SID 2008 Torino

Ho partecipato a questo appuntamento nazionale della Società italiana di Diabetologia con attenzione …cardiometabolica: desidero infatti riferirVi alcuni aspetti di questo nostro specifico interesse selezionati da un convegno ricco di spunti e approfondimenti scientifici, così come di personalità e studiosi di primissimo rilievo (nazionale e internazionale) che ha coronato gli sforzi del presidente ( Riccardo Vigneri, Catania) e del presidente eletto ( Paolo Cavallo Perin, Torino).

Ralph DeFronzo (San Antonio, Texas, USA) ha tenuto la “Lettura Mentor” (quale scienziato che ha saputo favorire il lavoro di numerosi ricercatori italiani) affrontando il tema della patogenesi del diabete mellito tipo 2 (DMT2), rivalutando la “vecchia” curva da carico orale di glucosio (OGTT) che, se ben interpretata e completata dall’analisi dell’insulinemia, permette di ottenere informazioni interessantissime sulla residua funzione beta-cellulare. Sappiamo che, negli stati di alterata tolleranza glucidica, il deficit funzionale di queste cellule ha spiegazioni genetiche (per esempio il polimorfismo del gene TCF7L2), anagrafiche (riduzione funzionale con il progredire dell’età), risente dell’insulino-resistenza, della glucotossicità e della lipotossicità, riflette un minor effetto incretinico e un’abnorme deposizione di amilina (IAPP) nella beta-cellula. L’iperproduzione epatica di glucosio (derivante in modo quasi paritario sia dalla gluconeogenesi da lattato-alanina, sia dalla glicogenolisi) gioca un ruolo fondamentale nell’aumento della glicemia basale, ma nella fase post-alimentare è il minor uptake muscolare di glucosio a rendere conto dell’iperglicemia persistente in soggetti con Impaired Glucose Tolerance (IGT) e con DMT2.

DeFronzo ha ricordato le alterazioni biochimiche (riduzione della piruvato deidrogenasi e della glicogenosintetasi) presenti nei diabetici, approfondendo gli studi con tecniche moderne (triplo isotopo: mannitolo C12, 3-O-metil-D-glucosio C14, glucosio triziato), sottolineando le gravi alterazioni sia nell’influsso intracellulare di glucosio, sia nella sua fosforilazione. Mediante biopsie muscolari ha poi studiato le proteine e l’mRNA dei soggetti diabetici, arrivando a dimostrare difetti nel substrato insulina-recettore (IRS-1), nella fosfo-inositol 3-kinasi (PI3K) con ridotta sintesi di ossido di azoto e (attraverso la via della MAP kinasi) stimolo alla mitogenesi e all’aterosclerosi.

Alcuni farmaci recenti (pioglitazone) riducono l’attività MAP kinasica, aumentando la PI3K, risultando potenzialmente utili nella prevenzione dell’evoluzione aterosclerotica. Inoltre non va dimenticato che l’aumentata disponibilità di acidi grassi liberi (FFA) determina maggior attività del FACoA che, attraverso la liberazione di NFkB, determina aumento di fattori pro-infiammatori e pro-aterosclerotici (serin-kinasi, TNF alfa, citokine infiammatorie, fattori di crescita e iNOS). Nelle sue conclusioni, DeFronzo ha proposto di trattare l’insulino-resistenza basandosi non solo sui livelli di HbA1c, ma anche sui meccanismi fisiopatologici , utilizzando precocemente metformina e tiazolidinedioni (in attesa di risultati clinici a più lungo termine con farmaci ad azione incretinica) per ottimizzare la protezione cardiovascolare.

Un interessante intermezzo è stato offerto da Carlo Petrini , gastronomo e fondatore di Slow food che, da non medico, ci ha ricordato come la gastronomia, per secoli, sia stata la scienza dei medici, risalendo al trattato del Platina De honesta voluptate del 1475; d’altro canto, dottori e cuochi fanno “ricette”. Nella sua facoltà di Scienze gastronomiche a Bra, in provincia di Cuneo, prima di affrontare tematiche più specificamente alimentari si cerca di recuperare la multisciplinarietà dell’alimentazione, inserendo insegnamenti quali la genetica, la biologia e la chimica. Petrini si adopera perché al cibo sia riconosciuto un valore “sacrale”, poiché il “consumismo” fine a se stesso è la causa principale della malnutrizione.

Roberto Vettor (Padova), presidente eletto della Società italiana per l’Obesità, ha spiegato i complessi rapporti tra centri cerebrali e periferia nella disregolazione energetica che conduce all’obesità. Ha rammentato che oggi si preferisce parlare di network di segnali orexigeni per indicare tutti i mediatori che stimolano il senso di fame, quali neuropeptide Y (NPY), Gh-relina, sistema degli endocannabinoidi, peptidi oppioidi endogeni, sistema GABA, orexine Il network anoressante e gli ormoni periferici (CCK, GLP1, PYY, amilina ecc.) dimostrano controlli reciproci e sinergie d’azione complesse. Di recente si è anche dimostrato il passaggio dell’insulina attraverso la membrana emato-encefalica, con Insulin-evoked cerebral responses .

Enzo Nisoli (Milano) ha ricordato l’importanza dei processi di mitocondriogenesi (regolata da NO) nello sviluppo dell’obesità viscerale. A differenza dell’immagine “statica” che appariva agli istologi di qualche anno fa, il mitocondrio si presenta oggi come un network di comunicazioni “a cavo”, con processi di fissione e di fusione in relazione allo stato energetico. Sono riconosciute malattie mitocondriali che si presentano clinicamente in modo complesso, spesso in età neonatale, con frequente evidenza di obesità, insulino-resistenza e diabete mellito. Estremizzando il concetto, anche il processo di invecchiamento può considerarsi una disfunzione mitocondriale progressiva.

Riccardo Bonadonna
(Verona) ha affrontato il complesso tema della funzione beta-cellulare pancreatica partendo dai data base degli studi GENFIEV (Genetica, Fisiopatologia e Evoluzione del Diabete tipo 2) e Verona Diabetes Study ; la cellula beta normale si comporta come un vero e proprio “sistema cognitivo” essendo in grado sia di riconoscere la concentrazione di glucosio, sia la crescita della glicemia nel tempo. Nel diabete questa “conoscenza” va perdendosi e la risposta secretoria è “isteretica” (reattiva e non precisa); le condizioni pre-diabetiche ricapitolano e anticipano tutte le maggiori alterazioni funzionali beta-cellulari che saranno più evidenti nella malattia diabetica manifesta.

Anche Stefano Del Prato (Pisa) ha riportato alcuni dati del citato studio GENFIEV, patrocinato da Fondi per la Ricerca SID onlus (FoRiSID), evidenziando come i parenti di soggetti diabetici con normale tolleranza glucidica mostrano all’OGTT già il 25 per cento circa di ridotta funzione beta-cellulare, da probabile background genetico. A tale proposito, il gene TCF7L2 , con le sue varianti, ha stimolato l’interesse dei ricercatori sia per comprendere la risposta di secrezione insulinica, sia per gli effetti di attività delle incretine (GIP e GLP-1): i portatori dell’allele T (specie gli omozigoti) mostrano deficit di GLP-1 con iperglucagonemia che, nel tempo, determina e sostiene l’insulino-resistenza.

Daniel Drucker (Toronto, Canada) e Francesco Giorgino (Bari) hanno rammentato le azioni dei nuovi farmaci ad azione incretinica (inibitori degli enzimi DPP-IV, analoghi del GLP-1), soffermandosi anche sulle potenzialità extrapancreatiche (peraltro ancora sottoposte a studi di valutazione). Tali argomenti sono stati oggetto anche delle relazioni di Piero Marchetti (Pisa) e di Agostino Consoli (Chieti), che hanno ricordato sia gli effetti pancreatici degli analoghi del GLP-1, sia il potenziamento dell’azione insulinica ottenuto da exenatide su fegato e muscolo scheletrico. Di assoluto interesse, ma ancora in fase speculativa, le potenzialità a livello cerebrale (per una teorica neuroprotezione ipotizzata negli animali da esperimento), sul cuore (lieve miglioramento della frazione di eiezione ventricolare in alcuni studi sperimentali) e sul rene (con aumento dell’escrezione di sodio). La lettura per il premio “Areteo” è stata assegnata ad Antonio Tiengo (Padova), che ha svolto un excursus “dalle alterazioni metaboliche al danno d’organo”.

Il tema della sessualità e diabete è stato ben affrontato da Emmanuele Jannini (L’Aquila) che ha concluso presentando le prospettive di trattamento farmacologico (nuove formulazioni di derivati del testosterone e nuove azioni riscontrate per gli inibitori delle 5-PDE). Di assoluta attualità anche il tema dell’osteoporosi, per le recenti correlazioni tra rosiglitazone e rischio di fratture in segmenti ossei anche non soggetti a carico funzionale: Claudio Marcocci (Pisa) ha fornito un’interessante spiegazione fisiopatologica, ricordando l’aumento della componente adiposa e la riduzione della componente trabecolare in soggetti posti in trattamento con glitazonici ad azione PPAR-gamma. Da non sottovalutare, poi, l’interazione tra diabete e poliendocrinopatie magistralmente affrontata da Alberto Falorni (Perugia), che ha suggerito di sottoporre a screening autoanticorpale mirato i malati di diabete mellito tipo 1 e LADA, così come i portatori di tireopatie e Addison autoimmuni.

Angelo Avogaro (Padova) ha tenuto una mini-review sul ruolo dello stress ossidativo nella micro- e macroangiopatia: tale stress è legato all’angiogenesi mediante inibizione di alcune fosfatasi che, riducendo la fosforilazione del recettore per il VEGF, ne determinano iperattività, con incremento di segnali angiogenici patologici. Incrementi di VEGF sono documentati nella retinopatia e nella nefropatia diabetica. Comportamento inverso, invece, si osserva a livello cardiaco dopo insulto ischemico, cioè laddove sarebbe necessaria un’attività angiogenica: qui la patologia diabetica impedisce l’attività del VEGF, con minore possibilità di ripresa vascolare. Oltre ai prodotti di avanzata glicosilazione (AGEs), si riconoscono i prodotti di avanzata lipo-ossidazione (ALEs). L’insieme di questi (definiti EAGLES) attiva recettori cellulari (EAGLER) che determinano la produzione di specie reattive dell’ossigeno (ROS). Oltre a questi, peraltro, è noto anche uno stress carbonilico ossidativo indotto da diete aterogene che è in grado di modificare le LDL e di causare danni cellulari diretti.

La seguente sessione di comunicazioni (così come quelle dei giorni successivi) ha messo in luce l’attività di molti giovani ricercatori distribuiti praticamente su tutto il territorio nazionale, segno di una realtà diabetologica dinamica e stimolante. Come purtroppo accade spesso in questi eventi congressuali, le sessioni vengono condotte “in parallelo” (per ovvie necessità temporali), ma ciò implica altrettanto spesso una scelta dolorosa: seguire solo in parte le novità presentate, lasciando alla lettura degli abstract le restanti tematiche. Tra gli argomenti di interesse cardiometabolico sottolineo gli studi sull’osteoprotegerina (OPG), che è considerata fattore di rischio cardiovascolare ed è elevata nel plasma di soggetti diabetici, probabilmente come reazione al danno vascolare, nel tentativo di ridurre le calcificazioni vascolari indotte, per esempio, dallo stress ossidativo.

Enzo Bonora (Verona) ha sottolineato il drammatico rischio cardiovascolare nei diabetici: in 10 anni un uomo su otto e una donna su 16 avranno un infarto miocardico o una rivascolarizzazione coronarica, mentre un paziente (di entrambi i sessi) su 16 avrà un ictus cerebrale. I vari fattori di rischio interagiscono fra loro moltiplicando i danni, e se non si raggiungono i target di trattamento indicati dalle linee guida, non si ottengono i risultati di riduzione di morbilità e mortalità. Dal punto di vista clinico, non sembra ragionevole stilare a priori una graduatoria della pericolosità dei vari fattori di rischio, ma è bene agire in relazione al singolo paziente reale che il medico ha di fronte.

Hertzel Gerstein (Hamilton, Ontario, Canada) ha ricordato come la glicemia (basale e post-prandiale) sia un importante fattore di rischio per l’evoluzione delle complicazioni micro- e macrovascolari; più controversa è la questione se la riduzione della glicemia sia in grado di prevenire le conseguenze vascolari del diabete di tipo 2. I dati degli studi di intervento si basano sull’UKPDS (in cui il gruppo in terapia intensiva ha ottenuto una diminuzione dell’HbA1c di 0,9% inferiore rispetto al gruppo in trattamento convenzionale) e sullo studio Kumamoto (relativamente pochi pazienti, circa 110, seguiti per otto anni). Il ProActive è durato solamente tre anni (differenza dello 0,6% di HbA1c e di 3 mmHg di pressione sistolica) con endpoint primario non raggiunto, probabilmente per il periodo di osservazione troppo breve. Lo studio Record ha anticipato alcuni risultati (sulla scia della indagata pericolosità di rosiglitazone), ma sappiamo già che i pazienti trattati con sulfaniluree hanno avuto un’HbA1c più bassa nel primo-secondo anno dello studio.

Nuovi studi devono essere conclusi: a breve arriveranno i dati dell’Accord (interrotto precocemente per aumentata mortalità nel gruppo in trattamento intensivo per raggiungere un valore di HbA1c <6,0%) e dell’Advance; bisognerà attendere ancora un poco per Navigator, ACE e Origin. Alberto Zambon (Padova) ha stimolato la prosecuzione degli studi sulle lipoproteine, facendo presente che è disponibile un kit commerciale per il dosaggio ELISA delle LDL ossidate, che correlano con microalbuminuria e proteinuria, mentre il rapporto LDLox/ApoB aumenta la significatività statistica, correlando anche con la retinopatia diabetica. Le LDL modificate sarebbero in grado di indurre apoptosi precoce, come evidenziato dall’aumentata espressione di citokine infiammatorie a livello renale; inoltre l’IL6 (indice di proliferazione mesangiale) è indotta proprio dalle LDL.

Splendida la relazione di Francesco Giorgino (Bari) sui complessi meccanismi generati dal legame dell’insulina con il suo recettore: si può schematicamente riassumere il segnale intracellulare dell’insulina in tre vie principali che portano alla traslocazione dei trasportatori del glucosio (GLUT) sulla membrana cellulare, al metabolismo del glucosio, con sua degradazione o con sintesi di glicogeno e all’interferenza con la trascrizione genica per la biosintesi di GLUT. La complessità della prima via (traslocazione dei GLUT) è valutabile come intensità di segnale (studiata mediante l’attività della PI3K), come cinetica di attivazione (per esempio, il tessuto adiposo viscerale è più rapido nella reazione rispetto al tessuto adiposo sottocutaneo) e come efficienza di trasmissione (valutabile mediante le isoforme della PI3K e alcune subunità regolatrici dello stesso enzima). La seconda via, quella della glicogenosintesi, ha diversa efficienza di trasmissione in relazione, per esempio, alla capacità di fosforilazione proprio dell’enzima glicogenosintetasi. Anche la terza via (azione sulla biosintesi di GLUT) riconosce risposte differenziate, sia nel senso di un eccessivo stimolo biosintetico di GLUT (e aumentato ingresso intracellulare di glucosio che porta a glucotossicità) sia in senso di ridotta presenza di trasportatori sulla membrana (e quindi di minore trasporto di glucosio intracellulare).

Una sessione di assoluto interesse, per la novità dell’argomento e gli spunti culturali sottesi, è stata quella dedicata ai microRNA (saranno la prossima frontiera della ricerca in diabetologia, come proponeva il sottotitolo del simposio presieduto proprio da F. Giorgino e da Marta Letizia Hribal di Catanzaro). Enrico De Smaele (Roma) ha esordito ricordando la demolizione dell’assioma della biologia “un gene, una proteina”, poiché ora è noto che da un gene possono derivare più proteine. Inoltre, dal 1993, sappiamo che esistono geni non codificanti proteine, ma con funzioni di controllo. L’evoluzione degli studi genici ha portato a riconoscere, nel 2001, proprio i microRNA quale classe di regolatori una volta avvenuta la trascrizione dell’espressione di altri geni. Sappiamo che essi intervengono nel regolare la differenziazione cellulare, risultando di estrema importanza non solo nella fisiologia, ma anche nella patologia (per esempio, il mancato blocco di oncogeni nel determinare una malattia neoplastica). Nel diabete mellito tipo 2 sono stati effettuati studi per valutare la regolazione dei microRNA rispetto alla popolazione non diabetica, ma l’applicazione clinica di tali osservazioni richiede tempo

 

 

di Antonio C. Bossi
Direttore, Unità operativa “Malattie metaboliche e Diabetologia”
Azienda ospedaliera “Ospedale Treviglio-Caravaggio”

Tratto da Cardiometabolica.org