Embrioni italiani

Un mese fa Obama riammetteva agli ingenti finanziamenti pubblici la ricerca sulle staminali embrionali. Le stesse cellule alla base della “fabbrica” del sangue, annunciata qualche giorno dopo da ricercatori inglesi e che dovrebbe funzionare tra tre anni (il condizionale è d’obbligo quando si fanno previsioni scientifiche). I due eventi hanno riacceso le polemiche anche in Italia, dove le embrionali sono escluse dai fondi pubblici. Intanto i nostri scienziati ci lavorano lo stesso e ad altissimo livello, vista l’entità dei finanziamenti che raccolgono all’estero. In queste pagine i 10 centri più avanzati e le patologie su cui indagano. (a. d’a.)

Capire chi controlla i “controllori” del nostro corpo, i meccanismi ancora segreti che determinano la nascita, la proliferazione e la morte delle nostre cellule. La ricerca sulle cellule staminali embrionali dopo oltre un decennio di studi è oggi a un passo da traguardi importantissimi in biologia molecolare come nella genetica di base, e quindi nelle applicazioni terapeutiche.
Anche in Italia queste cellule “totipotenti”, in grado cioé di evolvere e differenziarsi in qualsiasi tessuto del corpo proprio perché derivate dall’embrione, sono oggetto di studi da gruppi di scienziati (che nel 2007 hanno firmato il “Manifesto” del gruppo Ies coordinato da Elena Cattaneo), tutti dopo aver ricevuto il parere etico favorevole dai rispettivi centri di ricerca. Il divieto della legge 40 riguarda infatti solo l’estrazione di cellule “blastomero” di un embrione di cinque giorni. Rimangono perciò inutilizzati migliaia di embrioni congelati, avanzati nelle procedure di fecondazione assistita, che non possono essere né impiantati né destinati alla ricerca.
Nulla vieta però, previa approvazione del comitato etico dell’istituto, di farsi spedire dall’estero “linee” cellulari embrionali, che con la loro totipotenza, racchiudono segreti determinanti e non sostituibili con lo studio delle staminali “adulte”, pluripotenti, che si trasformano solo in alcuni tessuti.
Oltre alle “primitive” coltivate di origine embrionale, in Italia, per continuare a fare questo tipo di ricerca, si deve ricorrere alle murine, embrionali di topo, oppure alle partenoti, una sorta di “surrogato” delle staminali embrionali.

La stimolazione di ovociti

Al laboratorio di Embriologia Medica dell’Università di Milano, la ricercatrice Tiziana Brevini e il direttore Fulvio Gandolfi (in collaborazione con la Clinica Mangiagalli) ottengono questi “sostituti” stimolando chimicamente gli ovociti scartati in sede di fecondazione assistita e donati alla ricerca.
Studi sulle “linee embrionali” (in alcuni casi si è già arrivati al brevetto di nuovi farmaci) in Italia, essenzialmente, si rivolgono a cinque aree patologiche: le malattie neurodegenerative (dal Parkinson alla Corea di Huntington), la Talassemia, la Fibrosi cistica e le patologie del cuore e del polmone.
All’Università di Milano (dove il primo parere etico favorevole a questo tipo di ricerca si è avuto nel 2005) Elena Cattaneo, nel suo laboratorio di Biologia delle cellule staminali e farmacologia delle malattie neurodegenerative, insieme al suo team di 14 ricercatori, studia l’evoluzione del gene che ha causato la Corea di Huntington, anche grazie alle staminali embrionali. Nel progetto internazionale “Neurostemcell”, finanziato dal 7 programma quadro dell’Ue con quasi 12 milioni di Euro, coordinato dal laboratorio italiano della Cattaneo insieme a quello di Anders Björklund, a Lund, in Svezia, e che coinvolge 13 istituti di ricerca, si cerca di identificare la “linea cellulare” più adatta per la rigenerazione dei neuroni di tipo dopaminergico e gabaergico che vengono a mancare nelle malattie degenerative del cervello come Corea, Parkinson e demenze. Si studia sia sulle embrionali e le cellule neurali da esse derivate che sulle nuove “iPs”(induced pluripotent stem), le cellule di pelle “riprogrammate” allo stadio primitivo con inserimento di alcuni geni.

Le cellule del cuore

Al Centro Interuniversitario di Medicina Molecolare e Biofisica Applicata di Firenze, diretto da Elisabetta Corbai, si studiano le embrionali per generare popolazioni di cardiomiociti, le cellule che contraendosi permettono al cuore di assolvere alla sua funzione vitale di pompa del sangue. In terapia potrebbero servire dunque a “riparare” il muscolo cardiaco indebolito nell’insufficienza cardiaca o a seguito di infarto o come conseguenza di chemioterapia antileucemica, per forme dilatative idiopatiche o conseguenti a infezioni virali.
“Le cellule staminali embrionali possono ripopolare il cuore infartuato e differenziarsi in cardiomiociti”, spiega Elisabetta Corbai, “in particolare, le cellule staminali embrionali hanno mostrato la capacità di contribuire consistentemente a generare una popolazione cardiomiocitaria di nuova formazione”. Cosa che invece non è possibile con le staminali adulte del midollo osseo che, continua la Corbai, “dopo i primi esaltanti risultati di laboratorio, hanno dato risultati deludenti nelle sperimentazioni sui pazienti”.
Il problema attualmente è riuscire a generare un numero sufficiente di cardiomiociti, dalle staminali embrionali, per un trapianto di successo. Allo scopo, il laboratorio di Firenze, anche in collaborazione con quello di Marisa Jaconi di Ginevra, analizza e studia tutte le tappe cruciali che porta una staminale embrionale a divenire cardiomiocita adulto e funzionante. Si è scoperto infatti che la maturazione in coltura (da staminale a cardiomiocita) è estremamente lenta e si svolge in non meno di tre mesi attraverso tante piccole fasi.
Anche al laboratorio di Gianluigi Condorelli, dell’Università “La Sapienza” di Roma, si cerca un nuovo metodo per trasformare le cellule staminali embrionali in cellule cardiache. In particolare, il team composto tutto da giovani ricercatori ha sperimentato un sistema che consente di selezionare, con certezza, dalle staminali in coltura, quelle che diventeranno cardiomiociti da quelle che non lo diventeranno. Condorelli usa un vettore virale che contiene un promotore cardiaco che si esprime poi solo nelle cellule cardiache. La troponina umana testata in vitro è risultata il promotore più adatto. È stata poi clonata ed inserita nel vettore virale, riuscendo così ad ottenere una trasformazione dell’embrionale in cellula cardiaca con cardiospecificità piuttosto elevata. Attraverso la fluorescenza viene infine facile individuare i cardiomiociti tra la vasta popolazione cellulare. Le istituzioni coinvolte, oltre all’Università la Sapienza di Roma, sono il laboratorio Cisi di Milano e l’Università San Diego in California (Usa).

Tessuti artificiali

Alla cura dell’infarto ma anche della distrofia muscolare punta il laboratorio di Nicola Elvassore, BioERA lab dell’Università di Padova e del Venetian Institute of Molecular Medicine, dove lavorano ingegneri chimici e biotecnologi per produrre muscolo cardiaco e scheletrico umano ingegnerizzato a partire da staminali adulte ed embrionali. Si stanno sviluppando nuovi sistemi di coltura per ottenere tessuti artificiali del tutto simili al tessuto naturale. In particolare, le cellule embrionali sono al momento utilizzate per generare le cellule del cuore con un’elevatissima efficienza grazie alla collaborazione internazionale con Gordon Keller della Division of Stem Cell and Developmental Biology Ontario Cancer Institute, Toronto, Canada. Ad oggi, sono in grado di produrre tessuti cardiaci umani delle dimensioni di 300 micron in grado di contrarsi ritmicamente.

A Ferrara invece il lavoro del ThalLab (Laboratory for the Development of Pharmacological and Pharmacogenomic Therapy of Thalassemia) del dipartimento di Biochimica e Biologia Molecolare (una fondazione finanziata anche da privati) di Roberto Gambari sulle staminali embrionali umane, serve a comprendere i meccanismi di differenziamento di molecole che possono essere sfruttate nella terapia della talassemia, grave anemia genetica. La ricerca ha già portato al brevetto di 7 nuove molecole in grado di indurre differenziamento in globuli rossi ed incrementare la produzione di emoglobina in cellule isolate da pazienti beta-talassemici. Ai progetti di ricerca (finanziati da Telethon e Cassa di Risparmio di Padova e Rovigo) hanno collaborato la Cornell University e l’Hadassah Hospital di Gerusalemme.

Cellule dell’epitelio polmonare da staminali embrionali sono invece ricavate dal Laboratorio di Genetica Medica dell’università Tor Vergata di Roma, diretto da Giuseppe Novelli e Federica Sangiuolo. Le cellule sono state testate sia in “vitro”, per valutarne tutte le caratteristiche, che in “vivo” su modelli animali. A circa due mesi dall’inoculazione di queste staminali embrionali divenute polmonari su un topo malato di fibrosi polmonare, è stato verificato il ripristino della funzionalità dell’organo. “Il passo successivo”, spiega Sangiuolo, “sarà quello di combinare questa terapia con protocolli di terapia genica finalizzati invece alla correzione della mutazione genica della fibrosi cistica cioè del gene CFTR, proprio grazie alle conoscenze acquisite nella coltura e differenziamento di staminali”.

Cellule riprogrammate

Sull’ampio capitolo aperto, nella ricerca di base, dalle cellule “riprogrammate”, scoperte nel 2007 da un gruppo di ricerca statunitense e giapponese, stanno attualmente lavorando (comparazione con le embrionali) due gruppi. Il team di ricerca di Roberto Mantovani dell’Università di Milano studia anche tutti i geni espressi nelle cellule staminali embrionali (OCT3, SOX2, KLF4, Nanog e altri) che non sono espressi invece nelle cellule adulte e differenziate (cute, fibroblasti, etc). La comparazione con le staminali embrionali murine permette di capire il meccanismo di riprogrammazione di questi geni espressi “a forza” nelle nuove iPs dalla cute.

Salvatore Oliviero, del Laboratorio Molecolare dell’Università di Siena, sta studiando uno dei 4 geni, il Myc, alla base della “riprogrammazione cellulare”. Si vuole sapere in che rapporto sta con gli altri tre geni “riprogrammatori” delle cellule e quale è il suo ruolo. “La ricerca sulle cellule riprogrammate al momento è molto empirica e utilizza anche geni potenzialmente pericolosi”, spiega Oliviero, “per questo necessita ancora di essere studiata e paragonata con le staminali embrionali. Ciò renderà possibile identificare i geni coinvolti nella “riprogrammazione” cellulare”.

Infine, anche al Laboratorio di Tecnologie della Riproduzione di Cremona (famoso per la clonazione riuscita di un toro e altri animali), si utilizzano cellule staminali embrionali nell’area di ricerca biomedica. Giovanna Lazzari e Cesare Galli hanno ricevuto un finanziamento europeo per “testing” alternativi (animali e pazienti) dei farmaci: tessuti cellulari ricavati dalle embrionali per testare tossicità e sperimentare nuovi farmaci.

 

di Susanna Jacona Salafia
da Supplemento Salute di Repubblica.it

9 aprile 2009