Scuba e diabete

Le immersioni subacquee, sia in apnea che con autorespiratore, sono da sempre state considerate precluse per le persone affette da diabete mellito, rientrando costantemente nelle liste delle attività non consentite, insieme ad altri sport definiti “estremi”, come l’alpinismo, l’automobilismo, il volo.
In realtà una esclusione indiscriminata di questo tipo, risultato di una convinzione tuttora diffusa anche in ambienti qualificati, non pare realmente giustificata sul piano scientifico, ed è oggi sottoposta ad un’attenta riconsiderazione.


 

Mentre in altri Paesi negli ultimi anni si è registrata su questo argomento una aumentata sensibilità da parte sia della comunità scientifica che delle principali organizzazioni professionali subacquee, in Italia il problema è stato finora sostanzialmente ignorato. Ciò ha comportato, in pratica, il mantenimento del “tabù” tradizionale, con il risultato che il giovane diabetico o non pratica attività subacquea, o lo fa nascondendo la propria condizione, con i rischi connessi alla mancanza di una preparazione e di un addestramento adeguati.

Del resto, è convinzione diffusa che le dimensioni del problema siano notevoli, anche se poco conosciute: in uno studio del 1993, la Divers Alert Network (DAN) aveva riportato fra i suoi 115.300 membri la presenza di 164 subacquei diabetici, per un totale di oltre 27.000 immersioni, svoltesi senza complicazioni mediche di rilievo.

Sempre negli anni ‘90 erano stati pubblicati alcuni studi preliminari su piccole casistiche, evidenziando come, in condizioni controllate, soggetti con diabete insulino-trattato possano immergersi in sicurezza. Un nuovo studio del 2004 proveniente dalla DAN, relativo a oltre 1000 immersioni in un gruppo di 83 subacquei diabetici, ha poi documentato la possibilità di controllare i livelli glicemici, evitando marcate escursioni ipo- e iperglicemiche, basandosi su norme di comportamento di facile applicazione. A conclusioni analoghe sono poi giunti altri autori negli ultimi anni.

Un riesame complessivo della questione è quindi oggi possibile, e necessario, ed è quanto cercheremo di fare in questo capitolo; tale operazione richiede tuttavia un richiamo preliminare ai rapporti fra esercizio fisico in generale ed equilibrio metabolico, in condizioni fisiologiche e in presenza di diabete mellito. Poste queste basi sarà poi possibile affrontare più specificamente le problematiche relative all’attività subacquea, arrivando infine ad una serie di indicazioni pratiche basate anche sulla esperienza recentemente sviluppata presso il nostro Centro .

 

EQUILIBRIO GLICEMICO E ATTIVITA’ FISICA NELLA PERSONA NON DIABETICA

Ricordiamo rapidamente alcuni concetti elementari di fisiologia:

• Il muscolo utilizza glucosio come ‘carburante’, per venire incontro alle proprie necessità energetiche. Questo vale in condizioni di riposo, e vale soprattutto in situazioni di intensificazione dell’attività, come avviene tipicamente con un esercizio sportivo.

• Il glucosio è presente nel muscolo come deposito, sotto forma di Glicogeno; inoltre, il muscolo può “recuperare” glucosio dal sangue circolante. Per far questo è necessario che il glucosio riesca ad entrare nelle cellule muscolari.

• Il glucosio circolante può provenire:

• dall’assorbimento intestinale (quindi dall’alimentazione)

• dalla mobilitazione di depositi presenti in determinati tessuti (prevalentemente fegato e muscoli), con un processo detto di Glicogenolisi

• dalla trasformazione di alcune sostanze circolanti (acidi grassi liberi, aminoacidi), con un processo detto di “Gluconeogenesi”

• Un ruolo fondamentale in questi processi è svolto dall’insulina: essa riduce la liberazione di glucosio dai depositi tissutali, riduce la produzione “ex novo” di acidi grassi liberi (NEFA), limitandone la disponibilità, favorisce l’ingresso del glucosio nella cellula muscolare. Il risultato ultimo dell’azione insulinica è quindi una diminuzione dei livelli di glucosio nel sangue, ed un aumento delle sue concentrazioni intracellulari.

Quando si inizia un esercizio muscolare, è necessario che il muscolo aumenti la sua disponibilità di glucosio, e che nel contempo venga mantenuta una glicemia normale. Per far questo, un organismo sano aumenta la produzione di glucagone e catecolamine, e parallelamente riduce la produzione di insulina, in modo da ottenere una maggiore disponibilità di glucosio (prima con la glicogenolisi, poi con la gluconeogenesi epatica); inoltre regola correttamente l’ingresso del glucosio nelle cellule muscolari, assicurando un delicato equilibrio che eviti sia un’entrata eccessiva (che porterebbe all’ipoglicemia) sia un’entrata troppo scarsa, (che lascerebbe il muscolo senza “carburante”).

Il meccanismo di adattamento fisiologico consiste quindi in una serie di modificazioni ormonali, che pongono l’organismo in condizione di modesta ipoinsulinemia, da considerare situazione ideale per l’inizio di un’attività fisica.

E chiaro che in presenza di un eccesso di insulina circolante, cioè in situazione di iperinsulizzazione , si avrebbe una riduzione della disponibilità di glucosio nel sangue, e un suo ingresso eccessivo nelle cellule, con il risultato ultimo di una ipoglicemia.

In carenza di insulina, invece, una ipoinsulinizzazione marcata determinerebbe un eccessivo livello di glucosio ematico, e un suo ridotto trasporto attraverso la membrana cellulare: il risultato sarebbe un’iperglicemia, e un’insufficiente disponibilità di glucosio all’interno delle cellule muscolari, con conseguente difficoltà a produrre l’energia necessaria.

 

CHE COSA SUCCEDE NEL SOGGETTO DIABETICO

La regolazione descritta nei paragrafi precedenti risulta problematica, o addirittura impossibile, nelle persone diabetiche, nelle quali l’azione insulinica è, per definizione, deficitaria; questo può essere il risultato di una carenza assoluta dell’ormone, come avviene nel Diabete Mellito di tipo 1, o di una ridotta sensibilità tissutale, caratteristica del Diabete di tipo 2. Per consentire una regolare attività fisica (peraltro fondamentale per il benessere e il buon compenso metabolico), l’obiettivo sarà di adattare gli interventi terapeutici ricreando il più fedelmente possibile le modificazioni fisiologiche. Bisognerà quindi programmare l’esercizio modificando orari, alimentazione ed eventuale terapia farmacologica in modo da evitare sia la iperinsulinizzazione che la ipoinsulinizzazione.

Le diverse forme cliniche di Diabete Mellito presentano, naturalmente, problematiche differenti, decisamente più rilevanti per il Diabete di tipo 1 o, comunque, insulino-trattato, più modeste per il Diabete di tipo 2, soprattutto se non trattato farmacologicamente.

Anche in quest’ultimo caso, comunque, in trattamento con sola dieta, si può verificare una relativa iperinsulinizzazione, da mancata inibizione dell’insulino-secrezione, con conseguenti possibili modeste riduzioni dei valori glicemici. Un rischio maggiore di ipoglicemia si può avere, invece, nei soggetti che assumono ipoglicemizzanti orali insulino-stimolanti, le cui dosi andranno pertanto ridotte, e a volte addirittura sospese in occasione di esercizio fisico di una certa intensità.

Più impegnativi sono gli adattamenti terapeutici necessari in corso di trattamento insulinico. A questo proposito è utile tenere presente che in questi anni si sta verificando un rapido passaggio dalle insuline “umane” ai cosiddetti “analoghi” dell’insulina (rapidi o long-acting), molecole minimamente modificate con la tecnica dell’ingegneria genetica, che generalmente consentono un più efficace compenso metabolico, grazie ad un miglior controllo dei picchi iperglicemici post-prandiali, e ad una più regolare e prevedibile insulinizzazione basale.

Per evitare di effettuare sport in condizioni di iperinsulinizzazione, andranno evitati i periodi corrispondenti al picco di azione delle varie molecole; la attività fisica deve quindi essere effettuata:

• Almeno 2-3 ore dopo iniezione di analogo rapido

• Almeno 4-5 ore dopo iniezione di insulina Regolare

• Almeno 8-10 ore dopo iniezione di insulina Intermedia

Orari ideali sono quindi il primo mattino (prima della iniezione della colazione) o, meglio ancora, la tarda mattinata o il tardo pomeriggio.

In caso di esercizio non programmato, non avendo potuto adattare preventivamente la dose di insulina, è opportuno un apporto di carboidrati (CHO) intra- e post-esercizio di 25-50 gr ogni ora.

Esiste d’altro lato un rischio di ipoinsulinizzazione, se l’esercizio fisico viene effettuato a troppa distanza dalla precedente iniezione di Regolare, e soprattutto di analogo rapido: il problema si pone frequentemente, ad esempio, per un’attività praticata alla fine dell’orario di lavoro, o nell’ora abitualmente prevista per la cena (20-21).

Se l’insulinizzazione basale è assicurata con Intermedia iniettata al momento di coricarsi (“bed-time”), la soluzione può essere la iniezione di una piccola dose supplementare (1-2 U) di un analogo rapido intorno alle 17-17.30. Il problema non sussiste, invece, nei pazienti in terapia con analoghi long-acting, che assicurano un livello di insulinizzazione costante per tutte le 24 ore.

Ottimale, comunque, anche a questo fine, è la terapia con microinfusore.

Vi sono poi altre variabili da considerare, di seguito schematizzate:

• Aumentata sensibilità all’insulina nelle ore successive all’esercizio fisico.

• E’ un fenomeno più marcato quando l’esercizio è occasionale (o comunque non regolare), e quando il soggetto non è allenato.

• Dura fino a 24-36 ore, ma è clinicamente importante nelle prime 6-12 ore

• Di esso va tenuto conto per programmare le dosi di insulina successive all’esercizio (soprattutto la dose serale di insulina ritardata).

• Modificato assorbimento dell’insulina dai siti di deposito

• La velocità di assorbimento può essere aumentata a causa di iperemia locale, calore prodotto, aumentata velocità di circolo

• Il problema riguarda prevalentemente le insuline ad azione ritardata, in misura minore la Regolare , pochissimo gli analoghi rapidi

• Per minimizzare queste variazioni, è importante la scelta dei siti di iniezione: si considera abitualmente preferenziale la zona addominale.

• Va posta attenzione anche all’ambiente caldo-umido (ad esempio quello di una doccia calda prolungata al termine dell’attività), che può causare vasodilatazione, alterando di conseguenza la velocità di assorbimento.

• Durata dell’attività

• Più prolungata è l’attività fisica, maggiore il dispendio energetico e il rischio di ipoglicemie.

• Tipo di attività fisica

• La attività fisica ideale per la persona diabetica è sicuramente di tipo aerobico alattacido di media-lunga durata (jogging, ciclismo, sci di fondo, nuoto, trekking).

 

ADATTAMENTO DELLA TERAPIA

Fino a qualche anno fa venivano consigliati algoritmi prestabiliti di adattamento posologico, che prevedevano una riduzione della dose di insulina iniettata prima dell’esercizio. Su questa base, la dose di Regolare o analogo rapido andrebbe ridotta, per esercizi di durata inferiore a 60′ , dal 5% al 20% a seconda dell’intensità dell’esercizio; prevedendo una durata superiore la riduzione dovrebbe invece essere del 20% – 30%.

Attualmente si preferisce però evitare schemi rigidi di adattamento della posologia. Le modificazioni, sia dell’insulina che della alimentazione, andranno invece adattate ai valori glicemici rilevati, al loro “trend” dinamico, al tipo di esercizio previsto. Bisognerà anche tenere conto delle esperienze precedenti, dato che ogni persona ha una sua personale risposta all’esercizio.

Orientativamente, però, l’ANIAD (Associazione Nazionale Italiana Atleti Diabetici) consiglia di ridurre del 30-35% la dose di insulina ritardata nel giorno dell’esercizio, aggiungendo all’alimentazione un supplemento di 15-30 gr di CHO ogni 30′ .

La dose di Regolare o analogo rapido pre-prandiale precedente l’esercizio andrà ridotta sensibilmente (dal 25% al 50-75%) se la attività viene svolta a ridosso del pasto, quindi nel periodo di massima insulinizzazione. Se invece l’attività è svolta in fase di bassa insulinizzazione, la eventuale variazione va personalizzata sulla base dei valori glicemici in autocontrollo.

In caso di esercizi prolungati, soprattutto se eseguiti nel tardo pomeriggio o in serata, andrà ridotta (orientativamente del 20-30%) anche la dose successiva di insulina ritardata.

In generale le linee-guida internazionali consigliano, sulla base dei valori glicemici rilevati, di:

• Evitare l’esercizio fisico se > 250 mg/dl, con presenza di chetonuria

• Usare cautela se > 300 mg/dl in assenza di chetonuria

• Ingerire un supplementi di carboidrati se <100 mg/dl

Come già detto, é comunque importante non solo il valore assoluto della glicemia, ma anche il suo andamento temporale (“trend” stabile, in discesa, o in aumento ).

LA PERSONA DIABETICA E L’IMMERSIONE SUBACQUEA CON AUTORESPIRATORE

Quanto detto per la attività fisica e sportiva generale può applicarsi, con i debiti adattamenti, anche per le immersioni subacquee con autorespiratore.

Per la parte che si svolge in acqua, le immersioni con ARA, in condizioni normali, sono classificabili come attività aerobica alattacida a bassa intensità, comportante un pinneggiamento lento e movimenti delle braccia. Dal punto di vista del dispendio energetico esse sarebbero quindi equiparabili al nuoto in superficie; bisogna tuttavia considerare anche la fase di preparazione (vestizione, trasporto e montaggio attrezzatura, raggiungimento del punto di immersione), le condizioni ambientali spesso comportanti escursioni termiche importanti (caldo in superficie, freddo in immersione), e i possibili imprevisti (correnti, onde, problemi di orientamento).

Tutte queste componenti fanno della attività subacquea un esercizio discretamente impegnativo, sia fisicamente che psicologicamente, che richiede da parte dei partecipanti una buona condizione fisica generale. Questo naturalmente vale per il soggetto diabetico come per qualunque altra persona; si tratta ora di esaminare se la condizione diabetica comporti, di per sé, problematiche e rischi particolari, e come essi vadano affrontati.


Rischi specifici del paziente diabetico

I rischi comunemente considerati connessi alla pratica subacquea (tab. 1), rari e principalmente dovuti all’aumento della pressione negli spazi aerei, alla aumentata pressione di azoto in profondità, a disturbi gastrointestinali e, soprattutto, alla “malattia da decompressione”, risultano solo minimamente aumentati dalla presenza di una malattia diabetica non complicata e in buon compenso, e sono prevenibili con una corretta preparazione del paziente e con l’adozione di misure precauzionali adeguate.

Tab. 1 : RISCHI GENERALI DELLE IMMERSIONI CON ARA

 

• Barotrauma

• Polmonare

• Dell’orecchio medio

• Dell’orecchio interno

• Dei seni paranasali

• Altri non comuni (volto, pelle,denti, stomaco)

• Narcosi da azoto

• Malattia da decompressione

• Tipo I

• Tipo II

Oltre a questi rischi generali, esistono però alcuni problemi, specifici per il subacqueo diabetico, che possono derivare dalla interferenza fra le particolari condizioni in cui si svolge questo tipo di attività sportiva e la normale gestione della malattia.

Un primo elemento di criticità rimane potenzialmente legato alla pressione ambientale, per un possibile aumento dell’assorbimento di insulina dai depositi s.c., con conseguente reazione ipoglicemica in immersione, comprensibilmente più difficile da rilevare e da trattare che in superficie. Non vi sono evidenze, invece, di un aumentato rischio di peggioramento di una retinopatia diabetica preesistente, in passato riportato in alcune pubblicazioni.

Vanno poi messi in conto altri possibili problemi derivanti da:

• Stress (vestizione, paura, panico, ecc), con conseguenti complicazioni iperglicemiche

• Aumentato dispendio calorico (freddo, sovraccarico di lavoro non previsto), con conseguenti complicazioni ipoglicemiche

• Ipoglicemia inavvertita per neuropatia autonomica, o “hypoglycemia unawareness”, evidentemente favorita dalle inusuali condizioni ambientali.

• Possibile confusione fra sintomi ipoglicemici e narcosi da azoto

• Chetoacidosi diabetica (come per qualunque altra forma di esercizio fisico, se praticato in carenza di insulinizzazione)

• Disturbi gastroenterici in caso di gastroparesi (nei soggetti con neuropatia autonomica)

• Cardiopatia ischemica silente (più frequente nelle persone diabetiche che nella popolazione generale)

Tutti i rischi ora elencati vanno conosciuti, e non sottovalutati ma si può dire che buona parte di essi è facilmente prevenibile con una accurata valutazione preliminare, che escluda le persone con chiare controindicazioni, e con una serie di misure precauzionali facilmente attuabili.

Pertanto, oltre a valutare attentamente la presenza di controindicazioni generali all’attività subacquea (alcolismo, tossicodipendenza, malattie psichiatriche, epilessia, problemi ORL), é

necessario indagare possibili controindicazioni specifiche, conseguenti a particolari caratteristiche della malattia diabetica. A questo scopo, la American Diabetes Association, insieme alla Undersea Hyperbaric Medical Society ha definito una lista di criteri di esclusione, riportata nella tab. 2, che prende in considerazione i rischi principali, collegandoli alle più frequenti situazioni predisponenti.

tab. 2: criteri di selezione ADA e UHMS

RISCHI

ESCLUSIONE SE

Ipoglicemia

  • Neuropatia autonomia
  • Hypoglycemia unawareness
  • Storia di gravi ipoglicemie nei 12 mesi precedenti

Chetoacidosi

  • Diabete non controllato
  • Inadeguata comprensione del rapporto diabete/esercizio fisico

Complicanze croniche

  • Serie complicanze micro/macroangiopatiche

 

Una prevenzione efficace, presupposto per una immersione in condizione di sicurezza anche in presenza di malattia diabetica, richiede pertanto l’esclusione della esistenza delle controindicazioni (generali o specifiche) ora ricordate.

Questo deve prevedere, oltre alla valutazione dei comuni indicatori di controllo metabolico, una serie di indagini mediche multispecialistiche, sia cliniche che strumentali. Tali accertamenti possono variare in funzione della disponibilità, e della esperienza dei singoli Centri; tuttavia è essenziale che vengano adeguatamente indagate le seguenti condizioni, potenzialmente escludenti:

• Cardiopatie favorenti shunt artero-venosi (comunicazioni interatriali, ecc.)

• Epilessia

• Patologie a carico delle prime vie aeree, dei seni paranasali, e dell’orecchio

• Compenso metabolico cronicamente gravemente alterato e/o instabile

• “Hypoglicemia Unawareness” (incapacità a riconoscere l’ipoglicemia)

• Nefropatia diabetica conclamata (riduzione del Filtrato Gomerulare e/o proteinuria) o incipiente (microalbuminuria > 200 mcg/min)

• Retinopatia diabetica di grado medio-elevato (forme essudative, ischemiche, proliferanti)

• Polineuropatia sensitivo-motoria

• Neuropatia autonomica

• Cardiopatia ischemica conclamata o silente

Una volta escluse le condizioni che controindicano comunque l’avvio ad un programma di attività subacquea, rimane la necessità di prevenire, ed eventualmente controllare, i possibili problemi al quale una persona diabetica può andare incontro nel corso di un’immersione, nella sua fase preparatoria, o nelle ore successive.

Il problema principale è soprattutto l’ipoglicemia, che in alcuni casi potrebbe rappresentare un reale pericolo, interferendo con la sensibilità, con il livello di vigilanza, con i riflessi e il coordinamento dei movimenti. Come si è detto, la sua correzione è ovviamente più problematica che in superficie: l’assunzione dei preparati a base di carboidrati abitualmente utilizzati non è possibile in immersione (o comunque in acqua) e anche l’aiuto da parte di un’altra persona non può basarsi sui metodi usuali (iniezioni e.v. di glucosio, o s.c di Glucagone).

Esiste anche un problema di riconoscimento della sindrome: in immersione, infatti, i sintomi dell’ipoglicemia possono essere confusi con quelli della narcosi da azoto, mentre nelle ore successive essi possono confondersi con una malattia da decompressione.

L’ipoglicemia va dunque considerata con attenzione, ancor più che per altre attività potenzialmente “a rischio” (come la guida o lo stesso nuoto in superficie), ma è da sottolineare che l’attività subacquea non sembra comportare “di per sé” un problema medico aggiuntivo, influendo sul controllo metabolico del paziente.

Abbiamo già ricordato nell’introduzione come studi sia sperimentali che condotti “sul campo” abbiano dimostrato che non si determinano variazioni glicemiche importanti (in particolare in senso ipo) durante le immersioni, anche se va comunque tenuto conto della possibile riduzione del fabbisogno insulinico attribuibile al ben noto effetto di aumento della sensibilità tissutale all’insulina proprio di ogni forma di attività fisica. Come vedremo più avanti, in questo senso orientano anche alcuni nostri dati originali, ottenuti applicando in immersione la tecnica del monitoraggio continuo del glucosio s.c.

Anche per quanto riguarda gli altri possibili problemi ricordati (da quelli legati alle variazioni di pressione, a quelli gastroenterici), non esistono evidenze di una maggiore frequenza e/o gravità in presenza di malattia diabetica.

LO SCUBA PER IL GIOVANE DIABETICO: IL PROGETTO DIABETE SOMMERSO

Naturalmente, l’assenza di controindicazioni assolute all’attività subacquea non rappresenta automaticamente una ragione sufficiente per la proposizione di questa pratica sportiva al giovane con diabete mellito. Sussistono tuttavia motivi validi a sostegno di questa scelta, in grado di compensare il maggiore impegno richiesto, sia per il paziente che per l’équipe che lo ha in cura.

Questi motivi non sono medici in senso stretto: è vero che l’immersione, con le dovute precauzioni, non fa “male” al diabete, ma certamente non fa neanche “bene”, direttamente. Né in termini di controllo metabolico, né in termini di evoluzione delle complicanze.

La dimensione a cui guardare è piuttosto, come sempre trattando con soggetti giovani e attivi, quella psicologica, della autostima e della autorealizzazione. Il non sentirsi escluso a priori da un’attività affascinante e complessa come la subacquea, può rappresentare un tassello importante nel processo di costruzione e di rafforzamento della personalità di un soggetto che costantemente deve fare i conti con la anomalia di una patologia cronica insorta in età giovanile, spesso in condizioni di piena efficienza ed integrità fisica. A fronte di una prospettiva, continuamente sottintesa e a volte apertamente affermata dalle fonti più disparate, di un’intrinseca limitazione e di un’evoluzione invalidante a tempi più o meno brevi, il confrontarsi con uno sport che richiede efficienza fisica, precisione, affidabilità e capacità di autocontrollo in un ambiente “estraneo” (se non ostile), e dimostrarsi in grado di farlo con successo, può rivelarsi straordinariamente positivo. I progressi che ne possono derivare i termini di autostima e di sicurezza di sé non possono poi non tradursi in un atteggiamento mutato nei confronti stessi della malattia, e della sua autogestione, con ricadute positive sull’andamento clinico e sulla evoluzione a distanza. In questo senso, allora, correggendo in parte quanto affermato poco sopra, potremmo dire che questo tipo di attività fa “bene” al diabetico, e forse fa “bene” anche al diabete.

Da questi presupposti ha preso origine il progetto “DIABETE SOMMERSO”, messo a punto dal Centro di Diabetologia e Malattie Metaboliche dell’Ospedale Niguarda Ca’ Granda di Milano, in collaborazione con un gruppo di istruttori sub afferenti alla PADI (Professional Association of Diving Instructors), con lo scopo di avvicinare alla pratica delle immersioni subacquee con autorespiratore, in condizioni di massima sicurezza, giovani adulti affetti da Diabete Mellito.

ADATTAMENTO DELLA DIDATTICA

Una volta escluse condizioni che controindicano l’attività subacquea, per il giovane diabetico che voglia affrontare senza rischi questa esperienza è fondamentale una formazione adeguata. Parte integrante del progetto “Diabete Sommerso” è stata, pertanto, la organizzazione di corsi di addestramento di primo livello (Open Water Diver, OWD), nei quali i percorsi formativi già codificati sono stati integrati con approfondimenti teorici e pratici incentrati su problematiche specifiche legate alla condizione diabetica.

In pratica, è stato messo a punto un modulo aggiuntivo teorico-pratico focalizzato, per i motivi detti sopra, prevalentemente sulla prevenzione e l’eventuale trattamento delle complicazioni metaboliche acute, e soprattutto dell’ipoglicemia. Il modulo comprende una serie di schematiche indicazioni di comportamento, basate essenzialmente su uno stretto automonitoraggio glicemico, secondo un protocollo derivato, con qualche modificazione, da quello adottato a CAMP DAVI (Virgin Islands, USA) da Steve Prostrerman, e segnalato dalla American Diabetes Association.

Con questo schema didattico, condiviso con DAN-Europe, e recentemente pubblicato su “Alert Diver”, in questi anni abbiamo portato al conseguimento del brevetto OWD un numero rilevante di giovani diabetici, senza incontrare problemi metabolici o di altro genere in nessuna delle diverse fasi del corso.

Le procedure raccomandate per prevenire episodi ipoglicemici sono simili a quelle comunemente applicate per ogni tipo di attività fisica in superficie, ma con un approccio complessivamente più prudente. Sia per quanto riguarda la alimentazione, sia per quanto riguarda l’autocontrollo e la terapia insulinica, si tende pertanto ad attestarsi su livelli glicemici più elevati.

Le raccomandazioni relative all’alimentazione, riportate nella tab. 3, riguardanti sia il giorno precedente che quello dell’immersione, puntano su un’idratazione abbondante e su supplementi calorici, prevalentemente costituiti da carboidrati complessi.

Tab. 3: Alimentazione corretta in occasione di immersione con ARA

Giorno precedente l’immersione

• Assunzione di liquidi abbondante

• Pasti assunti regolarmente introito calorico non diminuito

Giorno dell’immersione

• Colazione aumentata di circa 200 kcal (CHO complessi e proteine)

• Ingestione di almeno 2-4 bicchieri di liquidi non calorici prima dell’immersione

Immediatamente prima dell’immersione

• Assunzione di piccolo spuntino di circa 100 kcal (CHO complessi)

Dopo l’immersione

• Se GM <80 mg/dl, assunzione immediata di snack di CHO; controllo GM ripetuto dopo 30′

• Se GM ³ 80 mg/dl, consigliato spuntino di CHO complessi e proteine

Per quanto riguarda la terapia insulinica, l’atteggiamento generale è di grande prudenza. Anche se il comportamento deve essere personalizzato, l’indicazione è a ridurre non solo l’insulinizzazione basale (insulina intermedia / analogo long-acting, o infusione basale del microinfusore) sia nel giorno dell’immersione che nelle 12 ore seguenti, ma anche l’insulina pre-prandiale (insulina regolare / analogo rapido, o boli del microinfusore) precedente e immediatamente seguente l’immersione.

 

Tab. 4 : Terapia insulinica in occasione di immersione con ARA

 

Giorno precedente

• Iniezioni solo in zona addominale

• Dose di Intermedia serale ridotta del 10-20%

• Se microinfusore (CSII): invariata la programmazione basale

Pranzo precedente l’immersione

• Dose di Regolare o Analogo Rapido ridotta del 25-50%

• Dose di eventuale intermedia ridotta del 20%

• Se CSII: ridotti conseguentemente sia infusione basale che boli.
• I pazienti trattati con CSII dovranno disconnettere lo strumento alla vestizione (30′ prima dell’entrata in acqua, e riconnetterlo dopo 30′.

Immediatamente prima dell’entrata in acqua, la decisione sulla opportunità o meno di effettuare l’immersione va presa considerando diverse variabili:

• I valori glicemici assoluti

• La loro dinamica

• La presenza o meno di chetonemia

La valutazione del “trend” glicemico va condotta utilizzando lo schema riportato in Fig. 1. La glicemia si considera stabile quando le variazioni fra una rilevazione e la successiva non sono superiori al 20% (o al 15% in due rilevazioni successive). Pertanto:

• Controllo GM 60′, 30′, e 10′ prima dell’immersione

• Se valori stabili, immersione se GM ³ 150

• Se valori in aumento, immersione se GM ³ 120 mg/dl

• Se valori in discesa, immersione sospesa

• Comunque, mai immersione se GM <120

 

Fig. 1: Algoritmo basato su controlli seriati della glicemia capillare

Prevenzione della chetoacidosi

• Controllo GM prima dell’immersione (vedi schema)

• Se > 250, o > 200 in salita: controllo chetonemia

• Se chetonemia elevato immersione sospesa

Trattamento dell’ipoglicemia

• Tenere sempre a disposizione nel GAV 2 tubi di glucosio (gel o simili). Lo stesso vale per il compagno di coppia, che deve essere informato del problema, ed istruito su come affrontare eventuali necessità

• In casi di comparsa di sintomatologia “ipo” in acqua, segnalarlo immediatamente al compagno di immersione. Se si è già in immersione, usare segnale manuale concordato (“L”: vedi fig. 2)

• Ritornare immediatamente in superficie con sistema di risalita in coppia

• In superficie gonfiare il GAV, e assunzione di glucosio per os

 

Fig. 2: segnale manuale aggiuntivo per “ipo”

Pianificazione immersione :

• Mai a profondità maggiore di 30 mt

• Mai immersioni fuori dalla curva di sicurezza, evitando così la necessità di pause da decompressione obbligate (durante le quali sarebbe problematico gestire una crisi ipoglicemica)

• Applicazione “conservativa” delle tabelle di immersione (maggior rischio di deidratazione):

• Pianificare sempre l’immersione come in “situazioni di Freddo e Fatica”, quindi calcolando una profondità 4 metri maggiore di quella reale

• Aggiungere soste di sicurezza:

• Prima sosta di 2’30” a 9- 10 metri

• Seconda sosta di 5′ a 5 metri

• Mantenere una velocità di risalita fra le soste di 9- 10 metri al minuto

• Vestizione adeguata (rischio freddo)

IL MONITORAGGIO CONTINUO DEL GLUCOSIO IN IMMERSIONE

Successivamente al conseguimento del brevetto OWD, la partecipazione dei nostri pazienti diabetici ad una serie di immersioni ripetute in acque libere ha permesso di ottenere dati molto interessanti sull’andamento dei valori glicemici. Di particolare rilievo è stata la possibilità di ottenere una registrazione continua delle concentrazioni di glucosio in immersione. Questo risultato è stato ottenuto utilizzando, per la prima volta in un numero rilevante di immersioni, un sistema di monitoraggio continuo del glucosio recentemente introdotto nella pratica clinica (CGMS Medtronic), nell’occasione appositamente modificato per permetterne il funzionamento sott’acqua.

I tracciati ottenuti nel corso di 27 immersioni hanno evidenziato un modesto e progressivo calo dei valori di glucosio (vedi fig. 3), con valori medi al nadir ridotti di meno del 20% rispetto al momento dell’entrata in acqua, e comunque senza mai raggiungere livelli francamente ipoglicemici.

CONCLUSIONI

Analogamente a quanto segnalato da vari studi in passato, anche la nostra esperienza di questi anni, condotta nell’ambito del progetto “Diabete Sommerso”, sembra confermare la sostanziale sicurezza di questo sport in persone con diabete ben controllato, non complicato, precedentemente sottoposte ad un addestramento mirato.

Considerando le potenziali ricadute positive dell’attività subacquea in diversi aspetti del controllo complessivo della malattia diabetica, e’ auspicabile che questi risultati contribuiscano ad aprire finalmente la strada ad un definitivo superamento della storica preclusione indiscriminata verso questo sport, ancora diffusa in molti ambienti scientifici, ma, in realtà, attualmente non più motivata.

 

 

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• Ruderman N, Devlin JT. The health professional’s guide to diabetes and exercise. American Diabetes Association, Alexandria , VA , USA , 1995

 

di Matteo Bonomo 1, Gerardo Corigliano 2

1 S.S.D. Diabetologia e Malattie Metaboliche – A.O. “Ospedale Niguarda Ca’Granda”, Milano;
2 Servizio di Diabetologia AID ASL Napoli 1, Napoli