Diabete di tipo 1 si potrà prevenire con farmaco noto da 50 anni?

Un farmaco ampiamente usato da oltre 50 anni per controllare la pressione sanguigna potrebbe prevenire il diabete di tipo 1 e persino aiutare a trattare i pazienti già colpiti dalla malattia prevenendo la distruzione autoimmune delle cellule beta pancreatiche produttrici di insulina. Lo suggerisce uno studio pubblicato online il 13 febbraio sul Journal of Clinical Investigation.

Concentrandosi sulla proteina immunitaria DQ8, legata allo sviluppo del diabete di tipo 1 e presente nel 60% dei pazienti, il team di ricerca ha inizialmente identificato una molecola candidata per prevenire la malattia, in base alla sua struttura tridimensionale e alla capacità di adattarsi all’antigene espresso sulla proteina, bloccandolo e rendendolo inaccessibile alle cellule T.

Hanno quindi esaminato oltre 1500 farmaci già approvati dalla Fda, utilizzando un sofisticato programma per trovare quelli con una struttura simile, e alla fine come candidato ideale, hanno identificato la metildopa, farmaco antipertensivo ben consolidato.

Studiando il farmaco in 20 pazienti con diagnosi recente di diabete di tipo 1, il team ha scoperto che la metildopa non solo bloccava l’attività immunitaria della proteina DQ8, ma sembrava anche stabilizzare la malattia.

«Questo è il primo trattamento personalizzato per la prevenzione del diabete di tipo 1», ha detto l’autore senior Aaron Michels, del Barbara Davis Center for Childhood Diabetes, ad Aurora, Colorado, in un comunicato stampa della sua istituzione. «Con questo farmaco, possiamo potenzialmente prevenire fino al 60% del diabete di tipo 1 nei soggetti a rischio per la malattia, uno sviluppo molto significativo».

L’autore principale, David A Ostrov, del College of Medicine, Università della Florida, a Gainesville, ha osservato che le tecniche utilizzate nello studio possono rappresentare un’opportunità per identificare nuovi trattamenti per altre malattie autoimmuni, come l’artrite reumatoide, la celiachia e il lupus.

Sulla base dei risultati ottenuti, il team condurrà una sperimentazione clinica con metildopa per la prevenzione e il trattamento del diabete di tipo 1, grazie a un finanziamento del National Institutes of Health (NIH). Lo studio TN-23 sarà multicentrico, randomizzato, controllato con placebo, su bambini e adolescenti a rischio di diabete di tipo 1 con la proteina immunitaria, e valuterà la sicurezza, l’efficacia e la modalità di azione della metildopa nella prevenzione della presentazione dell’antigene.

La ricerca della molecola adatta
Sebbene la riduzione della produzione di insulina nel diabete di tipo 1 si ritenga essere causata dalla distruzione autoimmune-mediata delle cellule beta pancreatiche, le terapie immunitarie testate finora hanno offerto limitati benefici clinici.

Ricerche condotte negli ultimi dieci anni hanno dimostrato, tuttavia, che il DQ8, un gene nel complesso dell’antigene leucocitario umano (HLA) collegato alle risposte delle cellule T autoreattive, è presente nel 50% -60% dei pazienti con diabete di tipo 1, e aumenta il rischio di sviluppare la malattia fino a 11 volte.

Ipotizzando che l’allele DQ8 possa essere un nuovo bersaglio terapeutico, i ricercatori hanno prima di tutto utilizzato la sua struttura tridimensionale per esaminare una libreria di 139 735 piccole molecole, per identificare quelle che potevano legarsi a tasche strutturali dell’allele, e bloccare la presentazione dell’antigene.

Una selezione di 40 molecole è stata valutata in vitro fino a trovare che un composto, il tetraazatriciclododecano (TATD), interagiva direttamente con il complesso peptide/DQ8 senza causare citotossicità cellulare.

Il test sui topi
La successiva somministrazione di TATD a topi diabetici non obesi, ne ha mostrato la capacità di bloccare la presentazione dell’antigene di classe II del complesso maggiore di istocompatibilità (MHC).

Oltre a questo, il composto ha prevenuto o ritardato l’insorgenza del diabete, bloccato le interazioni tra cellule T/B, ha ridotto la distruzione tissutale e ha mantenuto la tolleranza al glucosio nei topi malati.

A questo punto il team ha cercato un farmaco con una conformazione adatta a occupare la stessa tasca dell’allele DQ8 a cui si legava il TATD.
Dei dieci farmaci che hanno mostrato risultati promettenti, la metildopa ha inibito la reattività delle cellule T in vitro, ha bloccato la presentazione dell’antigene del DQ8 in modo dose-dipendente e ha impedito ad altri peptidi di legarsi all’allele, senza causare citotossicità cellulare.

Lo studio sull’uomo
I ricercatori hanno allora condotto uno studio di Fase Ib di dose-escalation, a braccio singolo, in aperto, su 20 pazienti con diabete di tipo 1 da meno di due anni, che producevano ancora insulina endogena ed erano positivi per il DQ8.

Per prevenire l’ipotensione, ai pazienti sono state somministrate tre dosi orali di metildopa per 6 settimane, che è stata ben tollerata senza eventi avversi gravi.

Dosi basse, moderate e alte di metildopa hanno determinato una riduzione significativa del 40% della presentazione dell’antigene DQ8 da parte delle cellule mononucleate periferiche del sangue rispetto ai livelli basali, e 17 pazienti hanno risposto. La metildopa è stata inoltre associata a riduzioni delle risposte delle cellule T CD4 insulino-specifiche nella circolazione periferica.

Il controllo glicemico è rimasto stabile per 3 mesi, senza variazioni delle dosi totali di insulina e la produzione residua di insulina endogena è rimasta simile al basale, in contrasto con i risultati degli studi che suggeriscono che i pazienti con diabete di tipo 1 sperimentano un costante declino nella produzione di insulina dopo la diagnosi.

Un farmaco con 50 anni di uso clinico
Gli autori scrivono «Sebbene a breve termine, questi risultati suggeriscono che il trattamento con metildopa può limitare la distruzione delle cellule beta e preservarne la funzionalità. Sono tuttavia necessari studi di durata più lunga e un braccio placebo, per valutare pienamente l’efficacia metabolica».

Sebbene riconoscano che ci sono “diverse preoccupazioni” sull’uso di farmaci preesistenti per colpire la presentazione dell’antigene del MHC di classe II, i ricercatori affermano che «uno dei vantaggi nel riproporre farmaci esistenti, è che i profili di sicurezza ben caratterizzati possono dare indicazioni sulle potenziali complicazioni e sugli effetti non legati al bersaglio».
E fanno notare che la metildopa, dopo oltre 50 anni di uso clinico, è considerata sicura, anche in quel 10% circa di popolazione europea-americana che porta l’allele DQ8.

Ostrov DA et al. Methyldopa blocks MHC class II binding to disease-specific antigens in autoimmune diabetes. J Clin Invest. Published online February 13, 2018.

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da PHARMASTAR