Firenze: un altro morto di diabete

Firenze: un altro morto di diabete. Ma anche stavolta “il diabete non c’entra”.
E’ stata la fattucchiera… sono stati i genitori… il caso… l’ignoranza.
Nessuno che abbia il coraggio (o l’onestà!) di dire che il diabete c’entra eccome!
Di dire che di diabete si muore! E non solo a causa delle sue complicanze croniche (malattie cardiovascolari, insufficienza renale, ictus).
Ma soprattutto che il diabete non è “solo una condizione”: il diabete è una patologia grave, pesante da curare, ancora più pesante da “sopportare psicologicamente”, da accettare.

Continuiamo a presentarlo “mostrando” al mondo (ma anche ai diabetici!) le facce sorridenti dei bambini che si fanno l’insulina, i muscoli potenti del ciclista o dello scalatore diabetico. Ma “il diabete” è anche il genitore che veglia il bambino la notte per la paura dell’ipoglicemia.
Diabete è cercare lavoro e non trovarlo o perderlo. Diabete è non dichiarare di averlo per non avere limitazioni sulla patente.
Diabete è il batticuore ogni volta (8 volte al giorno!) che aspetti che quel maledetto reflettometro mostri il numerino.
Diabete è l’angoscia di aprire la busta con il risultato della glicata che ti dice se sei stato “un bravo diabetico” o no (e se avrai complicanze).
Diabete, insomma, non è solo qualche dose di insulina e la conta dei carboidrati.
Le nuove insuline, i nuovi microinfusori “aiutano”, ma non bastano!

Diabete è spesso disperazione. La disperazione di chi sa che nonostante tutte quelle belle facce sorridenti dei depliants, nonostante quei traguardi sbandierati, la sua vita è cambiata per sempre. Ed accettarlo non è così semplice, tanto meno per un genitore.
Non c’è dubbio che i medici, con le migliori intenzioni, cerchino di rassicurare i pazienti, le mamme e i bambini, passando il messaggio che se fai come ti dicono, tutto sarà ok, proprio come nei depliants, ti dicono che il diabete è controllabile, e se lo controlli starai bene.
Ma….quando vivi il diabete, spesso, ti accorgi che non è proprio così semplice.
E i genitori della povera ragazzina di Firenze se ne sono accorti e hanno cercato “la soluzione”.
Follia? Ignoranza? Può darsi.
Non mi esprimo su Marjorie Randolph (non abbiamo elementi sufficienti e ciò che ha riportato la stampa mi sembra poco credibile).

Qui il “problema” è perchè quei genitori abbiano avuto il bisogno di cercare una cura che ancora non c’è.
Il “problema” è che nessuno si è accorto del loro disagio, della loro disperazione…. troppo presi a raccontare che “il diabete è una semplice condizione, non una patologia”.

Chi è il responsabile di questa morte?
I genitori che hanno dato un calcio alla medicina ufficiale (efficace), per cercare “una cura che non c’è, perchè il peso della malattia era intollerabile?”
La Rundolph che può aver mal consigliato la paziente?
I medici del Mayer che non sono riusciti a spiegare che il diabete è curabile, ma inguaribile?
Nessuno. Il vero responsabile è il diabete. E contiamo un’altra vittima.

Mostrando al mondo solo la faccia felice, e non anche quella tragica che ci sta dietro, avalliamo la filosofia prevalente del “tollerare” anziché “curare” il diabete.
E’ giunto il momento, dopo oltre 80 anni dalla scoperta dell’insulina, di curare il diabete definitivamente .

Daniela D’Onofrio
Responsabile Portale Diabete

Pubblichiamo qui di seguito 3 lettere ricevute a commento

Vorrei commentare ed esprimere un pensiero, dopo avere letto ciò che Daniela D’Onofrio scrive sempre con correttezza, competenza e nel rispetto degli altri.

Le considerazioni sull’ultima triste vicenda occorsa alla sedicenne toscana, purtroppo morta nel 2008 per diabete, (assurdo, ma possibile: perché?) sono una veritiera e reale descrizione del diabete e delle sue conseguenze, sono d’accordo TOTALMENTE sulle osservazioni e riflessioni della D’Onofrio, dettate da esperienza, buon senso ed estrema correttezza.

Dire la verità, anche se dolorosa, è un dovere, senza nulla togliere a chi ha il diritto di sperare, ma no di essere ingannato, soprattutto è fondamentale comunicare correttamente sia la terapia, sia lo stato dell’arte della ricerca scientifica.

Veicolare notizie, annunciare progressi, scoperte in un modo errato, ambiguo, con stile pubblicitario, esclusivamente per qualche businnes da portare avanti, notizie firmate e pubblicate da giornalisti, anche scientifici, spesso coinvolti in uffici stampa interessati, è un ulteriore “colpo” che subisce il paziente affetto da diabete ed i suoi familiari: senza pietà, per il danno morale che provocano ,andrebbero depennati dall’albo a cui appartengono, qualunque sia la loro qualifica ed il loro ruolo.

E’ una constatazione da mamma che vive giornalmente il diabete, interessata anche alla ricerca scientifica, madre di un figlio ricercatore, stimato e riconosciuto valido, che ha dovuto lasciare l’Italia perché, pur ricevendo proposte negli Stati Uniti, in Inghilterra ed in Germania, in realtà da noi, per meccanismi strani, ma reali, sarebbe sopravvissuto solamente, senza alcuna possibilità di carriera e di sano utilizzo dei suo lavori e delle sue pubblicazioni.

La ricerca scientifica, in Italia, dove ci sono menti preparate e competenti, non progredirà mai, se non comprendiamo che le scelte devono basarsi sulla meritocrazia e seguendo la peer rewiev, come metodo di selezione.

 

A. L. P.

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Ciao Daniela,

ho letto con molta attenzione il tuo scritto e non poteva essere altrimenti, molto crudo ma vero, d’altronde la verità è sempre una cosa scomoda e in più a volte fa soffrire.  

Ma soprattutto che il diabete non è “solo una condizione”: il diabete è una patologia grave, pesante da curare, ancora più pesante da “sopportare psicologicamente”, da accettare.
Ma “il diabete” è anche il genitore che veglia il bambino la notte per la paura dell’ipoglicemia.

Ti confesso che in questi due passaggi mi raffiguro molto, pensa che sono arrivato a definire i portatori di questa patologia Zombi viventi o persone a vita pianificata, schedulata decisa da questo nemico “Il Diabete” appunto. 
Dentro mi sento come il soggetto del film “URLA DEL SILENZIO” , vivo nel compromesso la situazione di mio figlio Alessandro, ovvero nella speranza e nell’angoscia che il futuro della “CURA” rimanga ancora come evidenziato nel tuo passo

” Mostrando al mondo solo la faccia felice, e non anche quella tragica che ci sta dietro, avalliamo la filosofia prevalente del “tollerare” anziché “curare” il diabete.
E’ giunto il momento, dopo oltre 80 anni dalla scoperta dell’insulina, di curare il diabete definitivamente .”

Vorrei veramente ” Urlare alla ricerca” che non si può accettare di vivere come spettatore di un condannato a morte.

Scusa il mio sfogo, il ringraziamento per ciò che fai (e comunichi sul sito) è immenso, spero spero spero nel più immediato futuro si possa vincere la guerra a questo nemico che quattro anni fa ha condizionato la vita della nostra famiglia.

Con profonda stima

Raimondo Gualitti

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Cara Daniela, leggendo la sua lettera mi è subito venuta alla mente la faccia di mia madre dopo che ha saputo che ero diventata diabetica (22 anni fa, a soli 21 anni).

Quando mi veniva a trovare in ospedale le dicevo “guarda che non è morto nessuno!” ignara di quello che sarebbe stato il dopo.
Alla fine l’ho pregata di non venirmi a trovare finché non avesse trovato una faccia nuova e più sorridente da farmi vedere. Così mi venne a trovare solo mio padre.
A casa si presentava con qualche intruglio strano: “ho saputo che le cipolle fanno abbassare la glicemia….”; mi regalò una pianta di mirto pensando che erano mirtilli (che fanno abbassare la glicemia…), fino a quando, alcuni anni dopo, non le dissi “guarda che a me il diabete non andrà mai via!”.
Spalancò gli occhi e con le lacrime mi rispose “perché mi dici queste cose!”
Risposta: “Rassegnati, non guarirò più, posso solo cercare di non stare peggio”.  

Da quel momento non mi disse più niente.

Posso solo capire i genitori della ragazza morta che si sono fidati della medicina non convenzionale se così la vogliamo chiamare; posso solo dire che forse, avendo allora 21 anni e autonoma in tutto, non ascoltai mia madre con le sue “stregonerie”, e capisco soprattutto che noi diabetici non siamo considerati malati neanche dal sistema sanitario.
Lo dimostra il fatto che siamo esenti solo per alcune cose.
Per tutte le altre complicanze che possono sopraggiungere nel corso degli anni, e che non sono quelle consuete, noi non esistiamo.
Alcuni farmaci che a noi farebbero molto bene (vedi acido alfa lipoico) li paghiamo e anche a caro prezzo.
Da alcuni anni faccio uso di ricaptatori della serotonina con la scusa che fanno bene alla mia fibromialgia (anche questa sembra possa essere collegata al diabete, così molti medici mi hanno detto) ma non nascondo che fanno bene anche alla mia psiche, continuamente minata da glicate orribili; pesa con gli occhi tutto quello che vuoi mangiare, attenta stai ingrassando e non poco, vai in palestra almeno tre volte alla settimana (anche se non hai voglia e se non ci vado mi sento anche in colpa. Fa bene sentirsi in colpa alla psiche?)

Fai insomma tante di quelle cose che se fossi stata in salute non avrei fatto con angoscia, dovere, ma per piacere.

Si, di piacevole nella nostra vita di diabetici, non c’è proprio niente. E quando gli amici mi dicono che sono una persona molto dolce….. beh ….. gli dico che in fondo non hanno torto.

Luigia Bisceglia