Gli italiani ‘pensano’ di conoscere il diabete “Ma non sentendosi a rischio non fanno prevenzione”

I risultati di un’indagine di Gfk Eurisko, condotta per conto della Società Italiana di Diabetologia SID

 

● In evidenza un forte divario fra le conoscenze sulla malattia (che appaiono diffuse) e gli orientamenti di prevenzione (del tutto inadeguati)

 

● Una contraddizione motivata da vari fattori: la sottovalutazione del rischio, un certo fatalismo e la concreta difficoltà a modificare i propri stili di vita

 

● Ecco l’urgenza di mettere in atto campagne di sensibilizzazione ed educazione che favoriscano la presa di coscienza sul rischio e propongano modelli di comportamento efficaci. Ma soprattutto attuabili

 

Quando si parla di diabete, la gente, in generale è convinta di sapere di cosa si tratti; questa patologia viene facilmente accostata nell’immaginario collettivo al ‘mangiare’ (in particolare ad un’errata alimentazione o all’obesità), alla mancanza di attività fisica e alla familiarità. Il 90% degli italiani la giudica una malattia grave (molto grave per il 24%), non “guaribile” ma controllabile (si può controllare ma non guarire per il 70% degli italiani). In termini di gravità, gli intervistati la  posizionano  al quinto posto, dopo tumori, ictus, infarto e Alzheimer mentre, fra le patologie croniche, viene messa al secondo posto, dopo l’epatite e prima dell’insufficienza renale e della bronchite cronica.

 

Eppure, quello che manca totalmente, nella messa a fuoco del problema da parte delle persone, è la percezione del rischio diabete riferito a se stessi:

  • Oltre il 90% degli italiani non si considera a rischio (mentre in realtà oltre un terzo è a rischio!) e ben il 70% di chi è ad alto rischio non si sente tale!
  • oltre la metà dichiara di non fare nulla per prevenire il diabete o altri problemi di salute,
  • non si fa nulla perché non ci si considera a rischio, si nega il problema e si considera la prevenzione inefficace: fra le persone ad alto rischio prevale il fatalismo (non ci voglio pensare) e la difficoltà a modificare il proprio stile di vita.

 

“Solo il 3% degli intervistati – sottolinea il professor Stefano Del Prato, Presidente della Società Italiana di Diabetologia – si considera a rischio di diabete; un dato questo già stridente con la prevalenza di questa condizione nella popolazione italiana, stimata intorno al 6,2% della popolazione. Ma il dato ancora più inquietante è che il 70% delle persone a più elevato rischio* di diabete, non fa nulla per ridurre questo rischio, come se ignorasse totalmente il problema. In particolare, dalle interviste, emerge che la fascia a maggior rischio, percepisce meno l’alimentazione come elemento impattante sul rischio, mentre riconosce un chiaro ruolo in tal senso ad alcol e fumo”.

 

“Questo studio – spiega la dottoressa Isabella Cecchini, Direttore Dipartimento Ricerche sulla Salute – GfK Euriskoha indagato le conoscenze della malattia, i vissuti e i comportamenti di prevenzione, su un campione di 1100 casi, rappresentativi della popolazione italiana maggiorenne. Circa 3,6 milioni di italiani (il 6,2%) soffrono di diabete, circa 6 milioni (10%) sono ad alto rischio, 15 milioni sono  a rischio modesto . A maggior rischio sono le donne (65% delle persone a rischio sono donne), in particolare quelle con bassa scolarità (75% ha un titolo di studio elementare-media inferiore)”.

 

Dalle risposte degli intervistati emerge anche l’idea che il diabete sia una malattia fatta e finita in se stessa e non un fattore di rischio importante per altre condizioni quali infarto, ictus, tumori, malattie renali. “E la conseguenza inevitabile di tutto ciò – sottolinea il professor Del Prato – è che non sentendosi a rischio, non pensandoci, la gente non fa neppure prevenzione”. I pochi che hanno invece la percezione di essere a rischio diabete (come visto, meno di 1 su tre di quello a più alto rischio), mettono in atto misure di prevenzione soprattutto attraverso l’alimentazione (a rispondere così è l’80% degli intervistati), mentre dall’indagine emerge che le persone più a rischio di diabete, sono paradossalmente quelle che fanno meno attività fisica. Alla domanda ‘perché non fanno prevenzione’, hanno risposto ‘perché non ci voglio pensare’ il 40% dei giovani e il 32% degli anziani. Il 27% dice di non fare prevenzione perché non si sente a rischio e i restanti ammettono di non farla perché farebbero troppa fatica a cambiare lo stile di vita. Gli italiani intervistati sanno che i pilastri della prevenzione sono: seguire una dieta salutare, non ingrassare, fare movimento. Solo uno su 4 ritiene tuttavia che si tratti di misure efficaci (e solo il 31% di quelli appartenenti alla fascia ad alto rischio).

“E’ un po’ la ‘strategia dello struzzo’ – commenta il professor Del Prato – quanto più si è a rischio, tanto più si nega l’esistenza del problema. E’ dunque fondamentale trovare nuove parole e nuovi strumenti per far arrivare alle persone un corretto messaggio di prevenzione e per aumentare la consapevolezza relativa al rischio personale di sviluppare il diabete e quella delle complicanze che il diabete può provocare. I risultati di questa indagine sono per molti versi scioccanti per noi addetti ai lavori; ci rendiamo conto che in tutti questi anni abbiamo sparato contro un vetro anti-proiettile; i nostri messaggi di invito alla prevenzione non sono arrivati a destinazione. O solo parzialmente”.

 

Volendo vedere il bicchiere ‘mezzo pieno’ infine, a fronte di questa generale tendenza alla negazione del rischio sul piano personale, c’è invece una grande sete di informazione. La gente in particolare  sembra interessata a sapere cosa fare per prevenire il diabete (66%), ma anche a scoprire quali ne sono le cause (46%) e le conseguenze (41%).  Ed è dal medico di famiglia (56%) che ci si aspetta un’informazione utile ed efficace; ma per il 38% degli intervistati anche i mass media (quotidiani/giornali, TV, radio) e internet (22%) rappresentano fonti preziose di informazioni.

 

“Alla luce di questi risultati – conclude il professor Stefano Del Prato – riteniamo dunque urgente mettere in atto campagne di sensibilizzazione ed educazione, che aiutino le persone a  prendere coscienza del rischio di sviluppare il diabete e delle complicanze di questa condizione, ma che allo stesso tempo propongano modelli di comportamento efficaci. E soprattutto attuabili nella quotidianità della vita lavorativa e nelle grandi città, dove gli spazi a disposizione per l’attività fisica spesso sono carenti.”

 

 

* Il grado di rischio è stato valutato in base ad alcuni parametri: sesso, età, familiarità, BMI, circonferenza addominale, glicemia elevata, ipertensione, stili alimentari (consumo di frutta e verdura), attività fisica

 

Ufficio stampa SID

Maria Rita Montebelli –

Andrea Sermonti –