Target glicemici personalizzati sui pazienti anziani

Di solito, quando si tenta di tenere sotto controllo il livello di emoglobina glicata in pazienti affetti da diabete di tipo 2, si stabilisce un livello omogeneo per tutti i pazienti. Ma per una volta, nel nuovo studio internazionale INTERVAL pubblicato su The Lancet, non è stato così: “L’aspetto importante dello studio è legato al fatto di aver introdotto un criterio personalizzato per la definizione del target glicemico, ovvero dell’emoglobina glicata (HbA1c), parametro che determina il grado di controllo della malattia”, ha commentato Francesco Giorgino, esperto e Ordinario di Endocrinologia presso l’Università di Bari. I dati dimostrano infatti, per la prima volta per un farmaco antidiabetico, la possibilità di raggiungere obiettivi terapeutici personalizzati in termini di controllo glicemico nei pazienti anziani con diabete mellito di tipo 2.

L’INTERVAL è un trial di fase III, multicentrico, internazionale, randomizzato, in doppio cieco, controllato verso placebo, che ha coinvolto 278 pazienti presso 45 centri in 7 Paesi europei (Belgio, Bulgaria, Germania, Finlandia, Slovacchia, Spagna e Regno Unito). Il trial ha dimostrato che pazienti anziani (età media 75 anni) con diabete mellito di tipo 2 trattati con l’inibitore della DDP-4 vildagliptin (in aggiunta a una preesistente terapia antidiabetica) hanno ottenuto riduzioni clinicamente significative di HbA1c, con una bassa incidenza di eventi ipoglicemici (nessuno di grado severo), sovrapponibile al gruppo placebo, raggiungendo i target di controllo glicemico identificati dal protocollo di studio (sulla base di età, comorbilità, livelli basali di HbA1c e stato di fragilità) in percentuale significativamente maggiore rispetto ai soggetti trattati con placebo (53% vs. 27%, rispettivamente) e con una probabilità tre volte superiore di raggiungere tali target rispetto a quest’ultimi. Allo studio, della durata di 24 settimane, hanno partecipato pazienti diabetici di tipo 2 di età uguale o superiore a 70 anni, naïve al trattamento o non adeguatamente controllati (livelli di HbA1c al basale compresi tra 7 e 10%) con una preesistente terapia antidiabetica (costituita in circa la metà dei casi da metformina). “Gli studi condotti fino a questo momento erano finalizzati a raggiungere livelli di emoglobina glicata omogenei e uniformi per tutti i pazienti, per esempio un livello inferiore a 7,0%, mentre in questo studio condotto in pazienti anziani il livello di HbA1c da raggiungere viene individuato in base alle caratteristiche di ogni paziente”, ha spiegato Giorgino.
“È la prima volta che si dimostra come l’uso di un farmaco antidiabetico, ovvero vildagliptin, consenta di controllare la glicemia in maniera significativa in pazienti anziani e fragili, senza aumentare il rischio di crisi ipoglicemiche”, ha spiegato Angelo Avogaro, Professore di Endocrinologia e Metabolismo, Università di Padova. “I farmaci tradizionali come le sulfaniluree espongono, infatti, a un rischio di ipoglicemia elevato e alle complicanze ad essa correlate. Per queste ragioni i trattamenti antidiabetici destinati a questa categoria di persone devono tenere conto dell’età e della loro fragilità, garantendo insieme all’efficacia un elevato profilo di tollerabilità”.

Un’adeguata gestione clinica di un soggetto anziano con diabete di tipo 2 comporta la necessità di confrontarsi con una persona più vulnerabile che richiede modalità di approccio e di cura diversificate rispetto alla popolazione più giovane. Inoltre il paziente anziano quasi sempre presenta comorbilità associate al diabete che rendono la gestione clinico-terapeutica molto complessa. “Le crisi ipoglicemiche influiscono in maniera significativa sulla qualità di vita di queste persone. Gli episodi ipoglicemici possono essere non solo percepiti negativamente, ma anche pericolosi per la salute”, ha ripreso poi Giorgino. “L’intervallo tra la soglia alla quale il soggetto anziano si accorge che la glicemia sia sta abbassando e il momento nel quale si verifica la disfunzione cognitiva è particolarmente ridotto e questo riduce la possibilità di intervenire per correggere l’ipoglicemia in atto. Non dimentichiamo, infatti, che l’episodio ipoglicemico provoca alterazioni cognitive che si manifestano attraverso perdita di attenzione, difficoltà nella ideazione e nei tempi di reazione. Quando tali episodi si moltiplicano il rischio è quello di avere danni permanenti al cervello, ed è stata anche suggerita una relazione tra gli episodi di ipoglicemia nel soggetto con diabete e il rischio di sviluppare malattia di Alzheimer. Per questo le attuali linee guida raccomandano, nell’anziano, di adottare target di controllo glicemico individualizzati in base a caratteristiche quali età, comorbilità e fragilità. Tuttavia, finora, non erano mai stati condotti studi con target glicemici personalizzati”.

 

 

da quotidianosanità.it