Diabetici infartuati, la variabilità glicemica durante trattamento insulinico non è un fattore prognostico negativo

Nei pazienti affetti da diabete di tipo 2 colpiti da infarto miocadico acuto (Ima) il rischio a 1 anno di morte, reinfarto o ictus non è in relazione alla variabilità glicemica, potenziale effetto di un trattamento insulinico per il controllo glicemico. In particolare, la variabilità glicemica nelle fasi iniziali di un Ima non sembra essere un fattore prognostico negativo.

Lo ha stabilito un rapporto  – pubblicato sull’European Heart Journal – ricavato dal trial DIGAMI 2 (Diabetes Mellitus Insulin-Glucose Infusion in Acute Myocardial Infarction) da un team di studiosi svedesi guidato da Linda G. Mellbin, del Karolinska Institutet di Stoccolma. 

Il rischio di iperglicemia durante un’ospedalizzazione per Ima è un fattore predittivo di rischio, e un aumento della variabilità glicemica si considera correlato a una prognosi peggiore nei pazienti critici. Scopo del lavoro dei ricercatori scandinavi era appunto quello di verificare se anche nei diabetici infartuati fosse valida tale correlazione. 

A tale scopo sono stati studiati 578 pazienti con diabete di tipo 2 (età media: 67,9 anni) ai quali erano stati misurati i livelli glicemici ogni ora mentre ricevevano un’infusione di insulina/glucosio nel corso delle prime 48 ore del ricovero per Ima. In particolare sono state studiate 3 misure di variabilità glicemica – errore quadratico medico, range (la gamma di tutti i valori entro un arco di tempo di 48 ore) e pendenza (migliore curva di regressione nelle 24 ore) – in rapporto a un endpoint misto (mortalità, ictus, reinfarto) e alla mortalità.

A un’analisi non corretta, il livello medio di variabilità glicemica non ha evidenziato differenze significative tra i pazienti che erano deceduti durante i 12 mesi di follow-up rispetto a quanti erano sopravvissuti. 

In un modello di regressione di Cox corretto per età e pregresso scompenso cardiaco, non si è rilevato un aumento di rischio per l’endpoint composito associato alla variabilità glicemica; gli hazard ratio (Hr) relativi a errore quadratico medio, range e pendenza si sono attestati, nell’ordine, a 1,09 (95%CI 0,93-1,27), 1,01 (95%CI 0,98-1,05) e 1,01 (95%CI 0,99-1,04). 

Inoltre non si è avuto un aumento di rischio di decesso: gli Hr per errore quadratico medio, range e pendenza, rispettivamente, sono stati: 1,14 (95%CI 0,93-1,38), 1,03 (95%CI 0,98-1,08), 1,01 (95%CI 0,98-1,04).

È stata effettuata anche un’analisi dell’impatto della variabilità glicemica in relazione agli eventi precoci (≤ 3 mesi) e tardivi (4-12 mesi) che non ha mostrato alcuna differenza in termini di mancanza di valore prognostico. Inoltre, gli Hr per i 2 endpoint sono stati calcolati a 3 e 18 mesi di follow-up e si è confermata la carenza di qualsiasi collegamento tra la variabilità glicemica, da un lato, e l’endpoint composito e la mortalità dall’altro.

Questi risultati sono in linea con quanto emerso in letteratura, ossia che la variabilità glicemica durante la permanenza in unità coronarica è un significativo predittore di mortalità ospedaliera nella popolazione generale, ma che questa correlazione non sussiste nella sottopopolazione costituita dai pazienti diabetici.

“Si è speculato che i soggetti affetti da diabete di tipo 2 possano non reagire alla variabilità glicemica allo stesso modo perché le loro cellule hanno acquisito la capacità di adattarsi agli effetti dannosi delle fluttuazioni del glucosio, portando ciò a una relativa tolleranza” commentano gli autori, che concludono: “Occorre sottolineare che l’importanza della variabilità glicemica per le complicanze cardiovascolari necessita ulteriori delucidazioni in studi ben disegnati con strumenti per il monitoraggio glicemico continuo”.

 

Mellbin LG, et al. “The relationship between glycaemic variability and cardiovascular complications in patients with acute myocardial infarction and type 2 diabetes: a report from the DIGAMI 2 trial”. Eur Heart J, 2012 Nov 9. [Epub ahead of print]

 

di Arturo Zenorini

 

da PharmaStar