Il bisturi curerà il diabete 2: studio italiano apre le speranze

La chirurgia dell’obesità potrebbe suggerire una soluzione definitiva contro il diabete insulino-resistente, meglio noto come diabete di tipo 2 o adulto. In Italia ne soffrono 2,4 milioni di persone, numero destinato peraltro ad aumentare come il ‘girovita nazionale’, con gli obesi che rappresentano il 10% della popolazione, ovvero 6 milioni di persone, mentre sono circa 16 milioni le persone in soprappeso (34,7%). Ma una soluzione anche per quei diabetici che obesi non sono potrebbe arrivare dalla chirugia: un colpo di bisturi potrebbe infatti cancellare la loro malattia cronica e tutti i sintomi della sindrome metabolica, dal colesterolo alto all’ipertensione.

A dirlo, in occasione della presentazione, oggi a Roma, del 109esimo congresso della Società italiana di chirurgia (a Verona dal 14 al 17 Ottobre) è Nicola Scopinaro, professore ordinario di chirurgia generale all’Università di Genova, che ha in corso uno studio pilota su 20 pazienti diabetici ma non obesi, che si sono sottoposti all’intervento di diversione biliopancreatica non per perdere peso ma unicamente per curare il diabete. E i dati raccolti finora lasciano ben sperare. “È un dato assodato dalla comunità scientifica mondiale – spiega Scopinaro – che la chirurgia dell’obesità può portare, oltre che alla perdita di peso, anche alla scomparsa del diabete. Ma la possibilità di estendere l’operazione anche a tutti i pazienti diabetici non gravemente obesi, che di fatto rappresentano la grande maggioranza, è al momento ancora in fase di studio. Se i risultati delle nostre indagini saranno positivi come crediamo – assicura Scopinaro – e verranno confermati da uno studio multicentrico su molti pazienti italiani che confidiamo possa partire già dal prossimo anno, la soluzione chirurgica del diabete potrebbe interessare anche un malato su due”. Ciò significa che, “se tutto andrà come speriamo, si tratterà di una svolta epocale, sia nella storia del diabete, sia in quella della chirurgia”.

I risultati preliminari dello studio pilota in corso, intanto, appaiono estremamente promettenti. Dei 12 pazienti finora operati, infatti, nessuno fa più uso di farmaci né osserva alcuna dieta contro il diabete dal momento della dimissione; in 4 di loro i livelli di glicemia si sono normalizzati a un mese dall’intervento; in altri 4 al quarto mese, mentre gli altri pazienti non hanno ancora raggiunto il momento del primo controllo postoperatorio.

“Nella primavera dell’anno prossimo – fa sapere Scopinaro – spero di iniziare lo studio protocollare multicentrico italiano per validare i risultati dello studio pilota. Difficile dire quanti diabetici potrebbero necessitare della chirurgia piuttosto che delle cure farmacologiche tradizionali, di certo chi ha un diabete fuori controllo nonostante i farmaci è un buon candidato all’operazione. Almeno il 50% dei diabetici potrebbe avere l’indicazione chirurgica – stima Scopinaro – ma tutto dipende dall’età di insorgenza del diabete e dalla sua rapidità di evoluzione, che determina il tempo durante il quale la malattia è controllabile con la terapia medica. Di certo l’intervento offre garanzie assai maggiori rispetto ai farmaci – assicura l’esperto – infatti il paziente diabetico dopo molti anni può andare incontro a gravi complicazioni di vario tipo (soprattutto oculari, renali e cardiovascolari) anche se segue la terapia, mentre il trattamento chirurgico potrebbe cancellare questa eventualità”.

“E non sarebbe l’unico vantaggio – continua Scopinaro – l’intervento infatti non risolve solo il problema del diabete, ma l’intera sindrome metabolica, quindi riporta il colesterolo a valori normali (sotto 200 mg/dl) e anche i trigliceridi nel 100% degli operati, e guarisce l’ipertensione nell’80% dei casi (risultati a 10 anni). Quanto al meccanismo d’azione dell’operazione, ovvero a come l’intervento curi il diabete, “molto resta da capire – ammette l’esperto – ma di certo diversi fattori influiscono: prima di tutto la rimozione del grasso intracellulare, che determina la ridotta sensibilità all’insulina, poi molteplici fattori ormonali, primo fra essi il ‘salto del duodeno’, grazie al quale il cibo raggiunge l’ileo, cioè la parte terminale dell’intestino, dove altrimenti non arriverebbe. In tal modo viene stimolata la produzione di ormoni intestinali che favoriscono l’azione dell’insulina sia a livello del pancreas, dove essa viene prodotta, sia a livello delle cellule periferiche, dove essa agisce”.

 

(Adnkronos Salute)