguire le indicazioni di queste linee guida nella pratica clinica quotidiana.

Gli intervistati hanno proposto numerose spiegazioni al fatto che le linee guida sul trattamento dell’iperlipidemia/ipercolesterolemia nei pazienti a rischio non sono seguite a sufficienza, tra le quali le limitazioni legate alla monoterapia e all’adeguamento posologico con statine (62%) e le restrizioni prescrittive da parte dei sistemi sanitari nazionali (50%). Tuttavia, quasi nove cardiologi su dieci (89%) si sono dichiarati convinti che, con il “trattamento appropriato”, i medici possano portare i loro pazienti diabetici e ipercolesterolemici con C-LDL alto all’obiettivo raccomandato di 1,8 mmol/L (70 mg/dL).

Mentre il 70% dei cardiologi è d’accordo o del tutto d’accordo con l’affermazione che tutti i pazienti con diabete di tipo 2 debbano essere posti in monoterapia con statine, indipendentemente dal loro C-LDL, più di metà dei medici intervistati (57% dei cardiologi e 54% dei diabetologi) è ormai consapevole del fatto che il raddoppio della dose di una statina produce tipicamente solo una riduzione incrementale del 6% del C-LDL, limitazione significativa della monoterapia con statine.

Questo significa inoltre che i pazienti con fattori di rischio cardiovascolare che non riescono a raggiungere gli obiettivi per il colesterolo con una monoterapia con statine a dosi basse o intermedie potrebbero avere bisogno di dosi ben più elevate, ma la grande maggioranza dei cardiologi (79%) e dei diabetologi (71%) intervistati è consapevole che i loro colleghi sono riluttanti a prescrivere le massime dosi di statine nei pazienti a rischio, per possibili problemi di sicurezza e di effetti collaterali.

La ricerca ha inoltre evidenziato come quasi tutti i cardiologi e diabetologi intervistati (95%) concordano sul fatto che i pazienti con elevati valori di C-LDL e diabete debbano essere considerati ad alto rischio cardiovascolare e pertanto trattati aggressivamente per raggiungere gli obiettivi per C-LDL. Un’alta proporzione di cardiologi (81%) ritiene tuttavia che la monoterapia e l’adeguamento posologico con statine possa essere meno che ottimale nei pazienti a rischio, compresi i diabetici. Così pure, una percentuale analoga di diabetologi (77%) ritiene che la monoterapia con statine possa non essere ottimale per portare all’obiettivo terapeutico i pazienti con diabete di tipo 2 e con iperlipidemia/ipercolesterolemia.

L’indagine TNS è stata condotta tra i cardiologi e i diabetologi europei. Sono state raccolte complessivamente 750 interviste che hanno interessato 75 cardiologi e 75 diabetologi, rispettivamente, in Francia, Germania, Italia, Regno Unito e Spagna. L’indagine, condotta via internet, è stata condotta per determinare il livello di conoscenza relativa ai problemi di gestione della colesterolemia sia in prospettiva cardiologica sia diabetologica. Tutti gli intervistati erano docenti universitari, primari ospedalieri o specialisti qualificati secondo le legislazioni dei rispettivi Paesi.

 

 

da Salute Europa

12 settembre 2007