La prevenzione del diabete 2

Almeno tre diabetici su dieci non sanno di esserlo. Secondo gli esperti, per “scoprire” i diabetici ignari, basterebbe sottoporre ad un semplice esame della glicemia nel sangue ogni tre anni tutti coloro che sono al di sotto dei 45 anni e non presentano altre patologie,. Superata la soglia dei 45 anni, invece, il controllo della glicemia andrebbe ripetuto almeno una volta l’anno. Nelle popolazioni a rischio: familiari di diabetici, persone in sovrappeso, ipertesi, persone con elevati livelli di grassi e di acido urico nel sangue, la glicemia andrebbe misurata annualmente, nell’ambito di un check-up necessario per monitorare gli altri parametri alterati, indipendemente dall’età.

La dieta

La dieta di chi vuol prevenire il diabete (in caso di trattamento l’alimentazione va impostata dal medico, caso per caso) deve seguire fondamentalmente le regole della dieta mediterranea. Attenzione ai grassi animali come condimento e allo zucchero da tavola. Limitazione consigliata anche per le bibite, quando sono addizionate di zucchero, visto che questo è assorbito rapidamente e può portare a improvvisi sbalzi della glicemia che alterano il normale meccanismo di controllo. Infine, visto che il corpo è una sorta di “azienda” in cui entrate e uscite debbono equilibrarsi, è importante non dimenticare che anche l’attività fisica è necessaria per aumentare il dispendio energetico.

L’attività fisica

“Due aspetti importanti dell’attività fisica sono: il movimento, che riguarda principalmente i pazienti meno allenati, come possono essere i diabetici di tipo 2, e la pratica sportiva vera e propria, che può e deve essere svolta da chi soffre di diabete di tipo 1, più giovane e sicuramente con performance cardiovascolari diverse.- mette in evidenza il prof.Maurizio Di Mauro Ricercatore presso il Dipartimento Scienze Biomediche Università degli Studi di Catania – Sono numerose le evidenze scientifiche che dimostrano l’importanza dell’attività fisica nella cura e nella prevenzione della malattia diabetica, alla pari della terapia farmacologica e dell’intervento dietetico comportamentale. Per quanto attiene alla prevenzione sono famosi due studi, uno europeo e uno americano – il DPP e il DPS – che hanno dimostrato in soggetti con ridotta tolleranza al glucosio, come un’attività fisica programmata – 3 volte la settimana per complessivi 150 minuti – sia più efficace del trattamento farmacologico nel prevenire l’insorgenza del diabete.

Ma il muoversi è fondamentale anche per chi è già malato, perché migliora l’insulino resistenza, abbassa il colesterolo, impedisce l’aumento della circonferenza della vita: tutti parametri che rappresentano pericolosi fattori di rischio cardiovascolare. L’attività fisica va quindi prescritta alla stessa stregua di un farmaco, a partire dal medico di medicina generale, che è di fatto il primo referente del malato.

L’approccio al malato è pertanto a 360° e comporta vari strategie di intervento, dal counselling più approfondito ad un intervento motivazionale mirato. Non è infatti semplice né immediato convincere una persona con diabete a modificare uno stile di vita probabilmente consolidato negli anni, proponendogli una qualsiasi attività fisica.

In Italia esistono diverse realtà con progetti che vedono coinvolte più figure professionali. Oltre al diabetologo e al dietologo fanno parte dell’equipe anche laureati in scienze motorie e psicologi, che hanno appunto il compito di trovare il canale giusto per vincere la naturale diffidenza di un malato nei confronti di un percorso del tutto nuovo.

“L’attività fisica come la camminata veloce, il nuoto, oppure una passeggiata in bicicletta, fatta 3,4 volte la settimana per 30-45 minuti – ha dichiarato il prof. Maurizio Di Mauro Ricercatore presso il Dipartimento di Scienze Biomediche, Università degli Studi di Catania Responsabile dell’ambulatorio di Diabetologia e Medicina Interna Ospedali Garibaldi Centro Catania, nel corso di un incontro svoltosi a Roma nella sede di GlaxoSmithKline – va quindi prescritta alla stessa stregua di un farmaco. Certo non è semplice né immediato convincere una persona con diabete a modificare uno stile di vita probabilmente consolidato negli anni, proponendogli una qualsiasi attività fisica.

L’obiettivo è di concordare con ognuno dei pazienti l’attività più consona alle sue possibilità, preferenze e aspettative: cioè personalizzare l’intervento, il che comporta una conoscenza approfondita della persona, che va cioè oltre l’anamnesi e coinvolge aspetti della sua vita privata: dall’ambiente in cui vive, al vissuto, alle problematiche famigliari. E’ importante conoscere quali sono i prerequisiti di un paziente per poterlo avviare correttamente ad un programma di attività fisica. Prescrivere un’attività fisica qualsiasi senza fare un lavoro a monte equivale ad un sicuro fallimento.

Ogni singola seduta di esercizio fisico abbassa la glicemia per l’aumento del consumo muscolare di glucosio e le sedute successive e protratte nel tempo (training) riducono l’insulinoresistenza. Per questo motivo un esercizio fisico anche moderato è da considerarsi una terapia in grado di modificare positivamente il meccanismo patogenetico della malattia e di influire anche sui costi.”

 

 

tratto da Salute Europa

7 novembre 2006