Disfunzione erettile: 7 volte più frequente in chi soffre di sindrome metabolica

Chi soffre di sindrome metabolica tende ad avere bassi livelli di testosterone e ha una probabilità 7 volte maggiore rispetto al normale di sviluppare ipogonadismo e disfunzione erettile. La notizia arriva in particolare dagli esperti partecipanti al congresso nazionale della Società Italiana di Urologia svoltosi nei giorni scorsi a Bari.

“La sindrome metabolica – ha spiegato il prof. Roberto Miccoli, del Dipartimento di endocrinologia e metabolismo dell’Università di Pisa – colpisce il 16% della popolazione italiana. Essa può essere definita come un’aggregazione di diversi fattori di rischio cardio-metabolici, come l’obesità, l’iperglicemia, la dislipidemia e l’ipertensione, con un aumentato rischio di sviluppare diabete (+3 volte) e malattie cardiovascolari (+2 volte). L’insulino resistenza è una condizione fisiopatologica comune a tali alterazioni”.

Numerosi studi epidemiologici hanno dimostrato che bassi livelli di testosterone sono associati ad una maggiore prevalenza delle componenti della sindrome metabolica e a una sua maggiore incidenza. Da uno studio condotto in Italia risulta che il 30% circa dei soggetti con disfunzione erettile o ipogonadismo presenta SM. Ulteriori conferme vengono dal Kuopio Ischemic Heart Disease Risk Factor Study condotto in Finlandia: la disfunzione erettile è risultata 7 volte più frequente nei soggetti con SM. I disturbi ormonali si accentuano con la severità della sindrome stessa.

Inoltre, un meccanismo comune tra SM e disfunzione erettile è costituito dalla disfunzione endoteliale, alla cui patogenesi contribuiscono anche fattori di rischio cardiovascolari tradizionali. Ciò spiegherebbe perché gli individui con disfunzione erettile presentano un elevato rischio cardiovascolare (+20% per infarto miocardico, secondo lo studio Prostate Cancer Prevention Trial condotto in USA).

“Le modificazioni dello stile di vita – ha continuato il prof. Miccoli – così come l’impiego della terapia farmacologica standard con inibitori della fosfodiesterasi-5, o quella sostitutiva con testosterone in caso di evidente deficit androgenico, possono contribuire sia a migliorare la funzione endoteliale sia a ridurre la severità dei fattori di rischio, e, di conseguenza, il crescente impatto del diabete e delle malattie cardiovascolari”.

 

 

da Salute Europa