Scelta terapeutica in base al rischio

“Aggredire” con adeguate terapie farmacologiche e non, un paziente affetto da sindrome metabolica riduce del 40-50 per cento il rischio globale di incorrere in eventi cardiovascolari, tra i quali l’infarto del miocardio e l’ictus cerebrale. Le evidenze emerse dallo studio LESSCORE condotto sul territorio e negli ospedali delle regioni Umbria e Toscana, dimostrano una volta di più che evitare i farmaci quando non sono proprio necessari è un ottimo consiglio ma questo comportamento non può trasformarsi in regola della pratica clinica in nome del risparmio ad oltranza.

La ricerca voluta da Novartis ha coinvolto un migliaio di uomini e donne tra i 40 e i 65 anni selezionati per due caratteristiche: portatori di sindrome metabolica (rappresentata dall’avere almeno tre dei seguenti parametri alterati, ossia il colesterolo “buono”, HDL, sotto 40 nell’uomo e inferiore a 50 nella donna, trigliceridi superiori a 150 ml., glicemia basale sopra i 110 mg/dl, circonferenza vita maggiore di 102 cm nell’uomo e 88 cm nella donna, pressione arteriosa superiore a 130/85 mmHg ) e con un rischio cardiovascolare per eventi mortali uguali o superiore al 5%.

“La valutazione dei pazienti oggi è possibile grazie alle Carte del rischio, sia quella per la mortalità sia quella per la morbilità, purtroppo, dice Damiano Parretti, medico di medicina generale e coordinatore dello studio della Usl 2 di Perugia, “queste Carte non sono ancora utilizzate come si dovrebbe e l’obiettivo dello studio è stato proprio quello di promuoverne l’impiego sul territorio nella pratica clinica. I risultati hanno confermato quello che in parte sapevamo già.
L’individuazione dei fattori di rischio, il calcolo del rischio cardiovascolare (evitabile) del singolo fattore e il calcolo del rischio globale di tre o più fattori insieme (relativo e assoluto) permettono al medico di orientare la scelta terapeutica al fine di ridurre i singoli fattori di rischio purchè le cure sia quelle farmacologiche che di stile di vita siano aggressive e costanti per un tempo sufficientemente lungo”.

Tre i farmaci usati: valsartan, idroclorotiazide e fluvastatina in diverse associazioni.

I risultati espliciti: tutti i soggetti trattati hanno avuto una riduzione del 75% del rischio evitabile e una riduzione molto significativa (40-50% ) del rischio relativo e assoluto.

“Di solito si tende a sottovalutare le minime alterazioni dei fattori di rischio che, al contrario, sono responsabili di un grande rischio globale”, osserva Parretti, ” vale la pena iniziare subito cure severe per risparmiare negli anni vite umane e soldi”. In conclusione, cari medici trattate meglio i pazienti.

di Maria Paola Salmi
da Supplemento Salute di Repubblica.it

24 gennaio 2008