Meccanismi di danno della beta cellula e strategie di prevenzione della funzione beta cellulare nel diabete di tipo 1

Coordinatore Scientifico del Programma di Ricerca

Paolo POZZILLI Università “Campus Bio-Medico” ROMA

Obiettivo del Programma di Ricerca

Lo scopo di questo progetto nazionale inter-universitario è quello di studiare nuovi meccanismi implicati nella distruzione delle beta cellule pancreatiche che conducono alla insorgenza del DM1, cosi come favorire possibili strategie di prevenzione del danno beta cellulare.
Per quanto riguarda il potenziale meccanismo coinvolto nell’ induzione della risposta autoimmune contro le beta cellule verrà studiato il ruolo delle cellule dendritiche, delle cellule soppressor e NK (Prof. Mancabitti, Università Tor Vergata, Roma);
Verrà inoltre valutato il ruolo di peptidi coinvolti nella genesi della risposta autoimmune verso le beta cellule (Prof. Lorini, Università di Genova).

Oltre al meccanismo immunologico coinvolto, studieremo anche come il danno alle beta cellule pancreatiche influisca sulla risposta metabolica delle cellule alfa delle insule pancreatiche in un gruppo di pazienti con una forma di DM1 a lento decorso (Prof. Brunetti, Università di Perugia ).

Considereremo inoltre due strategie terapeutiche:
La prima è rivolta ad analizzare la genesi delle beta cellule a partire dalle cellule duttali pancreatiche; questo approccio potrebbe offrire per il futuro una sorgente valida e illimitata di beta cellule utilizzabili come terapia sostitutiva in pazienti che necessitano di terapia insulinica. (Prof. Giordano, Università di Palermo).
La seconda strategia prevede il reclutamento di pazienti con DM1 con funzione beta cellulare residua in un trial in doppio cieco che prevede il trattamento con calcitriolo, la forma attiva della 1,25 (OH) 2 vitamina D3, allo scopo di proteggere le beta cellule ancora funzionanti (Prof. Pozzilli, Università Campus Bio-Medico, Roma).

Risultati parziali attesi

Ciascuno dei centri che partecipano allo studio ha preparato un piano d’azione che prevede il raggiungimento di risultati parziali e risultati finali.

Il gruppo di Genova, durante il primo anno di questo progetto, raccoglierà campioni di sangue da un vasto numero di pazienti con DM1 e i loro parenti di primo grado. La raccolta di questo materiale rappresenta il punto di partenza per la successiva ricerca di nuovi determinanti antigenici della risposta immunitaria verso le beta cellule utilizzando una peptide library.

Il gruppo di Roma Tor Vergata raccoglierà inizialmente siero e cellule di pazienti con DM1 e loro parenti di primo grado. La raccolta per sé di questo materiale costituisce il presupposto per le tappe successive di questo studio che consiste nella definizione del ruolo delle cellule dendritiche e delle cellule regolatorie nella patogenesi della malattia.
Il gruppo di Palermo nel primo anno si propone di ottenere risultati preliminari riguardo la caratterizzazione delle molecole espresse durante il processo di differenziazione delle cellule duttali in beta cellule cosi come l’analisi della loro funzione metabolica.

Il gruppo di Perugia condurrà test iniziali in pazienti diabetici allo scopo di valutare sia la sensibilità all’insulina che la risposta del glucagone all’ipoglicemia.

Infine il gruppo del Campus Bio-Medico si propone nel primo anno di reclutare il numero di pazienti con recente diagnosi di DM1 necessario per il trial a doppio cieco con la 1,25 (OH)2 vitamin D3. Risulta pertanto che ciascuno dei 5 gruppi che prendono parte a questo progetto possa raggiungere significativi risultati parziali condizione necessaria al successivo completamento del progetto.

Durata

24 mesi

Base di partenza scientifica nazionale o internazionale

Il diabete mellito di tipo 1 (DM1) è considerato un processo autoimmune cronico, che si sviluppa in soggetti geneticamente predisposti, e che progressivamente e lentamente comporta la totale distruzione delle beta cellule pancreatiche.

Sono stati distinti 6 stadi della malattia: il primo è rappresentato dalla predisposizione genetica, condizione necessaria, ma non sufficiente, per lo sviluppo del diabete; il secondo richiede la presenza di fattori ambientali, tra cui virus e sostanze tossiche, che innescano la distruzione specifica e selettiva delle cellule pancreatiche producenti insulina da parte del sistema immunitario; questo processo autoimmune (specifici autoanticorpi e linfociti T autoreattivi diretti contro autoantigeni insulari) caratterizza il terzo stadio, nel quale le beta cellule vengono aggredite; durante il quarto stadio non si osservano ancora manifestazioni cliniche, ma si verifica un progressivo declino della secrezione insulinica; nel quinto stadio compare iperglicemia; fa seguito il sesto stadio, in cui la malattia diviene clinicamente evidente.

Tra i fattori ambientali sono stati presi in considerazione agenti infettivi quali i virus, agenti chimici, fattori presenti nella dieta, quali proteine immunogene del latte vaccino; inoltre recentemente è stato ipotizzato un meccanismo causa-effetto fra ingestione di glutine e comparsa di malattie autoimmuni. Il DM1 si sviluppa frequentemente nei bambini, anche se può presentarsi a qualunque età. Nel siero dei pazienti con DM1 sono stati descritti numerosi autoanticorpi sia contro la beta cellula pancreatica che contro altri organi.

L’eziopatogenesi del DM1 è ancora da definire e la identificazione dei fattori scatenanti il processo autoimmune costituisce un obiettivo fondamentale nel campo dell’immunologia clinica, con notevoli risvolti di ordine pratico, diagnostico e terapeutico.

Questa malattia rappresenta il disordine cronico più frequente dell’infanzia, ma tutte le età possono essere interessate. Nell’Italia continentale, l’incidenza cumulativa di T1DM è 0.15% nel gruppo di età 0-14 anni, e la prevalenza totale della malattia (inclusi i casi con esordio in età adulta) può essere stimata pari a 0.35-0.45%.

Inoltre, il 5-10% dei pazienti con diagnosi clinica di diabete di tipo 2, rappresentanti approssimativamente lo 0.3-0.6% della popolazione generale, è positiva per marker immunologici di autoimmunità insulare ed è ad alto rischio di sviluppare insulino-dipendenza entro pochi anni.
Questa forma di diabete è identificata nella letteratura medica come “latent autoimmune diabetes in the adult” (LADA), diabete tipo 1 lentamente progressivo, diabete di tipo 2 con autoanticorpi o diabete 1½. In questo progetto, sarà utilizzato l’acronimo LADA, in quanto quello più usato.

Da un punto di vista strettamente metabolico, i pazienti affetti da LADA sembrano condividere caratteristiche sia del DM1 che del Type 2 DM. Infatti, sebbene la secrezione insulinica, valutata dalle concentrazioni di C-peptide plasmatico dopo stimolo, sembrerebbe compromessa in modo minore, che nel DM1, essa tende, tuttavia, a ridursi nel tempo, come dimostrato da uno studio osservazionale, longitudinale, della durata di 10 anni.
A tale riguardo è da sottolineare come, secondo una osservazione recente, pazienti affetti da LADA, con breve durata di malattia, pur presentando livelli basali di C-peptide plasmatico, del tutto sovrapponibili a quelli di soggetti con Type 2DM, mostrano una riduzione marcata della funzione beta-cellulare, in risposta allo stimolo con glucosio-arginina, a qualsiasi livello glicemico.
Ciò sembrerebbe, pertanto, deporre per un difetto secretivo beta-cellulare massimale, compatibile con la irreversibile distruzione autoimmune di tali cellule.
Di converso, i pazienti LADA sembrano condividere con il T2DM, la riduzione del 40-50% della sensibilità beta-cellulare, peraltro solo parzialmente imputabile a glucotossicità.

Una caratteristica comune di molte malattie autoimmuni come il DM1 è la presenza di una risposta umorale nei confronti di differenti autoantigeni. Negli ultimi trenta anni la determinazione degli autoanticorpi anti-insulari è notevolmente migliorata.
Dalla iniziale attivazione del sistema immune allo stato cronico di malattia si verifica un “epitope spreading” ovvero un aumento nel numero degli autoantigeni insulari bersaglio di cellule T ed anticorpi. Nell’uomo gli autoanticorpi identificati reagiscono principalmente con l’insulina, con la decarbossilasi dell’acido glutammico 65 (GAD65) e con IA2.
Sebbene il ruolo patogenetico degli anticorpi antiinsulari non è ancora chiaro, la loro determinazione nel siero è importante per la diagnosi immunologica di Diabete tipo 1 e rappresenta un importante marker per identificare soggetti a rischio per lo sviluppo della malattia.

La tolleranza nei confronti di autoantigeni si stabilisce con meccanismi complessi sia nel timo (tolleranza centrale) che negli organi linfoidi periferici (tolleranza periferica).

Studi sull’uomo e sui modelli animali come il topo diabetico non obeso (NOD) hanno suggerito che differenti meccanismi possono scatenare la risposta autoimmune coinvolgendo sia la tolleranza centrale che periferica.
Il fallimento della selezione negativa di cellule T autoreattive potrebbe contribuire alla perdita di tolleranza nei confronti di antigeni beta cellulari. In linea con questa ipotesi, autoantigeni con espressione ristretta ai tessuti possono anche essere espressi nel timo. Evidenze recenti suggeriscono che variazioni nell’espressione di questi autoantigeni nel timo può determinare la perdita di tolleranza nei confronti di queste molecole ed influenzare il rischio di diabete.
Modelli animali in cui l’espressione antigenica è limitata alle cellule insulari non hanno supportato l’ipotesi che la mancata selezione negativa di cloni autoreattivi sia il solo meccanismo responsabile dello sviluppo di autoimmunità e suggeriscono che meccanismi periferici di regolazione di cellule T siano determinanti per il controllo delle risposte autoimmuni.
In seguito all’attivazione le cellule T polarizzano verso un fenotipo Th1 e/o Th2.

E’ stato suggerito che una aumentata attivazione delle risposte Th1 contribuisce allo sviluppo del Diabete nel topo NOD mentre la polarizzazione verso una risposta Th2 potrebbe inibirla.
L’inibizione delle risposte di tipo Th1 e l’induzione della differenziazione verso un fenotipo Th2 potrebbe perciò prevenire lo sviluppo di DM1.

Sebbene precedenti studi hanno mostrato che la generazione di cellule Th2 può inibire lo sviluppo del DM1 mediante una aumentata produzione di IL-4 e IL-10, in determinate condizioni cellule Th2 trasferite in un topo immunodeficiente, possono favorire lo sviluppo della malattia.

Ciò suggerisce che altri meccanismi sono essenziali per il controllo e la regolazione delle risposte immunologiche. Studi recenti dimostrano che le cellule T CD4+ regolatorie (Treg) che esprimono il recettore a della interleuchina-2 (CD4+CD25+) contribuiscono al mantenimento della tolleranza immunologica nei confronti di autoantigeni.

Queste cellule hanno caratteristiche immunologiche peculiari se comparate con altre cellule T regolatorie o soppressive; non proliferano in risposta a stimolazione antigenica in vitro e possono sopprimere efficacemente l’attivazione e la proliferazione di altre cellule T CD4+ e CD8+ in maniera non antigene specifica mediante interazioni cellula-cellula. Pertanto è possibile ipotizzare che alterazioni del numero e della funzione delle cellule regolatorie potrebbe contribuire alla patogenesi della malattia. In assenza di questo subset di cellule regolatorie i topi normali sviluppano spontaneamente diverse forme di malattia autoimmune e nel topo NOD, a differenza di altri ceppi murini in cui le cellule T CD4+CD25+ rappresentano il 7-10% delle cellule T CD4+, esse sono numericamente ridotte rappresentando solo il 5-6% delle cellule T CD4+ (18).

Per quanto riguarda il DM1, curare questa malattia mediante trapianto di insule pancreatiche significa rimpiazzare la perdita della capacità endogena di produrre insulina con una fonte perpetua, autonoma e autoregolabile di secrezione insulinica. Il progresso e le conoscenze in ambito diabetologico hanno permesso l’estensione dei criteri d’inclusione per il trapianto di insule allargandoli a quasi tutte le forme di diabete. Infatti, il trapianto di insule rappresenta l’approccio più logico per ricostituire un’omeostasi metabolica nei pazienti diabetici.

Il trapianto intraepatico di insule pancreatiche realizza una condizione di insulino-indipendenza duratura restaurando quella quota di beta-cellule distrutte dall’autoimmunità nel DM1, o esaurite dalla glico/lipotossicità nel diabete tipo 2.

Tuttavia la mancanza di tessuti ed organi umani è un problema che investe tutti i campi del trapianto clinico, poiché l’attuale esigua disponibilità di organi da donatore-cadavere non soddisfa le richieste di cura. Al limitato approvvigionamento di tessuto insulare umano disponibile per il trapianto, si associa l’acquisizione che per un trapianto di isole pancreatiche di successo si utilizzano almeno 8.000 equivalenti di insule pancreatiche per chilo di peso corporeo del ricevente.

E’evidente la necessità di avviare tecniche alternative che perseguano lo scopo di incrementare il pool di insule pancreatiche disponibili per il trapianto, fra le quali possibilità teoriche sono:
– insule di derivazione animale (xenotrapianto)
– cellule dei dotti pancreatici umani
– cellule staminali pancreatiche fetali
– cellule staminali embrionali e dell’adulto
– clonaggio terapeutico

Nel frattempo c’e però bisogno di una terapia del DM1 in grado di restaurare una normale risposta immunitaria. A tale proposito recentemente, notevole interesse ha suscitato il ruolo della vit.D sul sistema immunitario, in particolare sull’immunità cellulo-mediata.

I recettori della vit.D sono presenti in concentrazione significativa nei linfociti T e nei macrofagi, ed è stato dimostrato come i metaboliti della vit.D abbiano diversi effetti immunomodulatori.

E’ stato dimostrato in diverse condizioni sperimentali che la 1,25(OH)2 vitamina D3 ed i suoi analoghi strutturali prevengono l’insorgenza del diabete di DM1 nel topo diabetico non-obeso(topo NOD).

Recenti dati dello progetto Eurodiab, ampio studio multicentrico svolto in diversi paesi europei, hanno dimostrato che in Europa la riduzione dell’integrazione di vit.D è associata ad un più alto rischio di malattia.

Inoltre, uno studio Finlandese dimostra, utilizzando dati corretti sia per caratteristiche neonatali che antropometriche e sociali che la somministrazione di vit.D risulta essere associata ad una diminuzione dell’incidenza di DM1.

I bambini ai quali sono state somministrate regolarmente 2000IU giornaliere di vit.D avevano un RR di 0.22(0.05-0.89) rispetto a quelli che ne avevano assunto una dose minore.

Dunque la somministrazione nell’infanzia di integrazioni di vit.D potrebbe ridurre l’incidenza del diabete di Tipo 1. Nel topo NOD è stato studiato anche il ruolo della 1,25(OH)2 vitamina D3 nel proteggere le cellule insulari umane dal danno delle citochine.
Si è riscontrato che l’aggiunta di vit.D riduce in modo significativo sia il rilascio di nitriti che la produzione di IL-6 e l’espressione degli antigeni di istocompatibilità di classe 1 che risultano pertanto non significativamente differenti dai controlli, proteggendo in tal modo le insule pancreatiche

 

 

 

 

Prof. Paolo Pozzilli

Meccanismi di danno della beta cellula e strategie di prevenzione della funzione beta cellulare nel diabete di tipo 1

 

Tratto da www.ricercaitaliana.it ”

 

20 giugno 2006