Sensori glicemici sottopelle

Un sensore per la glicemia che si può impiantare sotto la pelle. È l’ultima novità provata da alcuni giapponesi, per ora sui topi: contiene un marcatore fluorescente del glucosio e basta avvicinare un piccolo lettore di fluorescenza alla pelle per sapere la glicemia. I dati sono stati pubblicati sulla rivista Proceedings of the National Academy of Sciences, quasi in contemporanea alla notizia, dalla Norvegia, che un minuscolo sensore osmotico potrebbe essere iniettato nei pazienti e dare misurazioni continue per un mese. Per ora i sensori in continuo devono ancora pungere la pelle; sono piccoli come una moneta da 2 euro, inviano i dati raccolti a mini-computer esterni, misurano la glicemia ogni 5 minuti per qualche giorno.

Il pancreas artificiale – GUARDA

MODIFICHE ALLA TERAPIA – Ma non sono perfetti: «La loro accuratezza non è ottimale, anche se rispetto a due o tre anni fa sono molto migliorati – spiega Daniela Bruttomesso, che coordina il Centro Regionale Veneto per la terapia con microinfusori all’università di Padova -. C’è un ritardo fra la lettura sottocute e il valore reale nel sangue: di fatto, il sensore dice la glicemia di circa 15 minuti prima. Così, il paziente deve fare comunque 4, 5 misure al giorno pungendosi il dito e usando le strisce reattive per calibrare il sensore e decidere eventuali modifiche della terapia. Il costo, 100 euro a settimana, non è irrisorio; in più per essere utile il sensore andrebbe portato per il 60-70% del tempo. Per questo vengono dati ai pazienti che non controllano bene la glicemia o hanno frequenti ipoglicemie notturne senza sintomi». Tra l’altro, non c’è quasi nessuno che porti il sensore senza il microinfusore, ovvero lo strumento per iniettare l’insulina in continuo: insieme, i due apparecchi dovrebbero costituire il pancreas artificiale di cui tanto si favoleggia. Che ancora, però, non c’è. «Soprattutto per “colpa” del sensore l’accuratezza del sistema non è il massimo – osserva Giorgio Grassi, del Gruppo Tecnologia e Diabete della Società Italiana di Diabetologia – Associazione Medici Diabetologi -. Il microinfusore eroga insulina sottocute e questo comporta un ritardo del picco dell’ormone nel sangue; inoltre, nel nostro organismo la produzione di insulina si prepara già quando vediamo il cibo e di questo l’apparecchio non riesce a tener conto, arriva comunque in ritardo. Lo strumento perciò è preciso nelle situazioni stabili, ad esempio di notte, ma non quando le necessità di insulina cambiano rapidamente, come ai pasti o quando si fa esercizio fisico».

STRUMENTO INTELLIGENTE – Peraltro è il diabetico che deve “aggiustare” le dosi di insulina: il pancreas artificiale di fatto non c’è perché il sistema sensore-microinfusore non è ancora in grado di prendere decisioni da solo, di reagire alle diverse glicemie. Qualche passo in questo senso però è stato fatto: da un anno esiste uno strumento “intelligente” che blocca l’erogazione di insulina se il sensore si accorge di un’imminente ipoglicemia. Presto dovrebbe arrivare anche un apparecchio capace di autogestirsi almeno di notte: Angelo Avogaro e Claudio Cobelli lo stanno sperimentando a Padova, in collaborazione con le università di Montpellier e della Virginia. «Il primo studio, su 21 pazienti, ha dimostrato che riusciamo a ridurre di 5 volte il rischio di ipoglicemie notturne – informa Bruttomesso, che partecipa alla sperimentazione -. Su sei pazienti, stiamo valutandone l’affidabilità al momento dei pasti e quando si fa esercizio fisico. Per ora tutti i test si fanno con il paziente ricoverato in ospedale, ma nel giro di cinque anni speriamo di poterlo sperimentare a domicilio. La strada sembra giusta, ma non dobbiamo alimentare false speranze».

di Elena Meli

Da Il Corriere.it Salute