Il diabete e’ la più grave malattia che interessa il pancreas

Esistono due forme principali di diabete mellito:

Il diabete insulino dipendente (tipo I o IDDM)

Il diabete non insulino dipendente (tipo II o NIDDM).

Il diabete di tipo I è caratterizzato dalla totale assenza di insulina (insulinopenia) e dalla presenza preponderante di glucagone (iperglucagonemia).

Questa forma di diabete ha normalmente un’insorgenza improvvisa e determina debolezza, affaticamento, appetito insolito, perdita di peso, aumento della quantità di urine.

Compare prevalentemente in età giovane, motivo per il quale è anche noto come diabete giovanile ma ci si può ammalare di diabete I anche da adulti.

Il diabete di tipo II è determinato o da un’insufficiente produzione di insulina da parte del pancreas o dall’incapacità dell’ormone secreto di agire in maniera normale (insulino-resistenza).

L’inizio della forma di tipo II si colloca intorno ai 40 anni, ma può aversi a qualsiasi età.

Questa è la forma di diabete più diffusa (85-90 % dei casi totali) ed è quella maggiormente influenzata dagli eccessi nell’alimentazione, tanto da essere conosciuta anche come diabete alimentare.

Il diabete di tipo II è normalmente subdolo nella sua insorgenza e può essere scoperto del tutto fortuitamente in occasione di un’analisi del sangue, o non essere affatto scoperto, se non dopo dieci o venti anni a causa del palesarsi tardivo delle sue conseguenze.

Tuttavia, in alcuni casi, ha anch’esso un esordio esplosivo caratterizzato dalle stesse manifestazioni del diabete di tipo I: poliuria, polidipsia, iperglicemia.

 Insulina

L’insulina è un ormone prodotto dal pancreas la cui presenza è essenziale per consentire al glucosio circolante nel sangue di entrare nelle cellule, dove è utilizzato come deposito di energia.

Il glucagone è l’ormone pancreatico con azione contrapposta a quella dell’insulina: promuove la fuoriuscita del glucosio dalle cellule.

Insulina e glucagone regolano il flusso in entrata e in uscita del glucosio dalle cellule al fine di mantenere stabile la glicemia (concentrazione di glucosio nel sangue).

Dopo un pasto, l’aumento di glucosio nel sangue, stimola la produzione di insulina e inibisce quella di glucagone.

Di conseguenza il glucosio entra nelle cellule di fegato, muscoli e tessuto adiposo depositandosi come materiale di riserva.

Durante il digiuno, la diminuzione di glucosio nel sangue, promuove il rilascio di glucagone ed impedisce quello di insulina; in questo modo il glucosio depositato nelle cellule viene riversato nel sangue.

La mancanza (diabete di tipo I) o la carenza (diabete di tipo II) di insulina impedisce al glucosio presente nel sangue di entrare nelle cellule, inoltre, l’eccesso di glucagone (diabete di tipo I e diabete di tipo II) determina il flusso contrario (il glucosio dalle cellule passa nel sangue).

La conseguenza principale di questa anomala situazione è un marcato incremento della glicemia.

Quando la concentrazione di glucosio nel sangue supera la soglia di 180 mg/dL, i reni non riescono a trattenere ulteriori quantità di zucchero che si riversano nelle urine, aumentandone il volume.

Questa situazione, che in gergo scientifico è definita poliuria, da un lato provoca nell’organismo l’esigenza di rimpiazzare i liquidi persi con l’urina, bevendo molto frequentemente (polidipsia) e all’altro determina un progressivo dimagrimento.

La perdita di peso è conseguenza non solo dell’eliminazione, attraverso l’urina, di una grande quantità di cibo (quella presente come zucchero), ma anche della progressiva diminuzione dei grassi di deposito, demoliti per ottenere energia.

L’organismo, infatti, non potendo ricavare dallo zucchero l’energia necessaria, ricorre alla trasformazione dei grassi in corpi chetonici, situazione che normalmente si verifica durante il digiuno.

A differenza però di una normale situazione di digiuno, in questo caso la produzione di corpi chetonici è superiore alle necessità fisiologiche, cosicchè essi tendono ad accumularsi nel sangue, a riversarsi nelle urine e in parte ad essere eliminati attraverso il respiro, conferendo all’alito un odore acetonemico.

L’aumento dei corpi chetonici nel sangue può essere molto pericoloso per l’organismo, perchè si tratta di sostanze acide, che, in quantità eccessive, possono modificare il PH plasmatico (cheto-acidosi), alterando l’ambiente ottimale in cui avvengono le reazioni chimiche, fino a portare disturbi come dolore e crampi, stato confusionale e coma.

 Complicanze

L’esposizione prolungata ad alti livelli glicemici comporta l’insorgenza di diverse complicanze.

Una classificazione molto diffusa suddivide le complicanze diabetiche in:

Macrovascolari se interessano le arterie di grandi dimensioni (coronarie, carotidi, aorta).

Microvascolari se riguardano la circolazione periferica e i vasi di piccole dimensioni; queste ultime possono essere ulteriormente suddivise in base alla loro localizzazione anatomica in retinopatia, nefropatia e neuropatia.

La retinopatia indica affezioni a livello della retina, la parete di fondo dell’occhio.

Ogni problema della vista che è riconducibile al termine retinopatia può essere tanto meglio gestito quanto prima viene diagnosticato; è pertanto consigliabile sottoporsi ad una visita oculisica almeno una volta all’anno.

Alcune forme, in particolare se prese sul nascere, possono rimanere stabili nel tempo o addirittura regredire grazie a un buon controllo del diabete.

L’esposizione prolungata all’iperglicemia determina una riduzione della permeabilità e della resistenza alla pressione interna dei vasi presenti nella zona periferica della retina (deputata alla visione laterale) o dei vasi disposti a livello della macula (centro della retina adibita alla visione centrale).

Finchè le suddette modificazioni si limitano al rigonfiamento dei vasi, alla fuoriuscita di liquidi (edema), di proteine del plasma, di grassi (essudati) e di sangue si parla di retinopatia non proliferante.

La situazione diventa più grave quando, per sopperire al minore apporto di sangue dovuto alle modificazioni a livello dei vasi, si verifica una vera e propria proliferazione di nuovi vasi: retinopatia proliferante.

I neo-vasi invadono anche una zona generalmente occupata dall’umor vitreo (sostanza gelatinosa trasparente) e, una loro eventuale rottura, comporta travaso di sangue nell’umor vitreo che, perdendo la sua naturale trasparenza, non consente più alla luce di giungere fino alla retina.

La perdita della vista, in questa fase, è la naturale conseguenza di una situazione che richiede un intervento tempestivo per evitare danni irreparabili.

La nefropatia è la localizzazione a livello renale, del danno alle piccole arterie causato da una mancata o da un’inadeguata correzione dell’iperglicemia.

La funzione principale dei reni è quella di depurare il sangue dalle sostanze di scarto prodotte dal metabolismo cellulare, eliminandole attraverso l’urina.

L’esposizione protratta ad alte concentrazioni di glucosio comporta un aumento della porosità della parete dei glomeruli, con fuoriuscita di una quantità eccessiva di filtrato, e un ispessimento della loro parete, con cessazione del loro ruolo di filtro.

La conseguenza della nefropatia è l’accumulo di sostanze tossiche, quali urea, acido urico e azoto nel sangue (uricemia).
Quando la concentrazione diventa pericolosa, occorre “lavare” il sangue mediante la dialisi.

Il termine neuropatia indica la degenerazione del sistema di conduzione degli impulsi nervosi che dal cervello giungono agli altri organi e alla periferia.

Distinguiamo una neuropatia vegetativa, in cui le conseguenze principali sono a carico degli apparati (apparato gastrointestinale, apparato genitale ed urinario, apparato cardiovascolare), e una neuropatia periferica, con ripercussioni sulla sensibilità tattile, termica e dolorifica.

In entrambi i casi le alterazioni derivano sia da problemi circolatori (minore apporto di sangue e di conseguenza di ossigeno) sia da problemi metabolici (accumulo di sorbitolo nei nervi con richiamo di acqua e formazione di edema).

Emoglobina Glicata

Quando il sangue contiene alte concentrazioni di glucosio, come si verifica in caso di diabete, alcune di queste molecole si legano all’emoglobina, formando appunto l’emoglobina glicata.

Questa nuova proteina, più ingombrante e meno agile, non è in grado di veicolare ossigeno con la stessa efficacia della semplice emoglobina, determinando pertanto una minore ossigenazione di diversi distretti dell’organismo.

Attualmente, molte evidenze cliniche, sembrano dimostrare che la glicazione (addizione di glucosio) è un fenomeno comune anche ad altre proteine dislocate a livello di occhi, nervi e reni.

Anzi, proprio la glicazione, sembra essere una delle principali cause del danno d’organo registrato in presenza di diabete. Tramite un test specifico è possibile conoscere con precisione il livello di glicazione dell’emoglobina.

Questo dato è importante per due ragioni:

Tanto più alta è la glicemia, tanto più glucosio si lega all’emoglobina, quindi i livelli di emoglobina glicata rispecchiano i valori glicemici
L’adesione del glucosio all’emoglobina è un processo lento, che può impiegare anche diverse settimane, pertanto la concentrazione di emoglobina glicata ci fornisce una stima retrospettiva dell glicemia per un periodo di circa centoventi giorni.

Considerando che i danni dell’iperglicemia si hanno solo in seguito ad un’esposizione prolungata si intuisce l’importanza di mantenere basso il livello di glicazione dell’emoglobina.

Il Trattamento del diabete

Il trattamento del diabete riguarda aspetti diversi che vanno dalla terapia farmacologica (insulina e/o ipoglicemizzanti orali), alla pratica costante dei controlli, passando attraverso la dieta e l’esercizio fisico.

Terapia farmacologica

Il diabete di tipo I è, per sua stessa definizione, insulino-dipendente e pertanto la terapia prevede la somministrazione di insulina dall’esterno (insulina esogena).

Resta da definire il dispositivo di somministrazione (siringhe, penne o microinfusore), il tipo (lenta, rapida, ultra-rapida, etc.) e la dose dell’ormone.

Il diabete di tipo II, invece, spesso non necessita di una terapia farmacologica e può essere ben gestito con la sola dieta e con la pratica di esercizio fisico.

In taluni casi è tuttavia necessaria l’assunzione di ipoglicemizzanti orali e, in altri ancora, si deve ricorrere alla somministrazione di supplementi insulinici per raggiungere un controllo metabolico ottimale.

La somministrazione di insulina

Purtroppo, ancora oggi, l’unica modalità di somministrazione dell’insulina rimane la via iniettiva, ma i dispositivi atti all’erogazione hanno subito notevoli progressi.

Si è passati dalle scomode siringhe in vetro alle più pratiche in plastica; la produzione di aghi ultrasottili, ha contribuito, inoltre, a diminuire enormemente il disagio delle iniezioni.

Sono poi state sviluppate apposite penne, apparecchi in grado di contenere fino a trecento unità di farmaco.

La più recente novità tra i dispositivi di erogazione, è rappresentata dai microinfusori.

Le siringhe

Attualmente in commercio è reperibile una grande varietà di siringhe per insulina.

I vari tipi hanno in comune delle caratteristiche ma alcuni presentano dei vantaggi aggiuntivi.

Le caratteristiche condivise sono:

scala graduata in unità di insulina

ago non removibile fissato alla siringa

corpo a volume ridotto (a piccoli volumi aspirati ed erogati corrispondono ampi movimenti del pistone)

cappuccio di protezione sia per l’ago che per la siringa

sterilità

monouso

Le caratteristiche opzionali includono:

mancanza di spazio morto tra l’ago e la siringa

elevata trasparenza dei materiali di fabbricazione per un agevole controllo visivo dell’insulina

assenza di componenti in lattice che potrebbero generare reazioni allergiche

buona leggibilità della scala graduata.

Anche la scelta dell’ago riveste grande importanza, sia per ridurre il dolore al momento della penetrazione, sia per evitare reazioni infiammatorie e lipodistrofie.

Gli aghi dovranno essere ben affilati e lubrificati, per ridurre l’attrito in fase di penetrazione e dovranno essere dotati dell’effetto anti-coring, che impedisce la frammentazione del tappo nella fiala di insulina.

E’ importante servirsi inoltre di aghi di lunghezza appropriata allo spessore del tessuto sottocutaneo dell’area dove si inietta l’insulina e di un corretto diametro. Le penne

Sono dispositivi che ripropongono il design delle penne stilografiche, dove il pennino è sostituito dall’ago e il serbatoio di inchiostro dalla fiala di insulina.

La scelta di un tipo particolare di penna dovrà tener conto:

delle unità massime di insulina che potranno essere rilasciate contemporaneamente per valutare che siano compatibili con il proprio regime terapeutico

delle unità minime erogabili simultaneamente

del tipo di cartuccia che potrà essere ospitato (non esiste interscambiabilità tra le cartucce)

della presenza di vari automatismi in base alle esigenze personali (possibilità di modificare la dose impostata, di disporre di segnali acustici, di memorizzare l’ultima dose effettuata con il relativo orario, di erogazione automatica di insulina, etc.)

La scelta dell’ago delle penne deve rispondere agli stessi requisiti che presiedono alla scelta dell’ago uso siringa.

Oggi esiste completa interscambiabilità tra gli aghi delle penne prodotti dalle varie aziende: tutti presentano una doppia punta, una rivolta verso la cartuccia di insulina per la quale è peculiare l’effetto anti-coring, la seconda, destinata a penetrare nei tessuti, per la quale è fondamentale l’affilatura e l’effetto anti-attrito.

Il successo riscontrato da questo tipo di dispositivo trova giustificazione nella loro praticità d’uso: a differenza delle siringhe non è necessario caricare la penna ad ogni iniezione, ma è sufficiente sostituire l’ago e girare la ghiera; solo quando la cartuccia di insulina è terminata si procede all’introduzione di una nuova cartuccia, se si usano penne riutilizzabili, o alla sostituzione dell’intero dispositivo, se si adoperano penne monouso.

Un altro vantaggio molto apprezzato in particolare dall’utenza più giovane è rappresentato dal carattere di dicrezionalità che le penne offrono rispetto alle siringhe in quanto si confondono facilmente con delle comuni penne stilografiche.

Il limite principale è invece rappresentato dall’impossibilità di miscelare vari tipi di insulina, pertanto i pazienti che hanno necessità di farlo dovranno disporre di più penne.

 Esercizio fisico

La pratica costante dell’esercizio fisico è un’abitudine salutare che giova a tutti, diabetici e non, in quanto:

dona una sensazione di benessere

contribuisce a mantenere il peso corporeo entro i valori desiderati

abbassa il colesterolo del sangue

migliora il movimento articolare

mantiene efficiente e in tono la muscolatura

Oltre a questi vantaggi, dei quali usufruirà qualsiasi soggetto che pratica esercizio fisico, una persona diabetica potrà godere di un beneficio supplementere:

miglioramento dell’utilizzazione del glucosio con possibilità di ridurre la dose giornaliera di insulina.

Tuttavia il maggiore consumo di glucosio che si verifica durante l’attività motoria, espone il paziente diabetico ad un rischio maggiore di ipoglicemia.

E’ dunque necessario adottare delle semplici precauzioni per evitare inconvenienti:

l’ideale sarebbe pianificare e programmare l’attività sportiva al fine di ridurre di qualche unità la quantità di insulina da assumere

è consigliabile avere sempre a disposizione uno spuntino (biscotto, succo di frutta, etc.) da consumare durante e dopo l’attività fisica

se l’esercizio fisico non è stato preventivato, per cui non sono state apportate modifiche al regime insulinico, occorre consumare uno spuntino extra, a base di carboidrati, anche prima dell’inizio dell’attività

bisogna inoltre tener presente che l’insulina si assorbe più velocemente se la zona dell’iniezione viene sottoposta a movimento o a riscaldamento, pertanto di ciò si dovrà tener conto nella scelta della sede d’iniezione (ad esempio si escluderanno le cosce e i glutei se si ha intenzione di fare una corsa, viceversa si eviteranno le braccia se si praticherà cannottaggio, etc.).

 Alimentazione

Il programma alimentare di un diabetico oggi, è talmente ben bilanciato, da poter essere seguito con vantaggio da ognuno di noi, anzi rappresenta una sorta di alimentazione ideale.

Ovviamente, i pazienti in sovrappeso, dovranno seguire un regime alimentare un pò più restrittivo dal punto di vista calorico fino al raggiungimento del loro peso ideale.

In questi casi la perdita ponderale dovrà essere graduale e la dieta dovrà comunque prevedere l’apporto di tutti i nutrienti nelle giuste proporzioni.

I nutrienti possono essere classificati in calorici (se apportano calorie) e non calorici.

I nutrienti calorici sono rappresentati dai carboidrati o glucidi, dai grassi o lipidi e dalle proteine o protidi.

I nutrienti non calorici sono l’acqua, i sali minerali e le vitamine.

Una dieta corretta dovrà includere tutte le classi di nutrienti e dovrà ripartire le calorie approssimativamente nel modo seguente:

50-60% di glucidi

15-20% di protidi

25-30% di lipidi

 Il calcolo dei carboidrati

Il calcolo dei carboidrati costituisce l’approccio dietetico che risponde all’esigenza di flessibilità nelle scelte alimentari del paziente diabetico, e di supporto alla terapia insulinica.

Con il calcolo dei carboidrati l’alimentazione diventa parte integrante del programma terapeutico che, per quanto possibile, adatterà le dosi insuliniche al contenuto dei pasti e non viceversa.

Quest’approccio dietetico si basa su due presupposti:

anche dopo un pasto misto (costituito da carboidrati, proteine e lipidi) i carboidrati sono i principali responsabili dell’andamento glicemico

un’unità di insulina metabolizza da 5 a 20 grammi di carboidrati (con correzione individuale).

Partendo da queste premesse è possibile calcolare la dose di insulina pre-prandiale in funzione del contenuto in carboidrati dei pasti e dei livelli glicemici pre-pasto. Per poter utilizzare in maniera vantaggiosa questa tecnica occorre avere consapevolezza di:

cosa sono i carboidrati

quali sono gli alimenti a prevalente carattere glucidico

quali sono le quantità di carboidrati negli alimenti considerati

qual’è il loro ammontare nel pasto che ci accingiamo a consumare

I carboidrati sono il nostro principale carburante, il cui ingresso nelle cellule, e la conseguente utilizzazione a scopo energetico richiede la presenza di insulina.

Per poter risalire agli alimenti più ricchi in carboidrati è possibile riferirsi alle liste alimentari a prevalente carattere glucidico reperibili facilmente nei testi inerenti le diete.

La valutazione della quantità di carboidrati presente nei pasti può essere effettuata in diversi modi:

pesata a crudo degli alimenti (è il metodo più preciso ed attendibile, ma la sua attuazione nella pratica quotidiana può risultare sconveniente)

uso delle unità di misura casalinghe e dei pesi di riferimento delle porzioni più utilizzate (si adoperano utensili domestici quali cucchiai, bicchieri, etc. partendo dal presupposto che il peso di alcune porzioni sia costante)

metodo volumentrico (si confronta il volume della mano aperta, pugno, etc. con la quantità di cibo che si desidera consumare, sapendo
che ad una porzione di cibo cotto, con volume uguale al pugno del paziente, corrisponde un peso prestabilito).

Determinazione del rapporto insulina /carboidrati: questo step richiede l’individuazione della quantità di insulina necessaria a mantenere la glicemia in un range prefissato dopo l’assunzione di una quantità nota di carboidrati. Si può poi calcolare, di volta in volta, in funzione dell’apporto di glucidi dei pasti, la quantità di insulina da assumere.

 

 
Da: http://www.medtronic.com/italy/health/diabete/diabete.html#top