Differenze di genere nel diabete mellito

Uno degli ultimi numeri della rivista “Diabetes Care” (tra le più citate nel mondo della diabetologia internazionale) pubblica due articoli (1, 2) che riportano come le donne diabetiche siano gestite e rispondano diversamente rispetto agli uomini diabetici o in termini di attenzione alla cura, o per quanto riguarda i benefici della terapia stessa. L’affermazione è importante e merita una riflessione.

Nel primo studio (Differenze legate al sesso nel trattamento e nel controllo dei fattori di rischio cardiovascolare nel diabete tipo 2) (1), alcuni ricercatori tedeschi (delle Università di Colonia, Bonn e Amburgo), con la collaborazione della Facoltà di medicina di Harvard, sostengono proprio che le donne diabetiche sofferenti per malattia cardiovascolare abbiano un peggiore controllo di importanti fattori di rischio modificabili rispetto agli uomini e che le stesse pazienti ricevano un trattamento ipolipemizzante meno intenso. Gli autori partono dalla osservazione che in questi ultimi anni i tassi di mortalità cardiovascolare si sono progressivamente ridotti (nelle donne e negli uomini); ciò è vero anche per gli uomini diabetici, ma non per le donne con diabete (come cardiometabolica aveva già scritto). Inoltre, il rischio relativo di coronaropatie fatali associate al diabete è maggiore del 50 per cento nelle donne rispetto agli uomini diabetici.

Per spiegare il fenomeno si è ipotizzato un differente profilo di rischio cardiovascolare tra i due sessi, come pure una possibile disparità nel trattamento (a favore degli uomini). Uno studio americano aveva evidenziato un minore controllo della pressione arteriosa e della colesterolemia LDL nelle diabetiche (rispetto ai diabetici) suggerendo che questo potesse contribuire alle differenze legate al sesso nelle tendenze di mortalità cardiovascolare (3). Mancavano però studi europei che confermassero queste differenze legate al sesso. Sono stati quindi raccolti i dati di oltre 44mila pazienti tedeschi seguiti da più di 3.000 medici di famiglia al fine di valutare i livelli dei più importanti fattori di rischio modificabili (pressione sistolica, colesterolo LDL, HbA1c); si è anche valutata l’intensità di terapia.

E’ stata calcolata la proporzione “sesso-specifica” dei pazienti che non erano ben controllati e che ricevevano trattamenti farmacologici più intensivi (nel presumibile sforzo di ottenere un miglior outcome finale) correggendo i risultati statistici per altri fattori confondenti (età, BMI, durata del diabete, fumo): la variabile che, alla fine, risultava maggiormente significativa era proprio il sesso! Le donne erano, cioè, più spesso ipertese, ipercolesterolemiche, con maggiori valori di HbA1c senza ricevere adeguata attenzione per questi importanti fattori di rischio. La terapia ipolipemizzante, soprattutto, si è rivelata molto più carente nelle donne diabetiche rispetto agli uomini diabetici. Tali diversità erano presenti nei soggetti con malattia cardiovascolare, non tra coloro che soffrivano solo di diabete. Gli Autori confermano che i medici di medicina generale sembrano avere più attenzione alla terapia ipoglicemizzante rispetto a quelle anti-ipertensive e ipolipemizzanti, sebbene ipercolesterolemia LDL e ipertensione arteriosa siano i fattori più responsabili delle coronaropatie, e invitano i colleghi a dedicare più attenzioni alle loro pazienti diabetiche.

Il secondo studio (Differenze legate al sesso nel rischio per diabete e effetto delle modifiche intensive sullo stile di vita nel Diabetes Prevention Program) (2) ha preso in esame i partecipanti allo studio DPP nel braccio di intervento sullo stile di vita, che maggiormente correlava con la prevenzione del diabete tipo 2. Le donne erano circa il doppio degli uomini sia nel braccio di intervento attivo (734 vs 345) sia nel braccio placebo (747 vs 335), confermando peraltro la differenza di tutta la coorte. La distribuzione etnica era simile per donne e uomini. Ebbene, gli uomini raggiungevano più spesso gli obiettivi di un corretto stile di vita rispetto alle donne, ma l’incidenza di nuovi casi di diabete era simile nei due sessi. In partenza, cioè, gli uomini erano più anziani, con maggiore circonferenza addominale, glicemia basale più elevata, maggiore introito calorico e pressione arteriosa, minore colesterolemia HDL e scorretta risposta insulinemica rispetto alle donne. Queste erano fisicamente meno attive e avevano un maggiore indice di massa corporea. Nel braccio d’intervento sullo stile di vita, gli uomini mostravano la maggior perdita di peso rispetto alle donne (6,0 vs 4,6 kg), in prevalenza grazie a riduzione dell’adiposità viscerale (diminuzione della circonferenza vita 5,6 cm uomini vs 4,6 cm donne). Gli uomini raggiungevano l’obiettivo di avere più tempo ricreativo e di divertimento.

Al termine dello studio DPP si ottenne una diminuzione del 58 per cento del rischio di diabete nei soggetti con variazione dello stile di vita, senza alcuna diversità statisticamente significativa tra i due sessi (61,6 per cento uomini vs 51,8 per cento donne, p=0,25); non c’erano differenze neppure tra coloro che ritornavano a una normale tolleranza glucidica (37,7 per cento uomini vs 36,5 per cento donne, p=0,72). Nel primo anno dello studio DPP non si osservavano differenze legate al sesso tra i fattori di rischio per diabete per coloro che riuscivano a perdere meno del 3 per cento del peso corporeo. Per cali ponderali compresi tra il 3 e il 7 per cento si osservavano maggiori riduzioni della glicemia due ore dopo carico, diminuzioni dell’insulinemia e dell’insulino-resistenza negli uomini rispetto alle donne. Una perdita di peso >7 per cento portava a una maggior riduzione della glicemia da carico, della trigliceridemia e dell’HbA1c negli uomini rispetto alle donne. Nonostante i favorevoli effetti di un corretto stile di vita negli uomini, il fatto che i fattori di rischio basali fossero maggiori negli stessi uomini presumibilmente oscurava le riscontrate differenze legate al sesso sull’incidenza di nuovi casi di diabete.

Già nel Finnish Diabetes Prevention Study (4) si era osservata una riduzione del 63 per cento nell’incidenza del diabete negli uomini, rispetto al 54 per cento osservato nelle donne con intolleranza ai glucidi modificando lo stile di vita, ma non sono pubblicati dati statistici né vengono riferite diversità (tra uomini e donne) nel raggiungimento degli obiettivi di prevenzione cardiometabolica. Nello studio DPP, tra coloro che progredivano verso il diabete, si era osservata una differenza nel modo in cui si giungeva alla diagnosi: la proporzione di uomini e di donne diagnosticabili con la sola glicemia basale era simile (15,6 vs 14,5 per cento), mentre le donne erano diagnosticate diabetiche dopo carico di glucosio più spesso degli uomini (66,1 vs 54,4 per cento). Questi ultimi arrivavano più spesso alla diagnosi di diabete con entrambi i criteri (glicemia basale e dopo due ore patologiche nel 30 vs il 19,4 per cento nelle donne, p<0,02).

Altri due grandi studi di popolazione avevano suggerito che i vari fattori di rischio cardiometabolici potessero avere effetti diversi in uomini e donne: lo Strong Heart Study (5) e lo Women’s Health Study (6). In particolare, l’età più avanzata e la presenza di sindrome metabolica conferivano maggiori rischi cardiometabolici e/o di diabete alle donne. Ecco perché, nel DPP, tutto lasciava presupporre che potessero essere gli uomini a maggior rischio (erano in partenza più anziani, con maggiore iperglicemia e presentavano più spesso sindrome metabolica) o quanto meno che le diverse condizioni basali rendessero alla fine simili i rischi tra i due sessi. Quanto poi questi fattori di rischio possano differenziarsi negli uomini rispetto alle donne rimane tema di speculazione.

Gli autori concludono che la relativa mancanza di beneficio osservata negli uomini (nonostante il raggiungimento di maggiori livelli di attività fisica) possa essere proprio correlabile al maggiore “carico” dei fattori di rischio basali. Infatti, tra le condizioni predisponenti le malattie cardiometaboliche e il diabete, le donne avevano più rischi in due categorie (più alto BMI e minore attività fisica) mentre gli uomini ne avevano di più in sei categorie (maggiore età, iperglicemia basale, circonferenza addominale e pressione arteriosa, minore colesterolo HDL e secrezione insulinica). Le migliori performance maschili, evidentemente, non sono riuscite a contrastare questi “peccati originali”.

 

 

Bibliografia

  1. Gouni-Berthold I, et al. Sex Disparities in the Treatment and Control of Cardiovascular Risk Factors in Type 2 Diabetes. Diabetes Care 2008; 31: 1389-91
  2. Perreault L, et al. Sex Differences in Diabetes Risk and the Effect of Intensive Lifestyle Modification in the Diabetes Prevention Program. Diabetes Care 2008; 31: 1416-21
  3. Ferrara A, Mangione CM, Kim C, Marrero DG, Curb D, Stevens M, Selby JV. Sex disparities in control and treatment of modifiable cardiovascular disease risk factors among patients with diabetes. Diabetes Care 2008; 31: 69-74
  4. Tuomilehto J, Lindstrom J, Eriksson JG, Valle TT, Hamalainen H, Ilanne-Parikka P, Keinanen-Kiukaanniemi S, Laakso M, Louheranta A, Rastas M, Salminen V, Uusitupa M. Prevention of type 2 diabetes mellitus by changes in lifestyle among subjects with impaired glucose tolerance. N Engl J Med 2001; 344: 1343-50
  5. Howard BV, Cowan LD, Go O, Welty TK, Robbins DC, Lee ET. Adverse effects of diabetes on multiple cardiovascular disease risk factors in women: the Strong Heart Study. Diabetes Care 1998; 21: 1258-65
  6. Ridker PM, Rifai N, Rose L, Buring JE, Cook NR. Comparison of C-reactive protein and low-density lipoprotein cholesterol levels in the prediction of first cardiovascular events. N Engl J Med 2002; 347: 1557-65

 

 

di Antonio C. Bossi
Direttore, Unità operativa “Malattie metaboliche e Diabetologia”
Azienda ospedaliera “Ospedale Treviglio-Caravaggio”

da cardiometabolica.org

ottobre 2008