I trapianti di pancreas: a cura del Centro Trapianti di pancreas e rene di Pisa

SOMMARIO

Introduzione
Trapianto d’Organo
Trapianto di Isole pancreatiche
Valutazione Donatore
Cenni di Tecnica Chirurgica
Terapia Immunosoppressiva
Follow-up
Risultati dei trapianti di pancreas
Appendice: Diabete mellito tipo 1

INTRODUZIONE

Il diabete mellito è una malattia cronica dovuta a carenza assoluta o relativa di insulina, associata a gradi variabili di resistenza all’azione dell’insulina da parte dei tessuti periferici, e caratterizzata da alterazioni del metabolismo glucidico, lipidico e proteico.

Si tratta di una sindrome eterogenea, comprendente varie forme cliniche, di cui le più frequenti sono il diabete insulino-dipendente, o Tipo 1, e il diabete non-insulino-dipendente, o Tipo 2, che da soli rappresentano oltre il 90% di tutti i casi.

Nel diabete di Tipo 1, per motivi non ancora del tutto chiariti, la carenza di insulina è dovuta alla distruzione autoimmune delle cellule B delle isole di Langerhans.
Nel diabete di Tipo 2 sono presenti, e talora prevalgono, fenomeni di resistenza all’azione dell’insulina.

La prevalenza (numero di persone che hanno il diabete in percentuale sulla popolazione totale) e l’incidenza (numero di nuovi casi per anno In rapporto alla popolazione totale) del diabete variano notevolmente in rapporto alla zona geografica considerata.
In Italia, si ritiene che, complessivamente, il numero dei pazienti diabetici sia quasi 2.000.000.
E’ inoltre da sottolineare che, in base alle previsioni dell’Organizzazione Mondiale della Sanità, tale nu-mero appare destinato ad un continuo e rapido aumento.

La malattia ha un impatto socio-sanitario di estrema rilevanza non solo per questa sua notevole diffusione, ma anche perché gravata da complicanze acute (coma ipoglicemico, coma iperglicemico) e croniche (con danni, tra l’altro, a carico di occhi, reni, sistema nervoso, apparato cardiocircolatorio) che sono purtroppo ancora molto frequenti, spesso invalidanti, e non di rado direttamente causa di morte.
Ne conseguono costi diretti (ospedalizzazione, farmaci, indagini di laboratorio e strumen-tali) e indiretti (assenteismo, morti premature, mancato guadagno) altissimi, e pro-babilmente sottostimati (ad esempio, molti dei costi legati alle complicanze croniche del diabete sono spesso imputati a specifiche patologie d’organo, quali nefropatia, cardiopatia e non alla malattia, il diabete, che ne è stata causa).
Si ritiene comunque che, in Italia, i costi diretti del diabete siano di 1,5 miliardi di Euro (oltre 3.000 miliardi) di lire per anno.

Pertanto l’obiettivo principale della terapia del diabete, oltre all’eliminazione dei sintomi dovuti all’iperglicemia, è la prevenzione dell’insorgenza delle complicanze croniche della malattia.
Da questo punto di vista, mentre è ormai definitivamente appurato che quanto migliore è il controllo metabolico, tanto maggiore sarà la probabilità di evitare o almeno rallentare lo sviluppo di retinopatia, nefropatia, neuropatia e macroangiopatia, è altrettanto ben dimostrato che l’ottimizzazione del controllo comporta una aumentata frequenza di ipoglicemie (evento che ha non solo ripercussioni negative a livello psicologico per il paziente, ma che può condurre anche a morte).
Per questo la ricerca biomedica sta sviluppando, e in parte applicando, metodi e sistemi di somministrazione insulinica auspicabilmente capaci di migliorare il controllo metabolico, limitando altresì il rischio di ipoglicemie.
Si inseriscono in questo ambito approcci te-rapeutici che sembrano essere in grado di ripristinare il normale feed-back tra i livelli circolanti di glucosio (e altri metaboliti) da un Iato, e la secrezione insulinica dall’altro. Ci si riferisce, in tal senso e in modo particolare, al trapianto di pancreas endocrino, che può avvenire o come trapianto di tutto l’organo, o come trapianto della sola componente endocrina, vale a dire le isole di Langerhans.

Il sentimento generalizzato nella comunità medica nei confronti del trapianto di pancreas è certamente mutato negli ultimi tempi.
Infatti i risultati ottenuti nel corso dell’ultimo decennio con questa terapia, hanno convinto la maggioranza dei sanitari che si tratti sicuramente della soluzione auspicabile, nella forma combinata con il rene, per i pazienti diabetici in dialisi.
Maggiori perplessità desta ancora, il trapianto dei solo pancreas per i pazienti diabetici di Tipo 1 senza nefropatia; perplessità principalmente incentrate sui rischi legati alla necessità di praticare una terapia immunosoppressiva.
In entrambi i casi comunque vi sono miti da sfatare ed indicazioni da precisare.

Per quanto attiene alla forma di trapianto combinato di pancreas e rene, l’analisi dei risultati dell’attività dell’intera comunità trapiantologica mondiale, indica come vi sia uno spostamento dei timing del trapianto rispetto all’evoluzione della nefropatia nei pazienti diabetici.
Il trapianto combinato, un tempo riservato esclusivamente a pazienti diabetici dializzati, sempre più diffusamente viene eseguito con timing più precoce, cioè quando la nefropatia abbia già raggiunto caratteri di irreversibilità ma prima che si giunga alla necessità impellente della terapia sostitutiva.
Tale atteggiamento ad anticipare il momento del trapianto è anche più marcato quando si trova questa indicazione in pazienti in cui la funzione renale, in termini di creatininemia e di clearance della creatinina, risulta ancora normale ma vi sia la comparsa di una sindrome nefrosica importante e tale da far considerare irreversibile Il processo verso il deteriora-mento definitivo dell’organo.
I risultati ottenuti, internazionalmente, adottando questo tipo di strategia sono nettamente migliori rispetto a quelli ottenuti su pazienti diabetici dializzati, tanto che questa sta diventando la regola per l’indicazione al trapianto in ogni parte del mondo.

Il fondamento scientifico su cui si poggia questa strategia terapeutica è quello di anticipare un evento così importante e rischioso come il trapianto ad un momento in cui il ricevente, da un Iato abbia segnato il proprio percorso verso la dialisi, ma d’altro canto abbia ancora riserve funzionali e generali tali da consentirgli di superarlo con minori difficoltà, e quindi mettere a frutto al meglio possibile una risorsa così preziosa come gli organi donati.

Per quanto attiene al trapianto di solo pancreas, questo trova indicazione generale come già detto in caso di complicanze, diverse dalla nefropatia, rapidamente evolutive e/o in caso di grave scompenso glicometabolico specie con ipoglicemie non avvertite che non si riesce a controllare con le varie modalità di somministrazione dell’insulina.
In realtà vi è un’ulteriore indicazione che consente di comprendere con maggiore dettaglio la potenzialità di questa forma di trapianto, ossia la nefropatia iniziale. Cioè la presenza di un danno renale ancora ad uno stadio precoce e quindi recuperabile se vi fosse la possibilità di eliminare il diabete.

Si delinea quindi compiutamente una prospettiva generale del trattamento trapiantologico per il paziente diabetico, che è quella di una terapia (il trapianto del pancreas) che trova indicazione (in forme diverse) lungo tutta la storia naturale della malattia a partire dalla comparsa delle complicanze croniche in avanti.
Avrà modalità e articolazioni peculiari, ma rimane un’opzione che può essere presa in consi-derazione ad ogni stadio della malattia come alternativa terapeutica efficace da parte di ogni medico che si trovi a curare un pazienti diabetici di Tipo 1.

Come ogni forma di terapia anche il trapianto di solo pancreas ha rischi e costi in termini di mortalità e morbilità. Anche questi sono cambiati nel corso degli ultimi anni.
AI di là dei rischi più strettamente chirurgici, che, pur presenti, sono di un ordine di gran-dezza tale per cui la sopravvivenza ad un anno dei pazienti trapiantati di solo pancreas negli ultimi 5 anni nel mondo, è del 100% (unica forma di trapianto ad avere un tale risultato visto che anche per il trapianto di solo rene la sopravvivenza ad un anno è minore), la principale perplessità che si affaccia alla mente dei medico che non si occupa direttamente di trapianto è quella relativa ai rischi della terapia immunosoppressiva.
In particolare il timore maggiore è quello dello sviluppo di neoplasie facilitato dall”immunosoppressione. Tuttavia, nel corso degli ultimi anni anche le terapie immunosoppressive si sono evolute: si è passati dall’uso di sieri animali con anticorpi policlonali (ATG/ALG) all’uso di anticorpi monoclonali chimerici o umanizzati (Basiliximab o Daclizumab) per favorire l’induzione della tolleranza.
I farmaci inibitori della calcineurina (Tacrolimus o Ciclosporina) sono somministrati a dosaggi minori, per la maggiore efficacia e protezione ottenuta con gli altri co-protagonisti dell’immunosoppressione.

Nel campo degli antimetaboliti si è passati dall’uso dell’Azatioprina, che si integra sta-bilmente nel DNA cellulare determinando uno stimolo mutageno e quindi neoplastico permanente anche dopo la sospensione della sua somministrazione, all’uso del Micofenolato Mofetile, vera chiave di volta del successo nel tempo del trapianto di pancreas.

Infine grazie all’efficacia delle varie combinazioni terapeutiche è possibile ridurre molto la necessità di steroidi e in molti casi si può giungere ad abbandonarli entro il primo anno dopo il trapianto.

Tutti questi progressi, fanno si che i risultati in termini di rischio neoplastico siano drasti-camente migliorati ed oggi si consideri che l’assunzione di queste terapie immunosop-pressive (peraltro esattamente identiche a quelle necessarie per il trapianto di solo rene – trapianto che mira solo a migliorare la qualità di vita), causi un aumento del rischio di sviluppare una qualsiasi forma di neoplasia del 1-2% in più rispetto a quanto è il proprio rischio per età anagrafica.

Molti dei medici che curano pazienti diabetici di Tipo 1 non nefropatici, e molti pazienti stessi, hanno riposto grandi speranze nella possibilità di successo del trapianto di isole pancreatiche da donatore cadavere.

Il primo allotrapianto (insule provenienti da donatore diverso rispetto al ricevente) è stato realizzato nel 1974, ma i risultati non sono ancora incoraggianti presentando un tasso di insulino-indipendenza ad un anno deIl’ 8%. Ciononostante questa forma di trapianto è cir-condata da un alone di entusiasmo per la maggior parte spiegabile con i potenziali vantaggi che potrebbe offrire in futuro.
Questo entusiasmo ha conosciuto un nuovo vigore recentemente, a seguito dei primi risultati pubblicati con un approccio al trapianto e con un protocollo immunosoppressivo innovativo, dal gruppo di Edmonton (Canada) (100% di insulinoindipendenza ad un anno in una serie di 7 pazienti). A distanza di 2 anni esatti dalla comparsa di questi dati così promettenti i risultati non sono altrettanto brillanti, ma soprattutto nessun altro, nel mondo, è stato in grado di ripetere stabilmente il successo dei primi casi canadesi.

Comunque è certo che il trapianto di isole pancreatiche rappresenta una prospettiva af-fascinante e per certi versi potenzialmente alternativa, quando avrà raggiunto la ne-cessaria stabilità e ripetibilità dei risultati, rispetto al trapianto di organo in toto, anche se limitata solo ai pazienti diabetici non nefropatici: nessuno ai mondo infatti ha ottenuto risultati apprezzabili in termini di insulino-indipendenza combinando il trapianto delle isole a quello del rene.

Rispetto al trapianto d’organo, quello di isole presenta il vantaggio di non avere la necessità dell’intervento chirurgico, ma di essere eseguito con una procedura di iniezione percutanea nella vena porta sotto guida ecografica, peraltro non scevra da rischi di mortalità (come accaduto anche nell’esperienza canadese: 1 paziente deceduto a seguito trombosi acuta della vena porta).

Dal punto di vista della terapia immunosoppressiva invece il bilancio pare essere a favore del trapianto d’organo: infatti per consentire all’organismo ricevente di accettare le isole trapiantate è necessaria una terapia mediamente più energica o quanto meno paragonabile rispetto a quella per il trapianto di pancreas in toto, peraltro con risultati di insulinoindipendenza a distanza nettamente minori.

I quesiti che ancora rimangono aperti e che impediscono di considerare ancora come una vera terapia il trapianto di isole pancreatiche sono ben riassunte dalla posizione che ha formalizzato l’American Diabetes Association, che è quella di considerare il trapianto di isole come una procedura sperimentale, da riservarsi solo a quei pazienti che pur avendone indicazione non sono in grado di sopportare per i motivi più vari il trapianto d’organo in toto, o in alternativa nell’ambito di studi sperimentali controllati su pazienti diabetici adeguatamente informati dei rischi e dei benefici attesi.

Diversi sono i risultati e le prospettive per l’auto-trapianto di isole pancreatiche. L’autotra-pianto di isole ha lo scopo di prevenire il diabete dopo una pancreasectomia totale per patologia benigna ed ha avuto successo fin dal primo caso effettuato negli anni 70. Dal 1990 al 1998 sono stati segnalati dall’lnternational Islet Trans-plant Registry 114 casi di auto trapianto di isole in seguito a pancreasectomia totale o sub-totale. Ad 1 anno dall’impianto delle isole il 50% dei pazienti era insulino-indipendente e questo risultato si è mantenuto pressochè inalterato a distanza.

Motivi di questo successo sono il fatto che trattandosi di una forma di autotrapianto (cioè si utilizzano le isole preparate dal proprio pancreas resecato) non è vi sono problemi di rigetto né è necessaria alcuna terapia immunosoppressiva.
Peraltro anche in queste condizioni ottimali non si ha un tasso di successo completo, a sottolineare come oltre all’aspetto immunologico vi siano in realtà anche condizioni procedurali di preparazione e probabilmente di sede di impianto ancora da affinare.

Purtroppo il trapianto di pancreas è ancora in una fase di sviluppo poichè il numero di trapianti realizzati è chiaramente inferiore rispetto alle necessità in tutto il mondo ma soprattutto in Italia ove copre solo un trentesimo delle necessità.

Le cause di tale ritardo sono da ricercare in 2 ordini di fattori:

1. constatazione che una percentuale crescente dei donatori disponibili non sono idonei per il prelievo di pancreas (età avanzata, patologie o traumi pancreatici, instabilità emodinamica grave e prolungata, sepsi, etc.) e conseguente esiguità della donazione da cadavere rispetto alle necessità;

2. “competizione” esistente tra programma di trapianto di solo rene e programma di trapianto pancreas-rene per i diabetici uremici.
La discrepanza tra la domanda e l’offerta ha creato la necessità di verificare percorsi paralleli alla donazione da cadavere ai fini di soddisfare la crescente domanda di trapianto.

La donazione di pancreas e di rene interamente da donatore vivente, tecnicamente possibile e applicata in piccole casistiche altamente selezionate, non è ancora autorizzata (limitatamente al pancreas) dalla legislazione vigente in Italia e peraltro presenta rischi per il donatore maggiori rispetto a quella del rene.
Infatti la necessità di realizzare una pancreasectomia corpo-caudale può esporre il donatore vivente al rischio di intolleranza glucidica e a diabete nel lungo termine. Inoltre il trapianto di pancreas da donatore vivente, sempre necessariamente segmentario, offre un rischio di complicanze superiore rispetto al tra-pianto di pancreas da donatore cadavere, oggi sempre costituito dal trapianto dell’intera ghiandola con il duodeno.

Un altro importante aspetto da considerare è la discrepanza che esiste tra l’alta disponibi-lità di pancreas da donatore cadavere in tutta Italia (90% non viene utilizzato) e la esiguità di reni assegnati ai programmi di trapianto di pancreas-rene, essendo di fatto il rene un organo che viene attribuito su base regionale. Inoltre i pazienti diabetici in dialisi, spesso giovani (età inferiore ai 45-50 anni), vengono svantaggiati nella politica di assegnazione dei reni, dal progressivo spostarsi della donazione da cadavere verso fasce di età più anziane. Quindi per un paziente diabetico la possibilità di usufruire di un rene da donatore vivente, ai fini di realizzare un trapianto combinato pancreas da cadavere-rene da vivente, rappresenta una reale chance di vita.

Questa modalità di trapianto combi-nato ha il triplice vantaggio di:

1. abolire i tempi di attesa in lista tra-pianto (in considerazione del vasto esubero di pancreas inutilizzati);

2. di offrire un miglior grado di compatibilità donatore/ricevente sia sul versante renale (donatore consanguineo) sia su quello pancreatico ( vista l’eccedenza di pancreas non utilizzati si possono com-piere scelte di maggiore compatibilità biologica );

3. di avere organi qualitativamente migliori (larga disponibilità di pancreas tra cui scegliere e migliore qualità del rene da donatore vivente) con conseguente miglioramento sia dei tassi di ripresa funzionale immediata dopo il trapianto, che soprattutto della durata nel tempo.

TRAPIANTO D’ORGANO

Il candidato ideale al trapianto di pancreas è un paziente affetto da diabete mellito tipo I, di età inferiore ai 60 anni, con complicanze secondarie ai diabete.
Naturalmente a questi fondamentali presupposti se ne aggiungono altri due ugualmente importanti: la capacità del paziente di affrontare, sia dal punto di vista della riserva fisiologica che da quello della compliance, il lungo percorso terapeutico che inizia con l’intervento chirurgico per proseguire con la terapia immunosoppressiva cronica.

L’aspetto psicologico del paziente è un importante fattore limitante. E’ necessario che il paziente si renda conto della natura terapeutica del trapianto e mostri una buona compliance soprattutto a sostituire la terapia insulinica con la terapia immunosoppressiva che, anche se di più facile gestione, deve essere assunta quotidianamente per tutta la durata della funzione dell’organo o degli organi e quindi auspicabilmente per tutta la vita. Per questo coloro che sono affetti da patologia psichiatrica maggiore o abusino di sostanze stupefacenti, mostrando così la loro labilità affettiva, non sono candidabili come riceventi.

Come per ogni trapianto d’organo è indispensabile la ricerca nel ricevente di eventuali patologie che possano controindicare il trapianto stesso.

La valutazione pre-trapianto inizia con la necessità di confermare che il diabete sia effettivamente di tipo I con uno studio metabolico effettuato mediante il dosaggio del Peptide C basale ed in corso di curva glicemica, completato con test al glucagone.
La ricerca di un’attività autoimmunitaria verso le isole pancreatiche definisce meglio il quadro.

La condizione clinica dell’apparato cardio-vascolare è l’elemento che limita maggiormente l’idoneità al trapianto, per ogni paziente diabetico.
Controindicazioni assolute sono sia la presenza di fattori di rischio cardiovascolare, quali l’obesità grave ed il fumo, sia soprattutto l’evidenza di un’insufficiente riserva funzionale specifica: riscontro angiografico di malattia coronaria non correggibile, frazione di eiezione
< 40%, anamnesi recente di infarto acuto del miocardio.

La valutazione del grado di nefropatia ci permette di indirizzare il paziente verso il tipo di trapianto più idoneo.

Il trapianto simultaneo di pancreas-rene è oggi il gold-standard terapeutico per tutti i pazienti affetti da diabete mellito tipo I e nefropatia conclamata (clearence creatinina inferiore a 30 ml/ min o proteinuria severa> 3 g/die – o sindrome nefrosica) in terapia sostitutiva o conservativa. I candidati ideali sono i pazienti di età compresa tra 20 e 40 anni che presentano nefropatia incipiente o in stadio avanzato con minime o limitate complicanze secondarie del diabete.

Il trapianto sequenziale di pancreas dopo rene è indicato nei pazienti affetti da diabete mellito di tipo I, già sottoposti in precedenza a trapianto di rene, con funzione renale stabile sotto terapia immunosoppressiva (che spesso è, almeno potenzialmente, nefrotossica) con creatinemia < 2 mg/dl e clearence della creati-nina > 40 mI/mi n, se vi sono complicanze evolutive del diabete o in caso di diabete iperlabile con peggioramento della qualità di vita e/o rischio vitale.

Il trapianto di pancreas isolato è riservato a quei pazienti affetti da diabete melilto tipo I con compromissione renale iniziale anche se ancora non di rilevanza clinica importante (clearence della creatinina > 70 ml/min e proteinuria < 3 g/24 ore) con complicanze evolutive del diabete (retinopatia e/o neuropatia e/o vasculopatia con aterosclerosl accelerata) e/o instabilità glicemica con peggioramento della qualità di vita e/o del rischio di vita.

Trapianto di pancreas: criteri di inclusione ed esclusione

Criteri di inclusione generali:

1. presenza di diabete mellito tipo 1 (documentata con test metabolici se indicato)

2. capacità di affrontare il percorso terapeutico (intervento ed immunosoppressione)

3. adeguata risposta emozionale psico-sociale

4. età : >60 anni

5. presenza di complicanze secondarie al diabete

Criteri specifici di inclusione per trapianto di pancreas-rene (da donatore cadavere o vivente)

1. nefropatia diabetica: clearance della creatinina < 30 ml/min

2. proteinuria severa (> 3 g/die) o sindrome nefrosica

Criteri specifici di inclusione per trapianto di pancreas dopo rene:

1. funzione del rene trapiantato stabile sotto immunosppressione di mantenimento con creatininemia < 2 mg/dl o clearance della creatinlna > 60 ml/min (> 40 ml/ min se il paziente è in terapia con ciclosporina)

2. complicanze diabetiche progressive o diabete instabile che determini un significativo peggioramento della qualità di vita

Criteri specifici di inclusione per trapianto di pancreas isolato:

1. presenza di 2 o più complicanze diabetiche definite come:

– retinopatia proliferativa

– nefropatia iniziale: clearance della creatinina > 70 ml/min e proteinuria
> 150 mg/die, ma < 3g/die

– presenza di evidente neuropatia periferica o autonomica

– presenza di vasculopatia con arteriosclerosi accelerata

2. presenza di diabete instabile dimostrato da episodi ricorrenti e imprevedibili di chetoacidosi, ipoglicemia. Infezioni e disagi nella qualità di vita, tali da porre in pericolo la vita del paziente e/o dei minori sotto la sua tutela

3. clearance della creatinina > 55 ml/min e creatininemia <2 mg/dl dopo test con ciclosporina

Criteri di esclusione generali:

1. riserva cardiovascolare insufficiente (uno o più dei seguenti):

– evidenza angiografica di significativa patologia coronarica non correggibile

– frazione di eiezione <40%

– anamnesi recente di IMA

– abuso attivo di sostanze stupefacenti (droghe o alcool)

2. patologia psichiatrica maggiore attiva

3. storia significativa di mancata compliance

4. infezioni o neoplasie attive

5. assenza di complicanze diabetiche ben definite

6. obesità grave (>50% del peso ideale)

7- incapacità a comprendere la natura terapeutica del trapianto di pancreas.

IL TRAPIANTO DI ISOLE

Il trapianto di isole pancreatiche, ad oggi, rappresenta ancora la promessa affascinante di un approccio terapeutico alternativo al trapianto d’organo, poiché non ha ancora raggiunto risultati paragonabili a quest’ultimo, soprattutto in termini di efficacia, pur richiedendo una terapia immunosoppressiva pari o addirittura maggiore per intensità, soprattutto nel primo periodo.

Pertanto, è un trattamento che viene riservato solo ad alcune categorie ben definite di pazienti:

– Soggetti che hanno subito un intervento di pancreasectomia totale o subtotale, di solito per pancreatite cronica; tali pazienti ricevono le isole preparate dal loro stesso pancreas (autotrapianto);

– Soggetti che sono stati sottoposti ad intervento di trapianto multiorgano intraaddominale, successivo all’asportazione di vari organi sottodiaframmatici (compreso il pancreas) per neoplasie non altrimenti trattabili (allotrapianto in pazienti non primiti-vamente affetti da diabete mellito tipo 1);

– Pazienti affetti da diabete mellito tipo 1, non in condizioni di sopportare il trapianto dell’organo per motivi vari (principalmente controindicazioni cardiovascolari) che ricevono l’allotrapianto di isole per il tratta-mento della loro malattia di base.

I vantaggi, alcuni reali, altri potenziali, del trapianto di isole di Langerhans consistono nella semplicità della tecnica di impianto, nella riduzione dei rischi perioperatori per il paziente, e nella possibilità gia’ dimostrata in modelli sperimentali, di ridurre I’immunogenicità delle isole mediante manipolazioni pre-intervento (ad esempio incapsulando, mediante particolari membrane le isole, per evitarne, o almeno ritardarne, l’aggressione da parte del sistema immunitario del ricevente -immunoisolamento).

I primi, ben documentati trapianti di isole nei pazienti diabetici sono stati eseguiti alla fine degli anni ’80, e da allora questa procedura ha attraversato alternanti periodi di entusiasmo e scetticismo.
Il trapianto di isole è stato eseguito o simultaneamente ad un rene (per la presenza di concomitante insufficienza renale cronica in terapia dialitica), o successivamente ad un rene tra-piantato in precedenza ben funzionante.
Negli ultimi anni sono stati segnalati all’In-ternational Islet Transplant Registry poco più di 300 allotrapianti (follow-up fino ad 1 anno), compiuta su pazienti che erano Peptide-C negativi prima del trapianto, ha evidenziato una percentuale di sopravvivenza dei pazienti e del trapianto (definito come valori di peptide-C basale >0,5 ng/ mi) pari 96% e al 35% rispettivamente.

Tuttavia, nel complesso, solo poco più del 10% circa di tali soggetti manteneva, a distanza di dodici mesi dal trapianto, una condizione di insulino-dipendenza.

Piu’ recentemente, il gruppo canadese di Edmonton, coordinato dal Dr. Ray Rajotte, ha riportato i risultati ottenuti in una decina di pazienti con diabete di Tipo I, senza insufficienza renale, nei quali, per la presenza di gravi episodi di ipoglicemia ed instabilità metabolica, è stato ritenuto opportuno eseguire trapianto di isole di Langerhans.

Tali pazienti hanno ricevuto circa 11.000 isole per Kg di peso corporeo, e in tutti i casi si è ottenuta una rapida normalizzazione della glicemia
In assenza di terapia insulinica esogena, condizione che si è mantenuta per un periodo medio di follow-up pari, al momento della stesura dell’articolo, a quasi 1 anno (da 4,4 a 14,9 mesi).
L’emoglobina glicata si è normalizzata, il peptide-C a digiuno e dopo I pasti è risultato rispettiva-mente superiore a 2 e a 5 ng/ml, e non si sono presentati episodi di ipoglicemia.
I pazienti hanno ricevuto un trattamento immunosoppressivo basato su sirolimo (rapamicina), tacrolimo e daclizumab.

L’assenza di cortisonici in questo schema di immunosoppressione ha certamente contribuito al conseguimento degli ottimi risultati del gruppo canadese.
Altri fattori hanno sicuramente inciso in maniera im-portante.

Innanzitutto, gli Autori hanno scrupolosamente evitato l’uso di proteine animali (ad esempio siero) durante tutta la fase di preparazione delle isole, il che ha sicuramente ridotto l’impatto pro-infiammatorio ed immunogeno delle isole stesse.
Inoltre, l’uso del daclizumab, un anticorpo anti-recettore per l’interleuchina-2, per circa 2 mesi, ha consentito di poter eseguire 2-3 trapianti di isole fresche nello stesso ricevente, così da raggiungere una adeguata massa Beta-cellulare.
Quest’ultimo obiettivo, in precedenza, veniva perseguito mantenendo in coltura o criopreservando le isole ottenute da diverse preparazioni, il che consentiva sì di ottenere un elevato numero di isole da trapiantare, ma determinava anche una riduzione della funzionalità delle Isole stesse e, verosimilmente, anche del numero di cellule Beta vitali.

Questi risultati rappresentano un sostanziale passo in avanti riguardo la possibilità di trovare una soluzione per la sostituzione della funzione Beta – cellulare nei pazienti con diabete Tipo 1.

Va precisato comunque che, innanzitutto, si tratta di uno studio eseguito su un numero ristretto di soggetti e che quindi i risultati ottenuti andranno riconfermati su casistiche più ampie, e con follow-up di maggiore durata. Peraltro, i risultati successivamente pubblicati sembrano indicare che, col passare dei mesi, la funzionalità dei trapianti di isole tende a diminuire. In particolare, è da segnalare che a distanza di circa 2 anni dal trapianto di insule, solo 1/3 dei pazienti aveva risposta glicemica normale in seguito a 0GlT, mentre gli altri mostravano gradi variabili di intolleranza ai carboidrati o diabete manifesto.

In ogni caso, sulla base del protocollo Edmonton è stato iniziato uno studio multicentrico, i cui risultati saranno disponibili nel prossimo futuro.

Pertanto il trapianto di isole in pazienti affetti da diabete mellito di tipo I non rappresenta oggi un’alternativa reale al trapianto dell’intero organo ma è utilizzabile solo nei casi in cui il paziente abbia un’età superiore rispetto al limite previsto per il trapianto di pancreas o nel caso in cui il rischio cardiovascolare sia troppo elevato ossia vi siano delle controindicazioni assolute al trapianto d’organo che rimane la sola terapia trapiantologica efficace in questi pazienti

Infatti il trapianto di isole pancreatiche è considerato dall’American Diabetes Association come una procedura di tipo speri-mentale e non terapeutico da effettuarsi nelle condizioni sopraricordate o in alternativa solo all’interno di trials clinici controllati.

Trapianto di isole pancreatiche: criteri di inclusione ed esclusione

Criteri di inclusione:

1. Diabete mellito tipo 1, confermato da livelli di C-peptide < 1 ng/ml

2. Età < 65 anni

3. Presenza di diabete instabile, con fluttuazioni rapide, intense ed impreviste della glicemia, malgrado l’aderenza ai criteri della terapia intensiva del diabete

4. Presenza di ipoglicemie inavvertite, presenza di ipoglicemie severe, che richiedono l’aiuto di un’altra persona

5. Complicanze croniche evolutive, malgrado la terapia intensiva del diabete.


Criteri di esclusione

1. Cardiopatia ischemica grave

2. Abuso di alcool o stupefacenti o fumo di sigaretta

3. Malattie psichiatriche

4. Infezioni in atto (epatite C, epatite B, HIV, test cutaneo positivo per TBC)

5. Sospette neoplasie

6. Indice di massa corporea> 27 kg/m2 o comunque peso> 80 kg

7. Retinopatia diabetica proliferante

8. Gravidanza in corso o programmata, impossibilità di praticare contraccezione

9. Immunizzazione da precedente trapianto o altro (PRA > 20%)

10. Fabbisogno insulinico >0.7 U/kg/die.


VALUTAZIONE DONATORE

Ogni donatore cadavere con adeguata perfusione ed ossigenazione tessutale e di età fino a 55-60 anni (a seconda del sesso e della storia clinica) può essere considerato per la donazione del pancreas a scopo di trapianto nelle sue varie forme: pancreas-rene da donatore cadavere, pancreas da cadavere-rene da vivente, pancreas dopo rene, pancreas isolato o isole pancreatiche.

Controindicazioni generali alla donazione del pancreas sono quelle valide per tutti i tipi di trapianto e possono essere distinte in assolute e relative: neoplasie pregresse o in atto, sepsi non controllabili, positività degli anticorpi anti-HIV 1-2. positività per HbsAg, anti-corpi anti-HCV, VDRL o TPHA, com-portamenti sociali ad alto rischio infet-tivo, positività colturali con sensibilità all’antibiogramma.

Controindicazioni specifiche alla donazione di pancreas possono anch’esse essere di ordine assoluto o relativo: anamnesi positiva per patologie pancreatiche in particolare diabete mellito, pancreatiti, traumi pan-creatici, pregressi interventi chirurgici della regione pancreatico-duodenale etilismo cronico, obesità, aterosclerosi grave, prolungati periodi di ipotensione o ipossiemia, coagulazione intravasale disseminata, positività anti-HBc, storia di intolleranza glucidica o diabete gestazionale.

Comunque in presenza di controindicazioni relative, comportamento diverso viene tenuto a secondo del tipo di trapianto che dovrà essere eseguito.
Infatti ci si trova di fronte a disponibilità di risorse ampiamente diverse a seconda che si consideri di eseguire un trapianto di pancreas-rene o un trapianto di pancreas isolato.

Nell’ambito del primo le risorse sono deficitarie rispetto alle esigenze, soprattutto in rela-zione alla politica di allocazione degli organi che è articolata su base di area (in Italia i territori regionali) e per la quale si entra in competizione con i programmi di trapianto di rene per pazienti non diabetici; all’opposto, nell’ambito del secondo nel caso in cui si pianifichi di eseguire un trapianto di pancreas isolato (combinato o meno con un rene da donatore vivente o successivo ad un trapianto di rene) la risorsa supera ampiamente (al momento) la necessità di organi, favorendo una maggiore selettività nella valutazione di idoneità dei donatori cadavere.

Espressione ulteriore di tale discrepanza di disponibilità sono anche i criteri adottati per l’assegnazione degli organi.
Infatti in considerazione dei dati dell’esperienza internazionale ed il numero relativamente ristretto di donatori attualmente disponibili, nel caso del trapianto pancreas-rene da cadavere gli organi vengono assegnati a riceventi con compatibilità di gruppo ABO, con cross-match donatore-ricevente negativo ma senza ricercare preventivamente alcuna corrispondenza per gli antigeni del sistema HLA-A, B e DR cioè “any match”.

Poiché i risultati nei pazienti preemptive sono decisamente superiori rispetto a quelli già in dialisi, l’assegnazione degli organi terrà conto di tale evenienza, avvantaggiando i primi rispetto ai secondi.
Parimenti tra questi ultimi vengono considerati migliori candidati i pazienti con periodi dialitici più brevi che pertanto avranno la priorità.

A parità di altre condizioni la selezione verrà effettuata comunque tenendo conto dell’eventuale grado di match per gli antigeni del sistema HLA-A, B e DR.

Nell’assegnazione del pancreas nei casi di trapianto di pancreas combinato con rene da donatore vivente e di pancreas dopo rene, poiché gli organi provengono da due donatori diversi, deve essere considerata la necessità di una maggiore protezione immunologica del ricevente poiché viene meno la funzione di “sentinella” esercitata dal rene sul pan-creas per la diagnosi precoce del rigetto.

Pertanto, oltre alla compatibilità del gruppo ABO e al cross-match negativo, è richiesta la presenza di un match immuno-logico maggiore.
Si seguono regole analo-ghe di assegnazione anche nel trapianto di pancreas isolato poiché anche in questo caso la ghiandola non può beneficiare dell’effetto “sentinella” del rene.
Nella ricerca di compatibilità immunologica HLA preventiva in questi casi si è facilitati dalla larga disponibilità di pancreas da donatore cadavere e dallo svincolo dall’area regionale per l’assegnazione dell’organo. Nel caso in cui due o più riceventi dovessero risultare equivalenti rispetto a tutti I para-metri, gli organi verranno assegnati al paziente con maggiore urgenza clinica o a quello con età di iscrizione in lista maggiore.

Trapianto di pancreas: Criteri di assegnazione degli organi

Trapianto pancreas-rene cadavere

1. compatibilità gruppo ABO

2. cross-match negativo

3. insufficienza renale cronica evolutiva ancora in terapia conservativa (preemptive)

4. tra i soggetti in dialisi hanno priorità i pazienti con periodi di dialisi più brevi

5. a parità delle altre condizioni, viene considerato il grado di match per gli antigeni del sistema HLA-A, B e DR.

6. a parità di tutti i suddetti parametri, gli organi verranno assegnati al paziente con maggiore urgenza clinica o con età di iscrizione in lista maggiore.

Trapianto pancreas cadavere- rene vivente, pancreas dopo rene, pancreas isolato

1. compatibilità gruppo ABO

2. cross-match negativo

3. match sistema HLA-A, B e DR. (Auspicabili 2 loci di cui almeno 1 B)

4. a parità di tutti i suddetti parametri, gli organi verranno assegnati al paziente con maggiore urgenza clinica o con età di iscrizione in lista maggiore.


CENNI DI TECNICA CHIRURGICA

Il trapianto di pancreas oggi consiste nel trapianto dell’intera ghiandola con un segmento di duodeno utilizzato per drenare la secrezione esocrina.

Dopo il prelievo epatico il peduncolo arterioso del pancreas è costituito dal moncone dell’arteria splenica e dell’arteria mesenterica superiore che vengono anastomizzate su un graft iliaco ad Y prelevato dallo stesso donatore.
Il peduncolo venoso è costituito dalla vena porta (la vena mesenterica superiore è legata al bordo inferiore del pancreas, mentre la vena splenica è le-gata alla fine della coda del pancreas).
Nella tecnica di esecuzione del trapianto di pancreas le principali varianti riguardano la scelta del tipo di drenaggio venoso e di quello della secrezione esocrina. Si configurano le seguenti varianti tecniche:

a) drenaggio sistemico-vescicale
b) drenaggio sistemico-enterico.
c) drenaggio portale-enterico

Il drenaggio sistemico-vescicale, rappresenta la tecnica che ha reso possibile lo sviluppo dei trapianti di pancreas nell’era moderna a partire dai primi anni ’80 ad oggi.

La tecnica prevede il deflusso venoso del pancreas nel sistema cavale mediante anastomosi con la vena iliaca (comune o esterna) e drenaggio del succo esocrino in vescica, permettendo cosi’ il monitoraggio della funzione pancreatica, mediante dosaggio dell’amilasuria, allo scopo di prevenire eventi immunologici acuti.

Con l’evoluzione delle terapie irnmunosoppressive, la riduzione del tasso di rigetto, ed il miglioramento delle tecniche chirurgiche, da questa modalità si è passati a quella del drenaggio sistemico-enterico che prevede un drenaggio venoso invariato ma si differenzia dalla tecnica precedente per il drenaggio esocrino del pancreas nell’intestino (ileo o digiuno).
Viene cosi’ perso il parametro indiretto della funzione pancreatica, l’amilasuria, ma si evitano cistiti ricorrenti e infezioni più gravi, tallone d’ Achille del drenaggio sistemico-vescicale.

Il trapianto di pancreas-rene con drenaggio portale-enterico prevede il posizionamento del pancreas all’interno della cavità peritoneale in doccia parieto-colica destra, con la testa orientata verso il fegato. Viene confezionata prima l’anastomosi venosa porto-mesenterica termino-laterale tra la vena porta dell’organo e la vena mesenterica del ricevente, subito dopo si procede all’anastomosi arteriosa tra il tronco comune dei graft iliaco ad Y del donatore e l’arteria iliaca comune del ricevente.
L’anastomosi duodeno-enterica viene confezionata tra la seconda porzione del duodeno del donatore ed un’ansa dell’intestino tenue, previamente esclusa dal transito (ansa ad Y secondo Roux).

Il drenaggio portale enterico è una tecnica che riproduce la fisiologia dell’organo e, inizial-mente adottata ai fine di ottenere dei vantaggi metabolici (normoinsulinemia vs iperinsulinemia delle tecniche con drenaggio sistemico), ha invece mostrato di possedere anche un vantaggio di tipo immunologico, (riduzione netta del tasso di rigetto acuto) ancora inspiegato, sia per il pancreas che sorprendentemente anche per il rene trapiantato simultaneamente.

Il rene viene trapiantato in fossa iliaca sinistra, con accesso extraperitoneale, confezionando l’anastomosi venosa tra la vena renale e la vena iliaca esterna in termino-laterale e successivamente l’anastomosi arteriosa tra l’arteria iliaca esterna e l’arteria renale. L’uretere viene quindi reimpiantato sulla parete antero-laterale della vescica secondo la tecnica di Grégoire-Lich, intubando l’anastomosi con un catetere di Bracci fatto risalire fino alla pelvi renale che viene mantenuto in sede per non meno di 12-14 giorni (come anche il catetere vescicale).

Nei trapianto di pancreas con drenaggio sistemico-vescicale o sistemico enterico l’organo viene impiantato in fossa iliaca destra con la testa verso la pelvi. La vena porta del pancreas viene anastomizzata termino-lateralmente alla vena iliaca esterna, il tronco comune del graft iliaco ad Y viene anastomizzato sull’arteria iliaca esterna.
L’anastomosi duodeno-vescicale viene confezionata tra la seconda porzione del duodeno del donatore e la parete posteriore della vescica (drenaggio vesci-cale) oppure con un’ansa ileale esclusa (drenaggio enterico).

TERAPIA IMMUNOSOPPRESSIVA

Negli ultimi anni è stato registrato un notevole miglioramento dei risultati dei trapianti di pancreas e pancreas-rene le-gato essenzialmente a due ordini di motivi: ottimizzazione della terapia chirurgica e nuovi farmaci per la terapia immunosoppressiva.

E’ stata infatti registrata una riduzione marcata dell’incidenza dei rigetti in questi tipi di trapianti dall’80% dei primi anni ’90 al 20% attuale.
La risposta immunitaria è assai ridondante e utilizza vie principali e secondarie per cui la disponibilità di farmaci, che interagiscono selettivamente sui vari passaggi e che siano associabili tra loro in vari protocolli, ha consentito di ottenere eccellenti risultati sia nel miglioramento della sopravvivenza dei pazienti e degli organi trapiantati, sia nella riduzione della morbidità iatrogena.

I farmaci immunosoppressori già disponibili in farmacopea possono essere distinti in:

– bloccanti il recettore linfocitario per I’interleuchina 2, CD25 (anti-CD25)

– inibitori della calcineurina

– inibitori della sintesi del DNA

i- nibitori delle STATs

– steroidi

– inibitori della proliferazione linfocita-ria

Farmaci bloccanti il recettore linfoci-tario per l’interleuchina 2 (anti-CD25)

Daclizumab e Basiliximab sono anti-corpi monoclonali di tipo chimerico (basiliximab) o umanizzato (daclizumab) diretti contro la subunità alfa (TAC antigene) della interleuchina 2.

Vengono bloccati in questo modo solo i linfociti attivati, rispettando le altre vie stimolate dall1nterleuchina 2 come monociti e cellule Natural Killer.
Sono ottimamente tollerati, non sembrano indurre malattie linfoproliferative, non posseggono immunogenicità di rilievo e non producono malattia da rilascio di citochine. Sporadicamente sono stati segnalati episodi di edema polmonare acuto nel corso della prima somministrazione.

La differenza principale tra le due molecole è nella loro farmacodinamica, per cui a parità di durata di azione (circa 30-40 giorni dopo la prima Infusione), per il basiliximab sono sufficienti due somministrazioni a dose fissa (20 mg in giornata O e IV), mentre per il daclizumab sono necessarie 2 o 5 somministrazioni a distanza di 2 settimane l’una dall’altra e a dose di 5 mg/kg.

Farmaci inibitori della calcineurina

Ciclosporina e Tacrolimus sono inibitori della calcineurina, impediscono così la dif-ferenziazione dei linfociti T citotossici inibendo la produzione e il rilascio di citochine, in particolare dell’IL-2 specificamente dirette contro gli antigeni dell’organo trapiantato.

La Ciclosporina è un farmaco nefrotossico e ciò è parzialmente dose-dipendente. Gli altri fattori che ne accrescono la tossicità sono: organi da donatore anziano e di ridotta massa nefronica, uso di altri farmaci nefrotossici, sensibilità individuale, sovraesposizione nell’area sotto la curva (farmacocinetica).
Quest’ultimo aspetto appare fondamentale per il corretto utilizzo del farmaco.

In particolare i più recenti studi sembrano orientare verso il monitoraggio della concentrazione ematica a 2 ore della somministrazione come miglior indice dell’assorbimento del farmaco, ottenendo così la maggiore efficacia terapeutica con la riduzione degli effetti collaterali.

A lungo termine la tossicità da Ciclosporina può portare allo sviluppo di fibrosi interstiziale e danno glomerulare evolvendo verso I’nsufficienza renale cronica.

Il Tacrolimus invece è un macrolide prodotto dallo Streptomyces tsukubaensis.
Le sue concentrazioni di valle sono validi indicatori dell’esposizione sotto la curva e quindi le dosi possono essere individuate sulla base della concentrazione ematica minima.
Effetti collaterali sono: iperglicemia, neurotossicita’, nefrotossicità, iperkaliemia, aumentato rischio di infezioni e linfomi.

Farmaci inibitori della sintesi del DNA

Appartengono a questa categoria l’Azatioprina ed il Micofenolato Mofetile.

Azatioprina interferisce con la sintesi del DNA ed RNA e quindi inibisce la differenziazione e la proliferazione sia dei linfociti T che B.
E’ un farmaco attualmente poco in uso soprattutto per i sui pesanti effetti collaterali: aumentata incidenza di neoplasi e, grave mielosoppressione e leucopenia, gravi infezioni, epatotossicità.

Il Micofenolato Mofetile inibisce selettivamente, nella sua forma attiva come acido micofenolico, l’enzima inosina monofosfato deidrogenasi bloccando la sintesi purinica “de novo”.
Il linfocita attivato rimane così ancorato alla fase S del ciclo cellulare e non può ulteriormente prolife-rare sia sul versante delle T che delle B cellule.
La tossicità del farmaco è preva-lentemente di tipo midollare, con neutropenia, trombocitopenia ed anemia, e ga-strointestinale con gastrite, crampi addo-minali, nausea, anoressia ed ulcerazioni con sanguinamenti digestivi.

Farmaci inibitori delle STATs

Il Sirolimus è un macrolide prodotto da Streptomyces hygroscoplcus.

Il RAD de-riva dal Sirolimus per una modificazione chimica in posizione 40 che ne migliora la stabilità molecolare, determinando la ridu-zione dell’emivita e permettendo di raggiungere più rapidamente le concentrazioni terapeutiche (4 giorni invece di 7).
Questi farmaci bloccano alcune vie di attivazione di un gruppo di chinasi alle quali è affidato il segnale di stimolazione e trascrizione di codici genetici nella fase G1= S del ciclo cellulare. Da ciò deriva un’inibizione della proliferazione delle cellule T e dell’at-tivazione della cellule B in uno stadio successivo rispetto agli inibitori della calcineurina.

Per quanto riguarda la tossicità, inducono piastrinopenia, leucopenia ed innalzano i livelli sierici dei lipidi, mentre sembrano non esercitare alcun effetto ne-frotossico.

Steroidi

Il meccanismo d’azione di questi farmaci immunosoppressori è complesso poiché agiscono sulla risposta immunitaria a più livelli.
In particolare bloccano indiretta-mente le interleuchine 1-2-6-15, inibiscono la presentazione degli antigeni della classe 2 del sistema HLA, inibiscono l’attivazione delle cellule T, inibiscono la migrazione delle cellule immuni sul sito infiammatorio.
Vengono utilizzati sia nella terapia immunosoppressiva di mantenimento, soprattutto nel primo periodo, sia nel trattamento del rigetto acuto.

Farmaci inibitori della proliferazione linfocitaria

ATG, ALG e Anti-CD3 sono anticorpi monoclonali prodotti dall’immunizzazione specifica di vari animali e producono il blocco dell’interazione MHC-TCR (Tcell re-ceptor) per cui il linfocita perde funzionalmente i propri recettori ed è incapace di rispondere allo stimolo dell’Antigen Prese-ting Celi.
Sono farmaci molto potenti, in genere utilizzati nel trattamento del rigetto acuto steroido-resistente. Hanno alcuni svantaggi: maggiore incidenza di malattie linfoproliferative, legata all’eccessiva immunosoppressione; sindrome da rilascio di citochine; in attivazione del Mab per la formazione di anticorpi specifici da parete del ricevente; rischio di leucopenia per la necessità della loro prolungata sommini-strazione.

FOLLOW-UP

Nel trapianto di pancreas nelle sue varie forme la sorveglianza delle complicanze precoci e tardive si basa essenzialmente sulla valutazione di parametri clinici e bio-umorali.

A fronte del miglioramento della terapia chirurgica e dei trattamenti farmacologici immunosoppressivi e non, non vi è un evento negativo prevalente sugli altri in termini di frequenza ed importanza ma la gradazione di gravità dei possibili eventi avversi dovrà essere valutata di volta in volta.
In caso di rigetto la tumefazione locale, l’aumento di consistenza, il dolore locale, la febbre e l’ileo, seppur indicativi, non permettono una diagnosi di certezza.

Tuttavia la diagnosi di rigetto in fase precoce è essenziale per istituire un’appropriata terapia medica prima che si verifichi l’intolleranza glucidica, segno tardivo che spesso significa la perdita irreversibile di gran parte della massa delle cellule beta.

Essendo l’alterazione esocrina precoce rispetto a quella endocrina, l’incremento dell’amilasemia e della lipasemia e, nel drenaggio esocrino vescicale, il decremento di più del 40% dell’amilasuria, sono gli indici biochimici più usati nella valutazione della disfunzione pancreatica assieme ovviamente ai segni clinici.

Va comunque ricordato che nel trapianto simultaneo di pancreas-rene, provenienti dallo stesso donatore, il rigetto si verifica nella maggioranza dei casi in modo sincrono e quindi il dosaggio della creatinina sierica è il marker più attendibile, per cui la biopsia renale rappresenta il metodo definitivo per la diagnosi.

Nel caso di sospetto clinico e biochimico di rigetto, l’ecografia e l’ecocolorDoppler, mediante la rilevazione degli indici di resistenza intraparenchimali, espressione dell’endotelite e della vasculite caratteristiche del processo immunologico, possono offrire un valido supporto al sospetto clinico, seppur con modesta specificità, mentre hanno un’elevata sensibilità nell’identificazione delle complicanze vascolari, particolarmente nelle trombosi venose.
La biopsia percutanea ecoguidata rappresenta la tecnica di riferimento stan-dard per la conferma diagnostica del ri-getto acuto.
Entro 4 settimane dal trapianto di pancreas possono verificarsi complicanze di tipo chirurgico: l’emoperitoneo, la pancreatite, la trombosi vascolare precoce, la fistola pancreatica, le deiscenze anastomotiche, pseudoaneurismi, infezioni intraaddominali, rare fistole artero-venose.

In questi casi il quadro clinico è sicuramente significativo e l’ecografia ha un ruolo di conferma diagnostica ed in alcuni casi, come per esempio per le infezioni intra-addominali, Il drenaggio ecoguidato delle raccolte può essere risolutivo.

Dopo la dimissione i pazienti trapiantati di pancreas devono seguire un follow-up clinico-strumentale periodico con le seguenti scadenze:

Ogni 2 settimane durante il 2° e 3°mese.

ogni mese dal 4° mese all’ anno

ogni 3 mesi dopo il 1° anno.

Ogni controllo prevede l’aggiornamento anamnestico, l’esame obiettivo e l’esecuzione degli esami emato-chimici, con particolare attenzione ai parametri di funzionalità renale e pancreatica ed al livello siero-logico dell’immunosoppressore (Tacrolimus o Ciclosporina e Micofenolato Mofetile).
Per quanto concerne gli esami strumentali, lo studio del parenchima renale e delle vie escretrici, del parenchima pancreatico e la valutazione della perfusione degli organi viene effettuato con ecocolorDoppler.

RISULTATI DEI TRAPIANTI DI PANCREAS

I risultati iniziali del trapianto di pancreas, influenzati anche dalle difficoltà legate alla messa a punto delle tecniche chirurgiche e della terapia immunosoppressiva, sebbene incoraggianti non sono stati brillanti.

Conseguentemente il trapianto di pancreas ha tardato ad affermarsi come terapia avanzata del diabete mellito di tipo 1 e, soprattutto in Italia, lo sviluppo è stato certamente inferiore alle necessità.

Successivamente negli anni ’80, la disponibilità della ciclosporina e contemporaneamente l’affinamento delle tecniche chirurgiche ed anestesiologiche hanno ravvivato l’interesse in questo tipo di trapianto.
La sopravvivenza ad 1 anno è quindi passata dal 40% degli anni 70 all’attuale 84%.

Per i trapianti eseguiti nel periodo : 1996-1999 secondo i dati riportati dall’ Intemational Pancreas Transplant Registry la sopravvivenza ad 1 anno dei riceventi è stata almeno del 95% per ogni tipo di trapianto: 95% per il combinato rene–pancreas, 95% per il pancreas dopo rene e 97% per il pancreas isolato.

Superati quindi i dubbi circa la sicurezza del trapianto di pancreas e le sue potenzialità funzionali, l’interesse è stato rivolto ad identificare i campi di migliore applicazione e a definire i suoi effetti nella storia naturale del diabete e delle sue complicanze.

Certamente l’insulino-indipendenza che si realizza dopo trapianto di pancreas, con valori normali sia di glicemia che di Emoglobina glicosilata dovrebbe essere la terapia più efficace nel controllo delle complicanze croniche del diabete.

L’evidenza bioumorale che nel trapianto di pancreas con drenaggio venoso sistemico i livelli periferici di insulina, sia basali che dopo stimolo, sono 2-3 volte superiori rispetto al normale a causa della mancanza dell’effetto di primo passaggio a epatico ponendo le basi per un’insulino-resistenza ha dato uno slancio alla tecnica di drenaggio portale enterico.

Il profilo lipidico migliora in maniera evidente dal momento che le concentrazioni di triglice-ridi e colesterolo LDL diminuiscono mentre le HDL aumentano.

Con il trapianto di pancreas migliorano i meccanismi di controregolazione del glucosio dopo ipoglicemia.

La nefropatia migliora, come dimostrato dalla struttura dei reni nativi dopo 10 anni da un trapianto isolato di pancreas.

Migliora la velocità di conduzione delle fibre nervose sensitive e motorie con parziale regressione della neuropatia a distanza di 10 anni dal trapianto.

Non è ancora stato dimostrato un chiaro beneficio sulla retinopatia ma è intuitivo che l’effetto sulle complicanze croniche del diabete vanno valutati alla luce del fatto che quasi tutti i riceventi sono affetti da diabete da più di 20 anni per cui un trapianto più precoce potrebbe avere effetti più significativi sulle complicanze meno evolute.

La necessità di una importante terapia immunosoppressiva ed un basso, ma non trascurabile, rischio chirurgico rappresentano i principali deterrenti di questo approccio terapeutico.
Complicanze perioperatorie che richiedono un reintervento si verificano in circa il 30% dei pazienti ed includono ascessi, trombosi vascolari, fistole anastomotiche e del moncone duo-denale.

Le sequele negative della terapia immunosoppressiva non sono diverse per il trapianto di pancreas rispetto agli altri tipi di trapianto ed includono le infezioni batteriche, virali (soprattutto citomegalovi-rus) e micotiche, e lo sviluppo di neoplasie (soprattutto tumori cutanei e linfomi).

Complessivamente la mortalità ad 1 anno dal trapianto è del 7%. La maggioranza dei decessi sono dovuti ad episodi cardio-vascolari acuti.
Per cui il rischio mortalità non è tanto dovuto al trapianto in sé ma alla severità della malattia cardiovascolare con cui questi pazienti accedono al trapianto.

APPENDICE

DIABETE MELLITO TIPO 1

Il diabete mellito è una malattia caratterizzata dalla mancata o inappropriata produzione di insulina che provoca alterazioni del metabolismo glicidico, lipidico e protidico con complicanze nel lungo termine a carico di occhi, reni, nervi e vasi sangui-gni.

Il diabete mellito viene classificato in primitivo o secondario:

a. Primitivo:

1. Diabete mellito insulinodipendente, giovanile, chetosico, magro. (Tipo 1).

2. Diabete mellito non Insulino-dipendente, adulto, non chetosico, grasso. (Tipo 2).

b. Secondario:

1. Malattie pancreatiche (es pancreatite cronica)

2. Alterazioni ormonali (es feocromocitoma, acromegalia, S. di Cushing)

3. Diabete indotto da farmaci o sostanze chimiche

4. Anormalità dei recettori In-sulinici

5. Sindromi genetiche (es lipodistrofie, distrofia miotonica, atassia-telengectasia)

6. Altro

Il diabete mellito di Tipo 1, in genere esordisce prima dei 40 anni.
Le manifestazioni cliniche sono variabili da paziente a paziente: possono comparire bruscamente con sete esagerata, aumento della diuresi, aumento dell’appetito e perdita di peso.
A volte l’esordio può essere rappresentato da chetoacidosi che facilmente può sfociare in uno stato di coma.
Nel momento in cui il diabete mellito di Tipo 1 si manifesta, la maggior parte delle cellule pancreatiche sono state distrutte per cui si ha un deficit assoluto di insulina da mancata produzione.

La prima contromisura terapeutica è quindi l’introduzione nell’organismo malato dell’insulina necessaria a mantenere livelli di glicemia “normali” ed è questa infatti la terapia principale per il trattamento di tutti i pazienti con diabete mellito di Tipo 1.

Con l’iniezione di insulina esogena è abbastanza facile controllare i sintomi del diabete ma non altrettanto mantenere la glicemia entro i valori di normalità costantemente, durante le 24 ore.
Il rischio di un trattamento molto energico effettuato con lo scopo di controllare “strettamente” la glicemia a digiuno e post-prandiale, è l’ipoglicemia.

L’ipoglicemia può essere determinata dal salto di un pasto o da una attività fisica non prevista, ovvero in situazioni in cui la causa non è identifica bile.
Se l’ipoglicemia non viene arrestata dai meccanismi di contro-regolazione ormonale (produzione di glucagone, adrenalina, cortisolo, or-mone della crescita, ingestione di carboi-drati) insorgono sintomi da interessamento del sistema nervoso centrale (confusione, anomalie del comportamento, perdita di coscienza fino al coma).

L’atteggiamento opposto con un trattamento blando che determina un controllo “impreciso” della glicemia a digiuno e post-prandiale si traduce in uno stato di iperglicemia.
A causa dell’iperglicemia cronica il paziente diabetico può sviluppare una serie di complicanze a lungo termine che sono causa di morbilità e mortalità premature.

La frequenza con cui le complicanze si manifestano è ampiamente variabile nella popolazione dei diabetici di Tipo 1: infatti, a parità di qualità del controllo glicemico, alcuni pazienti possono non presentare mai problemi cronici, in altri invece possono insorgere assai precocemente.
Le complicanze principali sono, come detto a carico dell’occhio, del rene, dell’apparato cardiovascolare, del sistema nervoso autonomo e periferico e del metabolismo.

Dopo 20-30 anni di malattia circa il 70% dei pazienti diabetici presenta retinopatia e circa la metà dei pazienti, che presenta la variante proliferante della retinopatia, diventa cieca entro 5 anni.

Dopo circa 15 anni di malattia diabetica il 40% dei malati presenta nefropatia che rappresenta una delle principali cause di invalidità e di morte nel diabete di Tipo 1.
Infatti la prognosi di un paziente diabetico in dialisi è drasticamente peggiore rispetto ad un insufficiente renale per altra causa.

Negli anni 60-70 il 48-60% dei pazienti diabetici morivano dopo il primo anno dall’inizio della dialisi.
Successivamente, con il miglioramento delle tecniche dialitiche, la mortalità si è ridotta ma rimane sempre statisticamente più elevata rispetto ai pazienti non diabetici: oggi dopo 5 anni dall’inizio della dialisi solo il 30% dei diabetici è vivente e solo poche persone superano i 10 anni di dialisi.

Le complicanze a carico dei piccoli e dei grossi vasi (micro e macroangiopatia diabetica) si possono sviluppare contemporaneamente, in media 15-20 anni dopo l’esordio della malattia, oppure una complicanza può essere prevalente sulle altre.

L’aterosclerosi accelerata, provocata da un aumento delle lipoproteine a bassa densità (LDL), unitamente alla proliferazione delle membrane basali dei vasi, provoca alterazioni inizialmente a carico della microcircolazione, ovvero difficoltà alla deambulazione con necessità di interrompere periodicamente la marcia (claudicatio intermittens), ulcere e gan-grene agli arti inferiori e, negli uomini impotenza coeundi, su base vascolare. Il progressivo coinvolgimento del macrocir-colo e soprattutto dei vasi coronarici e cerebrali fa sì che questi pazienti siano altamente a rischio di infarto del miocar-dio o episodi di ictus.

Dopo 30 anni di diabete il 60% dei pazienti presenta neuropatia che può interessare qualsiasi parte del sistema nervoso.
Essa, pur essendo raramente una causa di morte, è una delle principali cause di morbilità. Il quadro più frequente è quello della polineuropatia periferica con sintomi solitamente bilaterali di ipoestesia, parestesie, gravi iperestesie e dolore.

Meno frequente è la mononeuropatia con improvvisa paralisi del muscoli del polso e dei muscoli estensori del piede.

Invece, pressocchè presente in quasi tutti i pazienti, è la neuropatia vegetativa: difficoltà alla deglutizione, ritardato svuotamento gastrico e vomito, stitichezza e diarrea, disturbi della postura con ipotensioni ortostatiche e veri propri episodi sincopali.

Casi di arresto cardiorespiratorio e morte improvvisa sono stati riferiti unicamente alla neuropatia vegetativa.

Particolarmente fastidiose per la vita di relazione, sono la disfunzione o paralisi della vescica con necessità di cateterizzazioni permanenti, nei maschi può inoltre comparire impotenza ed eiaculazione retrograda.

Col progredire del diabete ed in particolare con lo svilupparsi della neuropatia, alcuni sintomi neurovegetativi che possono servire da allarme non vengono avvertiti, per cui si può instaurare la “sindrome da incapacità di avvertire l’ipoglicemia”.

Fino al 7% delle morti verificatesi tra i soggetti diabetici insulino-dipendenti viene attribuita all’ipoglicemia. E’ pertanto opportuno sottolineare che le crisi ipoglicemiche sono pericolose e se frequenti preannunciano conseguenze gravi e anche mortali.

Non sono infine da trascurare la suscettibilita’ del paziente diabetico alle infezioni prevalentemente urinarie, cutanee e dermatologiche e la difficolta’ alla guarigione delle ferite come ulteriori cause di morbilita’.

Si ringrazia per le informazioni il Centro Trapianti di Pancreas e di Rene di Pisa.

Comitato Scientifico:

Prof. Ugo Boggi
Prof. Piero Marchetti
Dr Chiara Croce
Dr Marco Del Chiaro
Dr Simona Gennai
Dr Luca Morelli
Dr Tiziana Vanadia Bartolo
Dr Fabio Vistoli

 

giugno 2002

 

A cura di Daniela D’Onofrio