Diabete: a Roma il summit internazionale dei diabetologi

“Il diabete è una delle cause principali di morte prematura nel mondo. Ogni dieci secondi una persona muore per cause legate al diabete e si prevede che l’indice di mortalità crescerà del 25% entro la fine del prossimo decennio. Secondo l’Organizzazione Mondiale della Sanità, il diabete potrebbe, per la prima volta in 200 anni, ridurre globalmente le aspettative di vita – ha affermato Massimo Porta, Presidente del Comitato organizzatore locale EASD Roma 2008 nel corso della prima giornata dei lavori del 44th Annual Meeting della European Association for the Study of Diabetes (EASD), in corso alla nuova Fera di Roma.

“Il diabete – ha proseguito il prof. Porta – è, quindi, un’emergenza planetaria, riconosciuta anche dalle Nazioni Unite che, nel dicembre 2006, hanno votato una Risoluzione per muovere i Paesi membri a destinare risorse alla ricerca scientifica, alla prevenzione e all’educazione. E’ la prima volta che la massima organizzazione mondiale si attiva per sensibilizzare verso una malattia non trasmissibile, dedicandole quell’attenzione riservata all’AIDS, alla tubercolosi, alla malaria, e considerandola un problema sociale e una minaccia per la salute pubblica del mondo”.

In Italia il diabete colpisce il 4,5% della popolazione, mentre solo dieci anni fa interessava 3 persone su 100. Per l’International Diabetes Federation, oltre 245 milioni di persone convivono con questa malattia nel mondo. “Il pericolo diabete è stato sottostimato per anni, ecco perché ci si aspetta che il numero totale di malati sia destinato ad aumentare ancora – ha sottolineato il prof. Paolo Cavallo Perin, Presidente designato di Diabete Italia – si prevedono 380 milioni di diabetici tra meno di 20 anni e sarà diabetico quasi 1 italiano su 10 sopra i 50 anni”.

In Italia una persona con diabete costa annualmente al SSN in media 2.589 euro: 827 (31,9%) per farmaci, 1.274 (49,2%) per ricoveri dovuti alle complicanze, 488 (18,9%) per prestazioni specialistiche e diagnostiche. Inoltre una persona con diabete assorbe il 54% di risorse in più di un assistito non diabetico, anche e soprattutto per malattie e disturbi concomitanti (ipertensione, dislipidemia, ecc.) e per l’incidenza delle inevitabili complicanze.
Tra le complicanze, la malattia coronarica (angina, infarto) è da 2 a 4 volte più frequente rispetto ai non diabetici; le persone con diabete contribuiscono per circa un terzo ai nuovi casi di dialisi; la metà di tutte le amputazioni non legate a traumi è causata dal diabete; la patologia è un’importante causa di disfunzione sessuale; infine, il diabete rappresenta la prima causa di cecità fra gli adulti.

“Il nostro Paese vanta, tuttavia, un settore diabetologico tra i più avanzati per quanto riguarda legislazione, organizzazione dell’assistenza e ricerca: i nostri medici e ricercatori contribuiscono attivamente al progresso in questo campo. E’ quindi con legittimo orgoglio che l’Italia ospita, con i suoi 17.000 partecipanti provenienti da tutto il mondo, quello che può essere considerato il principale e più prestigioso congresso internazionale sulla ricerca in diabetologia – ha affermato Ele Ferrannini, Presidente EASD.

Il 44° Congresso dell’EASD costituisce, quindi, un’occasione di confronto scientifico a livello internazionale, per i ricercatori e per chi deve contrastare, ai vari livelli di competenza, l’emergenza diabete. Ma cosa offre la ricerca più recente per far fronte a questa emergenza?

Innanzitutto, per il diabete di tipo 1, che colpisce soprattutto bambini e giovani, le insuline ricombinanti, prodotte da batteri e lieviti nei quali viene inserito il DNA dell’ormone. Oltre alle insuline “umane” disponiamo anche di analoghi, modificati ad arte per accorciarne od allungarne la durata di azione, che ci permettono di costruire schemi personalizzati per i singoli pazienti. Proseguono poi gli sforzi dei ricercatori italiani nel definire i criteri d’uso delle nuove insuline e nel diffondere l’uso dei microinfusori portatili che infondono insulina in continuo, eliminando la necessità delle iniezioni multiple e, soprattutto, rendendone più flessibili i dosaggi in base alla glicemia e alla composizione dei pasti.

L’esperienza italiana si consolida anche sul fronte dei trapianti, di pancreas intero e delle “insulae” che producono insulina, anche se l’intervento rimane limitato a pazienti molto selezionati.

Ma il tipo 1 colpisce il 10% dei diabetici mentre la reale epidemia riguarda il diabete tipo 2, nel quale l’organismo non riesce ad utilizzare l’insulina che esso stesso produce e che è associato all’obesità e favorito dalla sedentarietà e dall’eccesso di alimentazione. La sua prevenzione richiede l’impegno ad attuare campagne per correggere gli stili di vita della popolazione, a partire dall’età pre-scolare. Interventi più diretti sugli stili di vita di chi è già diabetico sono possibili e molto efficaci, come dimostrato dall’esperienza raccolta all’Università di Torino con gli interventi pedagogico-clinici di gruppo (Group Care e Studio ROMEO).

Il diabete tipo 2 è spesso controllabile con farmaci orali come metformina e sulfoniluree, note da decenni, e di nuovi farmaci che aumentano la sensibilità dell’organismo alla propria insulina, come il pioglitazone ed il rosiglitazone.

Disponibili da pochi mesi, ma già ampiamente sperimentati in Italia, sono nuovi preparati che sfruttano l’azione di ormoni, in particolare il GLP-1, prodotti dall’intestino durante il pasto e che stimolano il pancreas a produrre insulina. Exenatide, biosintetizzata sul modello di una proteina estratta dalla saliva di un rettile dei deserti nord americani (Gila Monster), mima l’azione del GLP-1.
La sua iniezione migliora la glicemia e favorisce la perdita di peso. Basati sul medesimo principio, ma con meccanismo d’azione differente sono sitagliptin e vildagliptin, che sfruttano l’effetto del GLP-1 prodotto dall’organismo, inibendo l’enzima che altrimenti lo inattiva nel giro di pochi minuti: il dipeptidil peptidasi-4 (DPP-4). Gli inibitori del DPP-4 possono essere impiegati per via orale da soli o in associazione a metformina o ai glitazoni, per migliorare il compenso glicemico quando dieta ed esercizio fisico risultano insufficienti nel controllo della glicemia. Sitagliptin, il capostipite di questa nuove classe, ha dimostrato anzi un effetto sinergico con la metformina: la combinazione dei due farmaci è più efficace dei singoli farmaci nel controllare la malattia. Per questo, poche settimane fa, l’agenzia europea del farmaco (EMEA) ha autorizzato l’impiego dell’innovativa formulazione combinata in un’unica pastiglia di sitagliptin + metformina.

Infine, proprio a Roma nel marzo 2007, la Consensus Conference Internazionale sulla chirurgia gastrointestinale per il trattamento del diabete di tipo 2, ha riconosciuto per la prima volta la leggittimità dell’approccio chirurgico a questa malattia. L’intervento chirurgico è oggi raccomandabile esclusivamente in pazienti con diabete e obesità grave, con indice di massa corporea superiore a 35, nei quali interventi come il bypass gastrico normalizzano la glicemia e riducono di oltre il 90% il rischio di morte per diabete. Nonostante ciò apra prospettive sino a pochi anni fa impensabili, bisogna sottolineare, nell’interesse di tutte le persone che soffrono di diabete, che siamo ancora in una fase sperimentale, nella quale le indicazioni restano limitate e molte sono le domande ancora senza risposta.

Oggi, esiste un interesse considerevole nei confronti della possibilità di sconfiggere il diabete ripristinando il numero di cellule beta nelle persone con la malattia. In teoria lo scopo può essere raggiunto in diversi modi. Il primo è il trapianto isole pancreatiche prelevate da un donatore clinicamente morto. Questa procedura funziona, ma il ricevente necessita di terapia immunosoppressiva con tutti i conseguenti rischi.

Un secondo sistema è quello di favorire la replicazione delle cellule beta residue. Al riguardo sono in corso studi su diversi approcci farmacologici. Il problema in questo caso sta alla base: nel diabete di tipo 1 dopo molti anni residuano poche cellule beta e promuoverne la replicazione senza fermare il meccanismo che porta alla loro distruzione rischia di causare una loro ulteriore diminuzione, poichè le cellule replicate sono più vulnerabili di quelle originali. Inoltre, l’induzione cronica della replicazione è un meccanismo che potrebbe potenzialmente favorire lo sviluppo di tumori.

La terza via è quella della rigenerazione delle cellule beta a partire dalle staminali, sia utilizzando quelle che già esistono sia creandone ex-novo. Questo è l’approccio meno sviluppato, sicuramente più controverso, ma che probabilmente alimenta le maggiori speranze.

 

da Salute Europa