Pregiudizi diabetici

Prevenzione possibile, cure disponibili ma i “vulnerabili” sono in aumento.
Nel mondo si registra un incremento dellla malattia Sono i più poveri ad essere svantaggiati: terapie costose

È un’epidemia. In Italia nei prossimi venticinque anni ci sarà un incremento del 27% di persone diabetiche. Negli Stati Uniti le stime dicono che salirà oltre il 71%. Non parliamo dell’Africa, dove la malattia subirà un’impennata del 160%. Oggi 250 milioni di individui nel mondo convivono col diabete. Di questi i due terzi non hanno accesso regolare a cure adeguate.

Secondo le previsioni dell’Organizzazione mondiale della sanità nel 2025 l’80% delle persone con diabete vivrà nei paesi poveri quelli che lentamente si vanno occidentalizzando. India, Cina, USA, Indonesia, Giappone, Pakistan, Russia e Brasile, nella lista delle nazioni con il maggior numero di diabetici, precedono l’Italia seguita dal Bangladesh. Per questo Oms, medici, associazioni di pazienti e di volontariato dedicano l’edizione 2006 della Giornata mondiale, fissata per il 14 novembre prossimo e organizzata nel nostro paese da Diabete Italia per sabato 11 e domenica 12 novembre, agli svantaggiati e ai vulnerabili con lo slogan “diabetes care for everyone”, cura del diabete per tutti.

I più esposti

“Le iniziative quest’anno sono volte a dare informazioni alla popolazione generale, a educare e fare prevenzione a tutti coloro che seppur diabetici hanno difficoltà a curarsi, e a quei gruppi di popolazione maggiormente esposti al rischio di diabete a causa di problematiche che rendono precario il loro stato di salute”, spiega Umberto Valentini, presidente di Diabete Italia e direttore U.O. diabetologia “Spedali Civili” di Brescia.

Il diabete di tipo 1 e il diabete di tipo 2, quello più diffuso, attualmente si curano benissimo. Al punto che un diabetico se ben seguito può condurre la stessa vita di un non diabetico. L’Italia in tal senso è molto avanzata sia per le cure che per il sostegno assistenziale.

“L’insulina”, dice Massimo Massi Benedetti, vice presidente dell’International Diabetes Federation, “rappresenta l’unica terapia per i diabetici di tipo 1 e in certi casi anche per quelle persone che hanno il diabete di tipo 2 da 15-20 anni. Nei paesi industrializzati è il servizio sanitario nazionale che paga la cura ma nei paesi poveri il costo di una fiala di insulina equivale allo stipendio di un mese. In India, Africa, Brasile, Cina si muore di diabete come accadeva da noi prima del 1921”.

Un’indagine dell’Oms ha evidenziato che su 74 Paesi considerati, i diabetici di tipo 1 e i diabetici di tipo 2 hanno un accesso continuativo e ininterrotto solo in 44 e 40 paesi rispettivamente. Le cause di questo mancato accesso sono il costo troppo elevato dell’insulina, la mancanza di reti di distribuzione in certe aree geografiche, i problemi di trasporto, la scarsa qualità e l’inadeguata conservazione del farmaco. La diffusione della malattia diabetica e le difficoltà di accesso a cure e assistenza non riguardano però solo i paesi in via di sviluppo. Il diabete è in continua crescita anche nei paesi ricchi dove tra l’altro c’è una cultura negativa attorno alla malattia.

Marker di diversità

“Considerata ancora un marker di diversità, portatrice di morte, di impotenza, di infertilità, discriminante dello stato sociale, – è dimostrato il diretto rapporto tra istruzione, reddito ed evoluzione delle complicanze diabetiche -, e dell’attività lavorativa tanto da costringere in non pochi casi a nascondere la malattia stessa”, aggiunge Massi Benedetti.

Ecco dunque che “svantaggiati” e “vulnerabili” sono le popolazioni del terzo mondo ma anche ampie sacche di popolazione nei paesi del benessere. A cominciare dagli immigrati con difficoltà d’integrazione ed economiche, dai clandestini che rinunciano alle cure per timore di essere registrati e rimandati a casa, alle donne dei paesi dell’Est e del Medioriente che hanno canoni di femminilità legati al “grasso è bello” e che in gravidanza sviluppano diabete. In questi casi la tutela non esiste e anzi si creano condizioni per il mercato nero dell’insulina.

Lo stigma anche a scuola

Nelle carceri il problema si pone in maniera drammatica, così per quanti svolgono lavori in condizioni estreme, per gli anziani poveri e isolati, per i bambini, – in Italia sono più di diecimila i piccoli con diabete di tipo 1 con una crescita del fenomeno attorno al 3 per cento annuo -, stigmatizzati dalla scuola stessa e dagli insegnanti scarsamente o per nulla consapevoli del problema, per la donna in età riproduttiva, per i diabetici adulti che non sanno di esserlo ( e si tratta di almeno tre casi su dieci), per quelli diagnosticati che hanno stili di vita radicati e scarsa consapevolezza dei rischi cui li espone un diabete non controllato.

Basterebbe un semplice esame della glicemia per scoprire di essere diabetico, controllo che dopo i 45 anni andrebbe ripetuto almeno una volta l’anno. E nei soggetti a rischio come nei diabetici diagnosticati sarebbe sufficiente impostare l’alimentazione senza eccessive restrizioni e fare tanto movimento. L’ignoranza resta nel terzo millennio il nemico peggiore del diabete.

 

 

 

di Mariapaola Salmi

da La Repubblica, Supplemento Salute