Grassi e insulina: le relazioni pericolose

PRIMA era considerata un testimone ininfluente. Poi un complice indispensabile. Infine in anni recenti un fattore di per sé responsabile.

Oggi l’obesità è ritenuta univocamente un fattore di rischio primario nello sviluppo del diabete di tipo 2, non insulino-dipendente.
I chili in eccesso, in particolare se l’indice di massa corporea (IMC), ovvero il rapporto peso corporeo diviso per l’altezza al quadrato, si avvicina o supera i valori di 25-30, hanno un’azione diabetogena, è fuor di dubbio.

L’obesità, specie nella forma viscerale, si associa ad una minore risposta dei tessuti, detti insulino-sensibili che proprio per questo la utilizzano (fegato, tessuto muscolare e tessuto adiposo), all’insulina prodotta dalle beta cellula pancreatiche.

Sull’origine dell’obesità incidono sia la predisposizione genetica che fattori ambientali che socioeconomici.
Indubbiamente le calorie ingerite in eccesso sono le principali candidate a giustificare un bilancio d’energia cronicamente positivo capace di condurre lentamente negli anni all’obesità, ma non più le uniche.
Tre cose sono accertate.
Primo, esistono due tipi di obesità, uno nettamente più pericoloso dell’altro.

L’obesità androide o centrale, in cui il grasso è localizzato prevalentemente a livello viscero-addominale, è infatti associata alla maggior parte delle complicanze metaboliche. Al contrario dell’obesità ginoide o periferica in cui l’adipe si localizza a livello gluteo-femorale.

Secondo, esiste una stretta relazione tra obesità centrale e diabete di tipo 2, tra l’altro i soggetti con questa obesità presentano una spiccata iperinsulinemia con ridotta sensibilità all’azione dell’insulina stessa.

Terzo, l’accumulo intra-addominale di grasso aumenta col passare degli anni, con l’aumento del peso e con le fluttuazioni cicliche del peso corporeo.
Si conoscono molte cose del tessuto adiposo viscerale, è un grasso resistente all’azione antilipolitica dell’insulina, il che si traduce nella liberazione di elevate quantità di acidi grassi i quali attraverso la vena porta arrivano al fegato interferendo con il metabolismo dell’insulina che viene degradata di meno e aumenta i suoi livelli.
Tutto ciò comporta un progressivo deterioramento della tolleranza al glucosio, lo sviluppo di insulino-resistenza e un danno cronico della cellule beta. E’ vero che la carenza di ormone insulinico è la responsabile della comparsa del diabete ma negli obesi il fenomeno si instaura su una beta cellula esausta per il super-lavoro secretorio di compensazione durato molti anni e dovuto alla precendente insulino-resistenza.

“A tutto ciò si aggiunge un altro fondamentale meccanismo che abbiamo scoperto di recente, un difetto che spiega tutti gli altri fattori di rischio associati all’obesità” dice Michele Carruba, direttore del Centro studi e ricerche sull’obesità dell’Università di Milano, “nell’obeso i mitocondri, le centraline dell’energia del nostro organismo, sono alterati. Il loro numero e la funzionalità sono ridotti. Non solo si forma poca energia da glucosio e acidi grassi ma anche la concentrazione di ossido nitrico che stimola la mitocondriogenesi scarseggia a causa dei fattori pro-infiammatori (Tnalfa) prodotti dalle cellule adipose che continuano a moltiplicarsi”.

Uno degli aspetti più inquietanti concerne la fluttuazione del peso (i “cyclers”).
La dieta, ossia la restrizione calorica, induce uno stato di deprivazione nutrizionale.
Gli effetti della perdita di peso al di sotto di un certo valore critico diventano negativi e fanno scattare una difesa fisiologica attraverso cui l’organismo tenta, riuscendoci, di riportare il peso corporeo a livelli compatibili con la soglia di criticità (set-point).

Insomma cos’è la vita senza un po’ di calorie…?

 

di Mariapaola Salmi

da Repubblica.it, Supplemento Salute

20 marzo 2008