Se il bisturi è la cura

Nel marzo 2007 con la Consensus Conference Internazionale sulla chirurgia gastrointestinale per il trattamento del diabete di tipo 2, che si è svolta a Roma alla presenza di oltre cinquanta esperti di chirurgia dell’obesità e del diabete provenienti da più di venti paesi, si è per la prima volta riconosciuta la leggittimità dell’approccio chirurgico a questa grave malattia. L’entusiasmo per un fatto storico in medicina non deve tuttavia far dimenticare che ci si trova in una fase ancora sperimentale, in cui le indicazioni restano limitate e molte sono le domande senza risposta.
Questo deve essere attentamente considerato per l’importanza che questo fatto riveste, soprattutto nell’interesse di milioni di persone che in tutto il mondo soffrono di diabete.

L’opzione chirurgica è raccomandabile in pazienti con diabete e obesità severa (IMC superiore a 35), nei quali interventi come il bypass gastrico non solo normalizzano la glicemia ma riducono di oltre il 90 per cento il rischio di morire a causa del diabete. Sebbene remissioni chirurgiche del diabete siano ora documentate anche in pazienti non obesi, resta da chiarire se anche in questi ultimi il bilancio tra il rischio dell’intervento e il beneficio a lungo termine renda la chirurgia preferibile ai trattamenti convenzionali, farmacologici e di modifica dello stile di vita. I risultati degli studi clinici preliminari fanno ben sperare, ma per risposte definitive occorrerà attendere l’esito di alcune ricerche in corso.

La chirurgia del diabete rappresenta tuttavia molto più di una opzione terapeutica e potrebbe contribuire a cambiare il modo stesso di intendere la malattia diabetica.

Le prime sporadiche osservazioni degli effetti antidiabetici della chirurgia risalgono alla prima meta del ventesimo secolo, a seguito di interventi per ulcera duodenale, tecnicamente simili a quelli oggi in uso per la chirurgia dell’obesità. Fu però proprio con l’avvento di quest’ultima che le osservazioni si moltiplicarono grazie all’alta prevalenza del diabete nei pazienti obesi. Ma se la chirurgia dell’obesità ha il merito di aver fatto aumentare le osservazioni di questo fenomeno, essa ha però contribuito a ritardarne la corretta interpretazione.

La remissione chirurgica del diabete fu infatti a lungo giustificata come logica conseguenza della perdita di peso in pazienti resi diabetici dall’enorme sovrappeso. Una spiegazione logica, questa, che tuttavia non tiene conto di un fatto importante, ovvero che l’intestino, di cui la chirurgia modifica sostanzialmente l’anatomia, produce segnali ormonali coinvolti nella produzione di insulina e nella sopravvivenza delle cellule pancreatiche che la producono. Una alterazione di tali segnali potrebbe contribuire ai difetti di produzione e azione dell’insulina tipiche dei diabetici. Alcuni studi da me condotti su animali diabetici ma non obesi hanno permesso di documentare che il bypass del duodeno migliora questi difetti indipendentmente dalla perdita di peso. Ciò suggerisce che nel bypassare questo tratto d’intestino “bypassiamo” forse quella che potrebbe essere la fonte del problema. La teoria necessita di ulteriori verifiche, ma la possibilita che l’intestino sia coinvolto nella genesi del diabete diventa plausibile. Per tutti questi motivi, la chirurgia del diabete rappresenta il più promettente approccio per capire e curare la malattia. Un obiettivo ambizioso, ma mai come ora a portata di mano.

 

di Francesco Rubino
Resp.le Unità di Chirurgia Metabolica e Dir. Centro di Chirurgia del Diabete
Weill Medical College della Cornell University/New York Presbyterian Hospital

da Repubblica.it Supplemento Salute

20 marzo 2008