Polemiche basate sull’ignoranza

Il 9 marzo 2009 Barack Obama rimuove il veto al finanziamento pubblico della ricerca sulle cellule staminali embrionali umane. Passa dalle promesse ai fatti e rilancia, nella consapevolezza che le crisi economiche si superano aumentando gli investimenti per la scienza di base. Ma la straordinarietà dell’intervento sta nella misura del suo discorso. Aprendo alle embrionali, Obama non ha promesso la cura di tutte le malattie. Ha detto, con una consapevolezza superiore a quella di molti politici italiani e anche di alcuni scienziati “pro-staminali cura-tutto” (adulte o embrionali, salvo poi dimostrarlo), che “la completa potenzialità della ricerca sulle cellule staminali resta sconosciuta e non deve essere esagerata”. Studiarle significa avere la possibilità di far fare un salto di qualità alle conoscenze, solamente grazie alle quali si potrà sperare che “forse un giorno, forse non durante la nostra vita, o nemmeno durante quella dei nostri figli, altri potranno beneficiarne”. Questa è una visione concreta ed intelligente della situazione.

Quello di Obama è lo stesso ragionamento di qualunque scienziato intellettualmente onesto che, sulla base di conoscenze, oltre che di principi etici e morali non meno validi di quelli di chiunque altro, valuta, in primo luogo, la sua ricerca così come valuta le conseguenze del “non fare”, che non è mai comportamento neutrale. Le staminali embrionali umane già esistenti e che si studiano nei laboratori non sono persone. E per molti non lo sono nemmeno le blastocisti in vitro (embrioni ai primi stadi di sviluppo n.d.r), aggregati di circa 200 cellule, dalle quali le embrionali vengono estratte (ricordiamo che le blastocisti, dalla natura stessa, vengono eliminate nel 70-80% dei casi). Ma, quand’anche per qualcuno fossero persone, non cambia il fatto che giacciono a migliaia abbandonate nei congelatori d’Italia. Inutili? Dimenticate? Qual’è il peso del “non fare”?

È anche quantomeno ovvio che, una volta che lo scienziato decida di studiare le embrionali (o le adulte), sa bene di non sapere cosa troverà nel corso della sua ricerca e quali le eventuali ricadute delle sue scoperte. Se ritenesse di conoscere in anticipo i risultati, non sarebbe uno scienziato. Sarebbe un indovino. Così come chiunque se ne arroghi la capacità si pone al livello di un chiromante. Che lo dicano esponenti in vista della Chiesa cattolica e alcuni politici o pensatori privi di logica, non ha a che fare con la scienza anche se equivale a distorcere la realtà. Ma uno scienziato che sostenga l’inutilità di ricerche ancora da pensare (fra l’altro, mai le proprie) e di risultati ancora da vedere sfida il ridicolo, anzi ne è artefice. Un po’ come fece Lord Kelvin quando predisse, nel 1895, che “il volo con macchine più pesanti dell’aria è impossibile”.

Il progresso delle conoscenze della scienza è un’altra cosa. La ricerca sulle staminali embrionali umane inizia nel 1998, quando J.Thomson le isola per la prima volta. Allora come oggi, sono prelevate da blastocisti già destinati alla distruzione in quanto residuo sovrannumerario della fertilizzazione in vitro. Queste cellule contengono tutti quei formidabili segreti che le portano a generare gli oltre 250 tipi di cellule specializzate del corpo umano. Sanno formare tutte le nostre cellule mature (sono pluripotenti) ma non un organismo. Con esse vogliamo capire come si generano i nostri tessuti. Forse potranno anche aiutarci a capire come degenerano e, un domani, essere utili per contrastare alcune malattie.

Catturate in laboratorio possiamo propagarle, oggi, come tra sei mesi, mantenendo quella pluripotenza a 250 “carati”. Crescono adese al fondo del piattino di laboratorio, generando cellule figlie quanto più uguali tra loro e alla cellula madre è oggi possibile ottenere. Divisione dopo divisione, come nessun’altra staminale sa fare. Con queste e tante altre conoscenze, possiamo capire come si formano le cellule del cuore o quelle del pancreas, o come si formano i neuroni che sono poi destinati a morire, causando con la loro scomparsa la Corea di Huntington o il Morbo di Parkinson, e cercare di riprodurli in laboratorio.
Vogliamo capire come queste cellule sopportano mutazioni che nell’età postnatale sono letali o malattie che subentrano proprio in queste cellule. O quanto efficienti siano dopo un trapianto. Possibilità di studio infinite i cui risultati influenzano, aiutano, potenziano anche la conoscenza sulle staminali adulte. È a questi segreti, che uno scienziato degno di questo nome non può considerare separati tra di loro ma, al contrario, strettamente interrelati, che punta la ricerca.

E dal 2007 conosciamo una staminale in più, quella “riprogrammata”, ottenuta da cellule della pelle fatte regredire nel tempo fino allo stadio di staminale embrionale, o quasi. Una scoperta di grande significato biologico e celebrata – incoerentemente – anche dagli oppositori delle embrionali “autentiche”, in quanto con essa si generano cellule con la pluripotenza delle embrionali, senza passare dalla blastocisti. Perchè incoerentemente? Perchè questo è un successo della scienza, come ricordano gli scopritori, al quale non si sarebbe mai giunti senza i 10 anni di studio delle embrionali. Eppure, ancora e con pervicace cocciutaggine, c’è chi continua a bollarle come “inutili”.

E in più, se lo studio delle embrionali “autentiche” fosse davvero inutile, che senso avrebbe celebrare le staminali riprogrammate “surrogate”, che mirano a emulare le potenzialità delle embrionali vere?
Ecco che per sostenere un postulato si ricorre alla più imperante e sconclusionata incoerenza.

 

di Elena Cattaneo
Dir. Ricerca staminali, Dip. Scienze
Farmacologiche, Univ. Milano

da Supplemento Salute di Repubblica.it

9 aprile 2009