“Evoluzione tecnologica nel trattamento del diabete di tipo 1”

La terapia insulinica tradizionale e gli strumenti tradizionali.

Chi ha a che fare con il diabete da un po’ di anni sa gia’ che una piccola rivoluzione e’ stata quella delle penne, perche’ fino a non molti anni fa’, esistevano le siringhe.

Bene, questo appartiene ormai, per la maggior parte dei casi, ormai alla storia della medicina e quello delle penne e’ stato un progresso apparentemente banale, ma in termini reali consistenti.
Fino ad oggi l’insulina puo’ essere somministrata solo per via parenterale, cioe’ per via sottocutanea.
Una delle strade dello sviluppo tecnologico che al momento ci consente di pensare a qualche alternativa e’ quella delle insuline somministrate per altre vie, che non siano quelle iniettive.

Le possibilita’ teoriche sono notevoli, ma soprattutto, per essere piu’ vicino alla realta’, sono due le strade esplorate dalla ricerca: una e’ la via orale e l’altra e’ la via inalatoria.
Voi tutti sapete che, tout court, l’insulina non e’ somministrabile per bocca, per il semplice motivo che viene degradata a livello gastrico intestinale e a quel punto non e’ piu’ attiva.
Tuttavia se noi riuscissimo a fare pervenire all’intestino una molecola di insulina non degradata e a farla assorbire in termini di integrita’ molecolare, avremmo gia’ raggiunto un grande risultato.
Sono decenni che la ricerca cerca soluzioni.
Ma in realta’, quello su cui la ricerca ha inaspettatamente prodotto dei progressi piu’ ampi e’ la via inalatoria, e qui parliamo del presente.

Due parole sull’insulina per via orale: riusciremo un giorno a somministrare l’insulina in pillole?
Di possibilita’, di strategie, ne sono state identificate molte, che riguardano essenzialmente le modalita’ per poter incapsulare la molecola dell’insulina.
Qualche cosa e’ stato ottenuto, pero’ a tutt’oggi va ricordato che le esperienze continuano ad essere sostanzialmente negative, anche se va citato che in alcuni studi pubblicati di recente ( 2003, 2004) sia nel diabete di tipo 1 che nel diabete di tipo 2, con una strategia per cui la molecola viene coniugata ad un vettore, alcuni autori sono riusciti ad ottenere un minimo di assorbimento per via orale dell’insulina.
Tuttavia non e’ questa la procedura in cui si sono ottenuti per ora i risultati migliori, per ora.

Anche se puo’ apparire strano, la via che ha prodotto i migliori risultati e’ quella buccale, ovvero una somministrazione dell’insulina non piu’ destinata ad essere digerita e assorbita per via intestinale, ma ad essere destinata ad un assorbimento a livello della mucosa orale, e la strategia e’ quella di produrre l’insulina in fini particelle di aerosol che vengono, scusate il termine, “sparate” ad un’elevata velocita’, delle microgocce di dimensioni infinitesimali, ad una velocita’ di 160 km orari che consente alla molecola un maggiore assorbimento attraverso la mucosa orale.

Sono studi preliminari, ma la casistica pubblicata e’ gia’ abbastanza ricca e va detto che il tipo di assorbimento non e’ male.

Siamo ancora lontani dalla clinica, ma esistono nell’uomo, non nell’animale, delle evidenze concrete che questa sia una via percorribile.
Quindi se l’assorbimento gastroenterico dell’insulina rimane lontano, a livello buccale, con le modalita’ che vi ho appena illustrato, l’assorbimento dell’insulina e’ possibile.

Attraverso le vie aeree, invece, la possibilita’ nasce, e qui sono felice di citare il Prof. Pontiroli, che 20 anni fa’ fu il primo a pubblicare, proprio qui al San Raffaele, che l’insulina poteva essere assorbita per via nasale.
Questa linea di ricerca e’ andata avanti: al momento e’ stata abbandonata, perche’ essenzialmente vi sono troppi elementi interferenti.
Per fare un esempio, se una persona ha il raffreddore, oppure starnutisce, oppure ha preso freddo, cambia notevolmente la capacita’ di assorbire l’insulina per via nasale e quindi e’ stata abbandonata.

Pero’ non e’ stata abbandonata la via inalatoria, cioe’ la ricerca ha scoperto che a livello nasale l’assorbimento insulinico e’ problematico, ma diviene invece, assolutamente facile a livello polmonare.

Perche’?
Perche’ lo spessore che intercorre tra l’aria e il sangue circolante, a livello degli alveoli, e’ sottilissimo e se noi siamo in grado di far pervenire delle molecole di insulina all’alveolo, noi abbiamo la possibilita’ di far assorbire l’insulina attraverso quella via.

Tenete presente che la superficie degli alveoli e’ molto estesa, sono circa 400 mq., e quindi noi, in fondo, non e’ che ci ritroviamo di fronte ad un compito impossibile: 400 mq. di superficie alveolare per far assorbire poche particelle di una molecola, che se riusciamo a ridurre a 2-3 micron di dimensioni, e’ in grado di penetrare gli alveoli e di passare nella circolazione.

E ora arriviamo alla realta’ odierna (diapositiva di Exubera): questo si chiama Exubera, perche’ e’ un prodotto “piu’ avanti”, e’ quello che ha ottenuto di recente l’autorizzazione negli USA per l’utilizzo in clinica, ma non e’ il solo.
E’ un inalatore.

L’insulina viene data al paziente in forma di capsule, che in funzione della dose, vengono introdotte in questo strumento, il quale le parcellizza, le miniaturizza attraverso una procedura di “triturazione” e consente poi la nebulizzazione di queste particelle che vengono inalate dalla persona.

Accanto a questo sistema che si chiama Exubera, dell’azienza Pfizer, ve ne sono altri 2 in dirittura d’arrivo: uno della Lilly e uno della Novo, che sono produttori di insulina da tanti anni.
Lo strumento della Lilly ha il vantaggio di essere di dimensioni molto ridotte, invece quello di Exubera e’ piuttosto voluminoso.

L’inalazione deve essere completa.
In realta’ non funziona in maniera molto diversa dal sistema che si utilizza nei vari spray per combattere essenzialmente l’asma bronchiale, le riniti allergiche, ecc.
I risultati di questi studi sono estremamente incoraggianti: si e’ dimostrata la quasi completa sovrapponibilita’ di risultati tra la via iniettiva e la terapia inalatoria, su studi eseguiti su pazienti sia di tipo 1 che di tipo 2.

Sono ora in corso trials di fase 3, cioe’ quelli che si fanno a sperimentazioni finite, e che riguardano centinaia e centinaia di pazienti nelle varie situazioni sperimentali e che sono destinati a validare, in maniera definitiva, questa soluzione terapeutica che sara’ in clinica entro un anno, speriamo anche qui da noi (al San Raffaele, n.d.r.).

Vediamo un altro aspetto in cui l’evoluzione tecnologica ci sta dando tante soddisfazioni, che e’ quello del monitoraggio glicemico.

Voi tutti sapete quanto sia fondamentale poter conoscere l’andamento della glicemia, essendo lo scopo della terapia la normalizzazione della glicemia nell’arco delle 24 ore.
Ora, la procedura e’ quella del pungidito, della goccia raccolta e della lettura con i reflettometri.
Noi, come diabetologi, raccomandiamo di eseguire il maggior numero possibile di rilevazioni, perche’ di piu’ rilevazioni disponiamo, maggiore sara’ la conoscenza sull’andamento della glicemia.
Tuttavia questo pone ancora dei limiti.
Disporre di una visione parziale di una qualunque veduta, puo’ trarre in inganno.
Cio’ serve per introdurre il principio, che e’ intuitivamente ovvio, dell’utilita’ del monitoraggio continuo.
Ebbene anche qui la tecnologia ci aiuta e ci viene in soccorso, con dei progresso straordinari.

Dalla fine degli anni ’90 sono stati messi a punto degli strumenti sostanzialmente affidabili (non tutti…), alcuni certamente molto affidabili, in grado di monitorare continuamente la glicemia.
Fra tutti i prodotti certamente quello piu’ “azzeccato” come nome e come idea e’ il Glucowatch, perche’ identifica uno strumento del tutto simile ad un orologio, che portato al polso, per via transdermica, legge di continuo l’andamento della glicemia.
Purtroppo il Glucowatch si e’ rivelato un eccellente strumento di propaganda, ma dal punto di vista della funzionalita’ si e’ dimostrato non affidabile.
Ugualmente e’ stato molto importante, perche’ ha sensibilizzato l’opinione pubblica rispetto a questi strumenti.

Ma in questo contesto, i due strumenti che ci hanno dimostrato una totale affidabilita’ sono il CGMS della Medtronic e il Glucoday della Menarini.
Questi due strumenti, in maniera minimamente invasiva, nel senso che richiedono per la lettura una penetrazione da parte di un ago (un catetere) nel sottocute, consentono la lettura di continuo di una glicemia che puo’ essere scaricata e letta successivamente, esattamente come avviene negli holter.
Ma l’ulteriore evoluzione di questa tecnologia, e qui parliamo dell’oggi, siamo al presente, e’ un’evoluzione del CGMS, che contrariamente allo strumento attualmente in uso, ha il grande vantaggio della lettura in tempo reale.

Questo strumento consiste di un sensore con un piccolo ago di plastica flessibile, connesso ad uno strumento poco piu’ grande di una moneta, che ha la funzione del trasmettitore e di un lettore, che e’ uno strumento simile, per peso e dimensioni ad un qualunque telefonino, che non e’ collegato attraverso nessun filo con il catetere.
Quindi viene messo in tasca o sul comodino mentre la persona dorme.
Vi si legge in tempo reale la glicemia, e non solo, ma vi puo’ essere incluso un allarme che rivela se la glicemia, per esempio, sale o scende in maniera eccessiva.
Siamo noi a settare i limiti al di sotto o al di sopra dei quali noi desideriamo che questo strumento emetta un segnale.
Per cui la persona che lo indossa che vada a dormire mette il suo apparecchietto sul comodino e se la glicemia scende o sale troppo, il trasmettitore suona il bip, la persona si sveglia, visualizza e puo’ prendere le adeguate misure per correggere.

Questo strumento che sia utille, lo si capisce subito, tuttavia era da dimostrare che anche in termini di utilita’ clinica fosse in realta’ utile.

Allora per questo e’ stato realizzato uno studio internazionale multicentrico a cui abbiamo aderito anche noi (del San Raffaele, n.d.r.) e sul quale non spendo piu’ di tanto tempo, se non per dimostrare come per le persone (abbiamo scelto delle persone con un diabete di tipo 1 relativamente difficile da controllare sia in trattamento insulinico convenzionale, sia in trattamento con microinfusore) che hanno potuto utilizzare questo strumento in continuo per tre mesi abbiano avuto un abbassamento medio dell’emoglobina glicosilata superiore all’1%.

Sono andate meglio anche le persone che erano state randomizzate nel gruppo di controllo (ma questo e’ l’effetto “studio”: qualunque persona che venga inclusa in uno studio, per il fatto stesso che venga meglio sorvegliata, migliora).

Un andamento intermedio e’ stato visto in quelle persone nelle quali l’utilizzo era consentito per 3 giorni ogni 2 settimane.

Questo e’ uno studio che e’ in corso di valutazione per una pubblicazione, ma ha dimostrato quello che a livello intuitivo ognuno di noi poteva immaginare e cioe’ che disporre di uno strumento che dia in continuo i valori della glicemia e’ utile in termini clinici, perche’ non solo rassicura le persone, non solo elimina la necessita’ di pungersi il dito, ma anche in termini di miglioramento glicometabolico consente un vantaggio.

E da questo, l’ultimo passo, che e’ quello verso il pancreas artificiale, il passo e’ molto breve.
Il pancreas artificiale e’ uno dei tanti sogni di ognuno di noi: io ricordo che il Prof. Secchi, il sottoscritto e molti altri allora giovanissimi studenti o neolaureati, con il Prof. Pozza, alla fine degli anni ’70, lavoravamo al pancreas artificiale: era pero’ un baraccone molto grosso, che legava le persone e che prelevava il sangue in continuo….e tutti dicevamo “il giorno in cui questo strumento – che tra l’altro funzionava malissimo – verra’ miniaturizzato, avremo risolto il problema.”

Ebbene ci siamo vicini: sono passati nel frattempo 25 anni, ma ci siamo molto vicini.

Voi tutti ben conoscete un microinfusore.
Gli aghi, come sapete, sono perpendicolari, brevi ed indolori.
Quello che oggi e’ gia’ in sperimentazione e’ lo strumento che racchiude nello stesso apparecchio sia l’infusore che il sensore.
E non solo si ha l’informazione dal sensore (circa la lettura della glicemia), ma si ha anche l’andamento piu’ recente.
L’infusione di insulina avviene attraverso il solito ago.

Questo e’ l’ultimo passo.

Attualmente 2 persone sono in osservazione da noi (al San Raffaele, n.d.r.) Questa e’ realta’. In questo caso a governare l’infusore e’ sempre la persona, che decide le dosi in funzione dell’andamento della glicemia.

Naturalmente il passaggio successivo e’ quello per cui, all’interno di questo apparecchio vi sara’ l’algoritmo e il sistema computerizzato, che stabilisce in automatico, senza piu’ l’intervento della persona, quali siano le dosi di insulina da erogare per mantenere costante la glicemia.
Ebbene questo e’ gia’ esistente. Naturalmente la sperimentazione deve essere lunga per motivi di sicurezza, perche’ voi sapete bene che se io ho un sensore ed un infusore integrati che decidono di somministrare 2 unita’ di insulina in bolo, e per un qualunque errore, anziche’ 2 unita’ ne inietta 20….le conseguenze possono essere molto negative!
Quindi e’ sull’aspetto della sicurezza che questi strumenti devono essere ancora sperimentati affinche’ raggiungano un’affidabilita’ totale.

Ma ripeto, parliamo gia’ dell’esistente e non del futuro.

 

 

Prof. Emanuele Bosi
Direttore Medicina Generale – Diabetologia ed Endocrinologia
Istituto San Raffaele di Milano

a cura di Daniela D’Onofrio

7 maggio 2006