Diabete mellito: i tanti perché di una sfida difficile

L’intervento del presidente eletto della SID Enzo Bonora al XXV° Congresso della Società Italiana di Diabetologia

Il diabete, una delle tre emergenze sanitarie identificate dalle Nazioni Unite e dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS o WHO), insieme alla malaria e alla tubercolosi e l’unica delle tre ad essere malattia ‘non trasmissibile, rappresenta una delle sfide più difficili per i sistemi sanitari di tutto il mondo. Ed è una sfida complessa e articolata. La sfida è difficile perché la malattia è estremamente diffusa e la sua prevalenza è in costante aumento. Nel mondo il numero dei diabetici è raddoppiato in 20 anni da circa 150 a oltre 300 milioni e le stime della International Diabetes Federation e della WHO prevedono che questo numero raggiunga e probabilmente superi i 600 milioni entro il 2030. In Italia i dati dell’Osservatorio ARNO Diabete 2012, frutto della collaborazione CINECA-SID e basati sulle prescrizioni di farmaci, sulle esenzioni ticket e sulla presenza del diabete fra i codici delle diagnosi indicate sulle schede di dimissione ospedaliera (SDO), indicano una prevalenza del diabete del 6.2% pari a 3.750.000 di individui affetti. Accanto a questi vanno considerati i diabetici noti ma senza esenzione ticket, non farmaco-trattati e senza l’indicazione del diabete nella SDO di un eventuale ricovero ospedaliero e anche tutti i soggetti che sono diabetici senza che la malattia sia mai stata diagnosticata. Nel complesso i diabetici italiani non sono meno di 5 milioni. Circa una persona su 12 che vive in Italia ha il diabete: una vera pandemia, con un diabetico presente praticamente in ogni famiglia. Il 95% di questi 5 milioni di individui ha diabete tipo 2, il 2-3% ha diabete tipo 1 e il restante ha varietà meno comuni della malattia.

 

La sfida è difficile perché la malattia è cronica e la sua durata, attualmente di 20-30 anni, è in continuo aumento, grazie a cure sempre migliori che aumentano la sopravvivenza delle persone affette ma in virtù di una età di insorgenza che si sta abbassando sempre più. L’età media alla diagnosi in Italia è attualmente 50 anni ma ormai molti diabetici tipo 2 ricevono la diagnosi della malattia all’età di 20 e 30 anni, soprattutto nelle etnie non caucasiche, ed hanno la prospettiva di vivere con la malattia per i successivi 40-50 anni. Senza dimenticare che i diabetici tipo 1, la cui diagnosi avviene quasi sempre prima dei 20 anni e non infrequentemente nei prima anni di vita, spesso raggiungono e superano gli 80 anni di età e totalizzano quindi una durata di malattia di 7-8 decadi e anche più.

 

La sfida è difficile perché il diabete è assai complesso nella patogenesi eterogenea e multiorgano dell’iperglicemia, alla quale concorrono variamente beta ed alfa cellule pancreatiche, muscolo scheletrico, fegato, tessuto adiposo, intestino, rene, cervello. La complessità patogenetica e l’eterogeneità della combinazione dei vari difetti molecolari e della loro severità è tale da giustificare l’affermazione che ogni diabetico è unico nel suo genere e per questo merita una personalizzazione nella diagnosi, nel monitoraggio e nella cura. Una personalizzazione che deve tener conto del fatto che il diabete non è solo iperglicemia ma anche dislipidemia, ipertensione, infiammazione, trombofilia e stresso ossidativo.

 

La sfida è difficile perché nel diabete tutti i tessuti e tutte le cellule dell’organismo soffrono a causa dell’iperglicemia e dei difetti associati. Il diabete è malattia sistemica anche per questo motivo: per l’espressione multiorgano delle complicanze croniche per le quali va superata la visione classica dell’interessamento dell’occhio, del rene e dei nervi (microangiopatia) e dei vasi sanguigni (macroangiopatia), per la conoscenza che il diabete aumenta il rischio di malattie polmonari e gastrointestinali, cutanee e osteo-articolari, ematologiche e immunologiche e raddoppia il rischio di sviluppare praticamente tutti i tumori.

 

La sfida è difficile perché al momento della diagnosi solo il 20% dei pazienti non presenta danno d’organo. L’80% dei pazienti al momento della diagnosi ha invece alterazioni al fondo dell’occhio (retinopatia) oppure una riduzione del filtrato glomerulare e/o microalbuminuria (nefropatia) oppure alterazioni neurologiche somatiche o autonomiche (neuropatia) oppure placche carotidee o alle arterie degli arti inferiori oppure alterazioni ischemiche elettrocardiografiche o precedenti di infarto e/o ictus (vasculopatia). Un danno d’organo più o meno severo che impone un’assistenza multidisciplinare e multiprofessionale fin dal momento della diagnosi.

 

La sfida è difficile perché il diabete, è inutile celarlo, è una malattia grave che ha un impatto notevole sulla qualità della vita, causando spesso disabilità. Il diabete è la prima causa di cecità, la seconda causa di insufficienza renale terminale con necessità di dialisi o trapianto, la prima causa di amputazione non traumatica degli arti inferiori, una concausa di metà degli infarti e degli ictus. I dati epidemiologici documentano che in Italia ogni 7 minuti una persona con diabete ha un attacco cardiaco, ogni 26 minuti una persona con diabete sviluppa un’insufficienza renale, ogni 30 minuti una persona con diabete ha un ictus, ogni 90 minuti una persona subisce un’amputazione a causa del diabete e ogni 3 ore una persona con diabete entra in dialisi. Complicanze tanto gravi che il diabete è responsabile di una premorienza stimata mediamente in 7-8 anni quando si valuta l’aspettativa di vita di un diabetico all’età di 50 anni e la si confronta con un pari età senza la malattia. Il diabete non è una malattia fastidiosa, un numero ‘asteriscato’ su un referto di laboratorio, con cui convivere. Il diabete, è sbagliato nasconderlo, è una malattia che uccide e spesso lo fa senza dare grossi segni della sua presenza,  come un killer silenzioso. In Italia ogni 20 minuti una persona muore a causa del diabete.

 

La sfida è difficile perché il diabete richiede un incessante ed attivo coinvolgimento nella cura della malattia della persona affetta. Nel diabete, come in nessun’altra malattia, l’esito dipende da quanto il paziente partecipa scrupolosamente al monitoraggio e alla cura. Dipende da lui più che dal medico. Per questo è irrinunciabile che il paziente sia educato adeguatamente alla gestione della malattia in tutte le sue varie sfaccettature. Per questo è indispensabile che i professionisti che lo curano dedichino tempo, molto tempo alla persona con diabete: devono riuscire a stringere con lei quell’alleanza complice che è necessaria per raggiungere una consapevole accettazione della malattia e di quanto è necessario per curarla in maniera efficace, minimizzando il rischio di complicanze croniche. Il diabete è una malattia che nel corso della vita richiede qualcosa di specifico, in genere mal sopportato, centinaia di migliaia di volte (attenzione all’alimentazione, attività fisica, misurazioni glicemiche domiciliari, assunzione di pillole o iniezioni, visite, esami, ecc.). Per conseguire la necessaria aderenza non bastano raccomandazioni verbali frettolose o foglietti con scarne istruzioni scritte. Servono ascolto ed empatia, pazienza e comprensione, dedizione e compassione.

 

La sfida è difficile perché diagnosi e cura del diabete richiedono l’intervento di molti professionisti della sanità. Richiedono medici di famiglia formati sulla gestione della malattia e interessati alla cura di una patologia che abbisogna di moltissimo tempo e di incessante impegno. Richiedono team specialistici costituiti da medici diabetologi, infermieri e dietisti esperti (team diabetologico). Richiedono anche psicologi, podologi, nefrologi, cardiologi, oculisti, neurologi e, sempre più frequentemente, specialisti che abbiano competenze specifiche nella cura del piede (diabetologi diventati chirurghi, chirurghi plastici, chirurghi vascolari, ortopedici, infettivologi, fisiatri). Professionisti aggiornati, motivati e appassionati che sappiano destreggiarsi fra decine di esami di laboratorio e strumentali e padroneggiare l’uso di decine di classi di farmaci. Da questo punto di vista il diabete è una varietà molto peculiare di malattia cronica che richiede uno specifico modello assistenziale. Diversamente dalle altre malattie croniche (scompenso cardiaco, BPCO, patologia ulcerativa gastrointestinale, artrosi) il diabete non riguarda un solo organo o apparato, non si gestisce con 1-2 esami strumentali, 3-4 esami di laboratorio e una mezza dozzina di farmaci. E’ stato calcolato che, considerando l’armamentario di farmaci a disposizione, le combinazioni possibili di farmaci anti-diabetici siano superiori a 100.

 

La sfida è difficile perché il diabete costa una quantità enorme di soldi alla società e al singolo individuo. Soldi che vengono utilizzati per diagnosi, cura e riabilitazione o che non vengono guadagnati per giornate lavorative perdute e per disabilità acquisite. Senza contare i costi morali e intangibili attribuibili alla malattia (qualità e quantità di vita perduta). I dati più recenti sulla cura del diabete indicano che in Italia ogni persona con diabete costa al SSN circa

3.000 euro. La somma, tuttavia, è sottostimata perché basata sulle tariffe (es. rimborso forfettario di un ricovero col sistema dei DRG) e non sui costi reali (es. costo della giornata di degenza moltiplicato per la durata della stessa). Da notare che il costo per i farmaci anti-diabetici, per i presidi (strisce per misurare a domicilio la glicemia), per le visite diabetologiche e per il monitoraggio di laboratorio (es. HbA1) rappresentano nel loro complesso solo il 10% dei costi mentre il 90% degli stessi è rappresentato da ricoveri ospedalieri e diagnosi, monitoraggio e terapia delle complicanze acute e croniche.

 

Per vincere questa sfida è fondamentale un’alleanza forte fra chi cura la malattia e chi ha la malattia, fra medici di famiglia e specialisti, fra ospedale e territorio, fra clinici e ricercatori, fra enti governativi nazionali e locali, fra soggetti pubblici e privati, fra istituzioni pubbliche, associazioni di pazienti e società scientifiche. Un’alleanza che includa anche le aziende del settore farmaceutico e dei biomedicali per identificare strumenti di diagnosi e cura sempre più efficaci e sicuri e per realizzare e sostenere ricerca, assistenza, formazione e divulgazione nel campo del diabete.

 

L’Italia è il Paese dove esiste un’organizzazione per l’assistenza diabetologica che non ha eguali nel mondo ed è invidiata da tutti i paesi occidentali. Un’organizzazione che consta, oltre che dei medici di famiglia, di una rete di centri specialistici diffusi capillarmente su tutto il territorio nazionale e che forniscono con regolarità consulenze per circa il 50% delle persone con diabete, prevalentemente, ma non esclusivamente, quelle con malattia più complessa e/o complicata. Per questo l’Italia è uno dei Paesi con il più basso livello medio di HbA1c ed è il Paese che ha registrato in passato più bassi tassi di complicanze croniche e di eccesso di mortalità.

 

Per consolidare e migliorare questi risultati l’Italia, che fra i primi si è dotata di una legge nazionale sul diabete 25 anni fa, ha varato nel 2013 un Piano Nazionale Diabete che, approvato dalla Conferenza Stato-Regioni, prevede che tutte le persone con diabete che vivono in Italia siano assistite con il modello della “gestione integrata” o “disease management” fin dal momento della diagnosi dai medici di famiglia, da soli o aggregati, e dai team diabetologici. Una gestione che non prevede una suddivisione dei pazienti fra chi va dallo specialista e chi no ma piuttosto un intervento dei team diabetologici (non di singoli specialisti in diabetologia) meno frequente nei pazienti a più bassa complessità (circa il 60% del totale) e più frequente in quelli a più alta complessità (circa il 40%). Una gestione che non può realizzarsi senza una condivisione totale delle informazioni cliniche di tutti i diabetici mediante cartelle elettroniche visibili sia ai medici di famiglia che ai team specialistici e senza una collaborazione leale e sincera, rispettosa delle proprie diverse ma complementari professionalità. Una gestione integrata ha già visto la luce in alcune realtà regionali o locali e che è previsto si debba estendere a tutto il Paese per dare le stesse opportunità di cura a tutti (equità ed uguaglianza) e per vincere la sfida. Il diabete deve essere sconfitto, con la necessaria partecipazione attiva alla sfida della persona affetta e con l’irrinunciabile alleanza fra medici di famiglia e team diabetologici. Se la sfida non sarà vinta,

se il diabete non sarà sconfitto, la malattia dilagherà, con le sue complicanze, con la sua disabilità, con la sua premorienza, coi suoi costi insostenibili per il singolo e la società, con il suo impatto negativo sulla qualità e quantità di vita di molti milioni di cittadini nel nostro Paese.

 

 

 

 

 

Ufficio stampa SID

Maria Rita Montebelli –

Andrea Sermonti –