Una favola brutta.

C’era una volta, in paese lontano, una bella famiglia composta da papà, mamma, e tanti fratellini. Tutti erano felici quel giorno, perché in casa era nato un bambino bellissimo, i capelli colore del grano e gli occhi d’acqua di mare. La famiglia era tanto felice e piena d’amore e tutto il villaggio si mise a festeggiare quel bambino perfetto come un angelo caduto sulla terra. Gli echi della festa arrivarono alle orecchie sospettose della Dea Madre di tutti gli dei, la Nefandezza.
Come aveva osato un insignificante essere umano sfidare, con la sua bellezza, l’ inimitabile bellezza divina? Infuriata, la Dea decise di punire la famiglia scagliando sul bambino una brutta malattia, il diabete 1, perché il suo percorso fosse più difficile e irto di ostacoli. Non paga, chiamò a corte i suoi figli, Dei e i Deucoli, e decise di farsi aiutare nel suo piano di vendetta.
Quando i genitori del pargolo videro che il piccolo stava molto male lo portarono dal pediatra. A quel punto il Dio della Cecità intervenne sugli occhi del medico, che, ordinati gli esami di rito, rispedì a casa il bambino. Il giorno seguente un’impiegata del laboratorio si accinse a leggere telefonicamente al medico gli esiti infausti degli esami, ma in quel momento intervenne il Dio della Stupidità, che scosse il foglio alla donna, la quale lesse la riga sbagliata, comunicando così al pediatra che tutto andava ottimamente. Il piccolo stava sempre peggio, perciò il dottore si decise a inviarlo al Pronto Soccorso.
La Dea del Pressappochismo maneggiò in un lampo il liquido necessario all’idratazione del piccolo aumentando in modo casuale le dosi. Ripeté lo stesso giochetto anche una volta che il bimbo venne trasferito nell’ospedale vicino. Si muoveva a quel punto nel cervello del bambino un brutto polipo violaceo, voglioso di divorarsi i suoi più luminosi pensieri. Il piccolo aveva ormai bisogno di un reparto di rianimazione pediatrica, ma in città non vi era nulla di simile. Era ormai in coma e i medici avvisarono i genitori che non ce l’avrebbe fatta. La Dea della Nefandezza si mise a ballare la sua danza macabra mentre una schiera di corvi becchini si accingeva a preparare la cerimonia.
Il bambino venne caricato urgentemente in un’ambulanza che l’avrebbe dovuto trasportare nel Grande Bellissimo Ospedale dei Bambini. Ma il più pazzerellone dei figli della Dea Madre volle a quel punto metterci lo zampino: fece scivolare l’ambulanza lungo vicoli ciechi e strade intricate, boschi scuri e sentieri insozzati di fango, sempre più lontani dalla meta. Gli dei, già soddisfatti dei loro giochi crudeli e ormai un po’ annoiati, a quel punto se ne disinteressarono. Così Plinio arrivò in ospedale, schivando, all’ultimo, il cielo.

Questa è una brutta favola, perché è una favola vera. Una favola in cui tolta la maschera agli dei, rimangono, nudi, banali esseri umani. Può finire così, non troppo bene, con un bambino rimasto a metà e una famiglia ferita, o può finire meglio, con l’intervento della Dea della Giustizia.
Tolta la maschera anche a lei rimane solo la giustizia terrena a poter riportare il lieto fine o, se non proprio lieto, un finale degno di uomini non troppo piccoli.

(con affetto a Iacopo Ortolani, Lu)

 

di Luisa Codeluppi