Glicemia: così la mandi via

Nuotare, andare in bici, correre: un regolare esercizio aerobico previene il diabete. Assieme alla giusta dieta.

Esercizio, gente; esercizio. Muoversi conta. Quasi come mangiare con intelligenza. Perché, ci dicono oggi gli scienziati: la dieta da sola non basta a tenere sotto controllo il diabete, ma deve essere associata a un’attività fisica regolare.

Parola di uno studio del tutto inaspettato presentato al congresso dell’Accademia americana di Neurologia e condotto all’Università dello Utah.

In sintesi i ricercatori hanno dimostrato che un intelligente e regolare movimento può rigenerare i nervi danneggiati dalle prime mosse del diabete. Nelle persone che presentano un’insufficiente tolleranza al glucosio, infatti, due ore e mezza di esercizio fisico moderato alla settimana, magari sotto forma di jogging o nuotate in piscina, insieme a un po’ di attenzione alimentare possono portare a un calo di peso del 7 per cento, sufficiente per ottenere questo risultato sui filamenti nervosi.

Questo importante effetto sulle fasi precoci della neuropatia diabetica, che non può essere arrestata quando la malattia ha già danneggiato i nervi, è stato osservato misurando la densità dei nervi nelle gambe di 32 pazienti con diabete incipiente. Dopo un mese di dieta controllata e movimento quotidiano, i filamenti nervosi diventano più densi e quindi migliori conduttori dei segnali senza il benché minimo ricorso ai farmaci.

La ricerca americana ha spiegato alcune delle ragioni scientifiche di un effetto osservato in un recentissimo studio dell’Università di Perugia, coordinare da Pierpaolo De Feo della Società italiana di diabetologia (Sid).

La ricerca italiana ha analizzato l’esito dell’attività fIsica e del dispendio energetico sulla terapia e sui costi socio-sanitari del diabete mellito di tipo 2. «Abbiamo seguito 179 pazienti diabetici per due anni dopo averli suddivisi in sei gruppi uguali per età, sesso, durata del diabete e parametri della sindrome metabolica, ma diversi sul piano della spesa energetica (espressa in Mets/ora, un’unità di misura dell’esercizio fisico ottenuta moltiplicando l’intensità per la durata)», dice De Feo: «Dopo due anni i sedentari non mostrano alcun cambiamento in termini di pressione, circonferenza vita e glicemia, ma hanno speso in farmaci 558 euro in più l’anno.
Quelli che, invece, hanno fatto un po’ di attività non hanno mostrato miglioramenti nei parametri presi in esame, ma hanno utilizzato meno farmaci.

Diversamente sono andate le cose per quei pazienti che hanno attivato un dispendio energetico medio-alto, camminando a passo svelto, andando in bicicletta, danzando, facendo ginnastica aerobica, nuotando o vogatando. Questi malati hanno migliorato i parametri e ridotto in modo significativo i farmaci». Sulla base di questa e molte altre rilevazioni scientifiche che dimostrano la necessità dell’esercizio fisico regolare l’American Diabetes Association (Ada) ha messo a punto le raccomandazioni per chi soffre di diabete di tipo 2, la forma più diffusa, realizzate in accordo con l’American College Of Sports Medicine e pubblicate su «Diabetes Care».

In sintesi, ai diabetici si consigliano attività aerobiche di resistenza, come corsa lenta, nuoto o semplicemente lunghe passeggiate, ovviamente associate alle indicazioni dietetiche.
E anche a proposito di dieta, cambia la teoria con cui si è sino a oggi disegnata l’alimentazione dei diabetici: gli esperti non pongono più rigide barriere al consumo di carboidrati, combattendo invece l’eccesso di lipidi. Queste semplici misure possono tamponare gli effetti di un pericoloso ma inevitabile meccanismo legato all’età, in grado di favorire l’insorgenza della patologia: più si invecchia più la massa muscolare tende a ridursi e i muscoli consumano un minor quantitativo di energia anche a riposo. L’aumento del grasso all’interno dei fasci muscolari squilibra l’attività dell’insulina, che diventa sempre meno efficace, dando il via al processo dell’insulino-resistenza. Questo fenomeno, nel tempo, porta il pancreas a produrre una sempre maggiore quantità di insulina, peraltro meno efficace perché il tessuto muscolare la sfrutta male. E apre la strada al diabete. «L’esercizio fisico regolare può interrompere questa catena negativa», spiegano gli esperti dell’ Ada su “Diabetes Care”.

Non basta. Le ricerche più recenti dimostrano che l’attività regolare, oltre a far diminuire progressivamente il metabolismo a riposo, influenza anche la produzione di calore provocata dagli alimenti. Questo fenomeno è mediato da una serie di segnali ormonali specifici. In particolare l’attività fisica regolare agisce direttamente sulla corticotropina che induce una riduzione delle calorie introdotte e un aumento del consumo di energia. Con l’esercizio fisico si favorisce la sintesi di questo ormone e si consumano più calorie con importanti conseguenze sul metabolismo degli zuccheri e sulla glicemia.

Per questo, le “ClinicaI guidelines on the identification, evaluation and treatment of overweight and obesity in adult” del National Institute of Health di Bethesda indicano che l’aumento dell’attività fisica da sola, o in associazione a un trattamento dietetico, è un fattore protettivo per le malattie cardiovascolari e il diabete indipendentemente dalla perdita di peso. Suggerimento su cui concorda anche l’International Diabetes Federation che nelle sue ultime linee guida, redatte sulla base dei risultati dei maggiori studi sulla patologia, segnala che l’esercizio fisico regolare da solo è in grado di far calare significativamente i valori di emoglobina glicata (parametro che indica la percentuale di glucosio che si lega all’emoglobina presente nei globuli rossi) nei diabetici. Sia l’attività aerobica sia gli esercizi più pesanti, come il sollevamento pesi, se fatti regolarmente e per periodi prolungati rappresentano una variabile in grado di influire positivamente sulla malattia.

L’esercizio fisico diventa allora l’arma fondamentale per contrastare l’avanzata del diabete, che già oggi interessa almeno cinque italiani su cento. E si manifesta sempre prima. «La rapida crescita dell’obesità e del diabete di tipo 2 è legata a doppio filo agli stili di vita», commenta Antonio Pontiroli, presidente del congresso della Società italiana di diabetologia: «Le prove vengono dai numeri. Il 58 per cento dei diabetici tipo 2 ha più di 65 anni, ma ben il 37 per cento è tra i 45 e i 65 anni, e cinque malati su cento sono under 35». Se si considera che dopo 15-20 anni dall’esordio del diabete possono comparire serie complicanze cardiovascolari e renali, c’è il serio pericolo che in futuro anche l’infarto colpisca sempre più le persone giovani.

Anche sul fronte dell’alimentazione gli esperti hanno messo a punto una nuova piramide: tra i principi nutritivi off limits ci sono i grassi. Il consiglio che arriva dalla prestigiosa associazione scientifica americana è quello di limitare i grassi, controllare le proteine, consumare molta frutta e verdura e non rinunciare occasionalmente alla fetta di torta o al bicchiere di vino. A dare la spallata scientifica agli antichi teoremi diverse ricerche, che hanno dimostrato come il principio fondamentale da rispettare è la somma dei carboidrati assunti, e non la loro origine specifica.
Cala insomma l’importanza dell’indice glicemico, per cui pasta e dolci non sono più imputate di provocare impennate nei valori della glicemia che l’organismo fatica a compensare rispetto ad altri carboidrati, aumentando quindi i rischi per il diabetico. Perché se è vero che la spinta alla glicemia indotta da questi cibi è maggiore, è altrettanto innegabile che gli studi condotti su ampie fasce di popolazione non hanno dimostrato alcun vantaggio delle diete con alimenti a ridotto indice glicemico rispetto alle altre.

Non solo. Le indicazioni dell’Ada bocciano l’eccesso di proteine in sostituzione dei carboidrati. Alla lunga l’eccesso di proteine della carne, delle uova e dei formaggi non è utile all’organismo del diabetico, ma anzi può affaticare i reni. In ogni caso non più del 20 per cento delle calorie totali deve venire dalle proteine, mentre per il condimento va privilegiato l’olio d’oliva.

Infine, una conferma: a patto che venga conteggiato nel bilancio calorico, nulla osta al bicchiere di vino a pranzo e cena per l’uomo, mentre la donna deve limitarsi a un unico drink al giorno.

Che i grassi siano killer per i diabetici lo dimostrano anche gli studi riguardo agli effetti positivi sulla mortalità del trattamento con farmaci in grado di ridurre il colesterolo Ldl nel sangue come le statine. Secondo una ricerca che ha preso in esame i risultati di 12 grandi studi clinici condotta dal Centro per l’Evidence Based Medicine e la clinica cardiologica dell’Università di Lisbona pubblicata sul “British MedicaI Journal”, le terapie farmacologiche per abbassare il colesterolo sono utili sia nei non diabetici che nei diabetici. Ma a parità di calo dei livelli di colesterolo Ldl nel sangue, chi trae maggiori vantaggi in termini di durata della vita sono i diabetici.

 

 

FEDERICO MERETA
da: “L’Espresso” del 06.07.06