ISS: in pandemia il 25% dei pazienti non controlla l’emoglobina glicosilata

Non è rassicurante il dato sul controllo dell’emoglobina glicata nei pazienti diabetici. Secondo i dati del sistema di sorveglianza PASSI coordinato dall’Iss in collaborazione con le Regioni, nel quadriennio 2017-2020, infatti, solo un paziente su tre (34%) riferisce di aver controllato l’emoglobina glicata nei 4 mesi precedenti l’intervista, il 29% lo ha fatto da più di 4 ma meno di 12 mesi, gli altri non lo hanno fatto o lo hanno fatto da oltre 12 mesi (14%) e non conoscono questo esame (23%).

I dati sono diffusi in occasione della Giornata mondiale del diabete, il 14 novembre. L’analisi temporale sugli ultimi 10 anni mostra un peggioramento di questi dati e mette in luce con evidenza l’impatto indiretto della pandemia anche nella gestione dei pazienti diabetici. Risulta infatti che nel 2020 c’è un aumento significativo (dal 15% del 2019 al 25%) di pazienti diabetici, che riferiscono di non aver fatto il controllo dell’emoglobina glicata o di averlo fatto da oltre 1 anno, fra coloro che sono consapevoli e conoscono l’importanza di questo esame. È possibile dunque che l’emergenza sanitaria legata alla pandemia si sia tradotta in maggiori difficoltà di accesso ai servizi sanitari o abbia indotto le persone a rinunciare a fare i controlli.

Cos’è il diabete. Il diabete è una malattia cronica caratterizzata dalla presenza di elevati livelli di glucosio nel sangue, dovuta a un’inadeguata (o assente) produzione dell’ormone insulina (diabete di tipo 1) o di una scarsa capacità dei tessuti di utilizzare l’insulina stessa (diabete di tipo 2). L’insulina è l’ormone, prodotto dal pancreas, che consente al glucosio l’ingresso nelle cellule e il suo conseguente utilizzo come fonte energetica. Quando questo meccanismo è alterato, il glucosio si accumula nel sangue. Se l’iperglicemia non viene tenuta sotto controllo, il diabete progredisce e nel lungo termine può creare serie complicanze a tutti gli organi: cuore, cervello e vasi, nervi periferici, reni, occhi, piede.

Il Diabete tipo 2 è la forma più comune di questa malattia (coinvolge circa il 90% dei pazienti diabetici). In genere, si manifesta dopo i 30-40 anni, a differenza del diabete di tipo 1 che ha un esordio nell’infanzia o in adolescenza. Il Diabete tipo 2 può decorrere in modo silente anche senza sintomi per molti anni perché l’iperglicemia si sviluppa gradualmente e la diagnosi è spesso tardiva (all’esordio di sintomi significativi) o casuale (fatta nel corso di controlli routinari, in assenza di sintomi). Si stima infatti che solo una persona su tre sia consapevole di essere affetta dalla malattia. Il diabete di tipo 2 è associato, oltre alla familiarità, a fattori di rischio modificabili come sedentarietà, sovrappeso e l’obesità. Una corretta alimentazione, l’attività fisica e il controllo del peso corporeo non solo contribuirebbero al controllo dei valori di glucosio nel sangue, e più in generale al controllo metabolico (dei lipidi plasmatici e della pressione arteriosa) nei soggetti diabetici e sarebbero in grado di prevenire o ritardare le complicanze croniche del diabete, ma potrebbero prevenire l’insorgenza della malattia stessa.

Come PASSI misura il diabete. Il sistema di sorveglianza PASSI (dedicato alla popolazione di 18-69 anni), coordinato dall’Iss, in collaborazione con le Regioni, e condotto sul territorio dai Dipartimenti di Prevenzione delle Aziende sanitarie locali (Asl), da oltre 10 anni raccoglie, su base campionaria e in maniera continua, informazioni su salute e fattori di rischio comportamentali connessi all’insorgenza di malattie croniche non trasmissibili della popolazione generale residente in Italia. I dati raccolti consentono di ottenere, fra le altre cose, stime di prevalenza delle principali patologie croniche (riferite come diagnosi mediche ricevute dal campione di intervistati). Fra le patologie indagate vi è anche il diabete per il quale si dispone anche di informazioni specifiche sul controllo e sulla terapia farmacologica. Non è possibile distinguere fra diabete di tipo 1 e diabete di tipo 2, tuttavia, poiché il 90% dei pazienti diabetici è affetto da diabete di tipo 2, il campione di pazienti diabetici intercettato con Passi può considerarsi ben rappresentativo della popolazione che ha ricevuto una diagnosi di diabete di tipo 2.

Il diabete in Italia dai dati da PASSI: uno sguardo d’insieme. Nel quadriennio 2017-2020 (su un campione di 111mila persone) circa il 5% della popolazione adulta fra 18 e 69 anni riferisce una diagnosi di diabete. Questa stima cresce con l’età (dal 2% prima dei 50 anni raggiunge il 9% fra 50-69 anni), è più frequente fra gli uomini (5,3% vs 4,1% fra le donne) e disegna un gradiente sociale importante a sfavore delle persone socio-economicamente più svantaggiate, per molte difficoltà economiche (8% vs 3.4% fra chi non ne ha) o bassa istruzione (16% fra le persone con al più la licenza elementare vs 2% fra i laureati) e anche un gradiente geografico a sfavore dei residenti nelle regioni meridionali (5.7% al Sud-isole vs 3.8% al Nord). Ipertensione, ipercolesterolemia, eccesso ponderale e sedentarietà si associano significativamente al diabete: fra le persone con diagnosi di diabete il 52% riferisce anche una diagnosi di ipertensione (vs 18% fra le persone senza diabete), il 43% una diagnosi di ipercolesterolemia (vs 21%), il 71% è in eccesso ponderale (vs 41%), il 49% è completamente sedentario (vs 36%), e peraltro il 23% continua ad essere un fumatore abituale.

L’emoglobina glicata per il monitoraggio del diabete Il monitoraggio della emoglobina glicata (HbA1) è fondamentale nella gestione del diabete. L’emoglobina è una proteina presente all’interno dei globuli rossi ed è deputata al trasporto dell’ossigeno dai polmoni a tutto il corpo. Il glucosio circolante nel sangue si può legare all’emoglobina dei globuli rossi formando così molecole di emoglobina glicata (o glicosilata). Se sono presenti elevati livelli di glucosio nel sangue, si forma più emoglobina glicata. Per questa ragione il dosaggio dell’emoglobina glicata è un buon indicatore clinico per monitorare il controllo glicemico nel tempo e l’efficacia della cura del diabete; il suo valore offre, con notevole attendibilità, un’indicazione della glicemia media degli ultimi 3 mesi e permette quindi di valutare se la terapia in corso è adeguata ed è riuscita a controllare la malattia in modo ottimale o meno. Nei soggetti diabetici, l’emoglobina glicata andrebbe quindi regolarmente controllata ogni 3-4 mesi. (a cura di Maria Masocco, Valentina Minardi, Valentina Possenti, Benedetta Contoli del Cnasp dell’Iss)

 

da Salute Domani

 

 

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