Diabete gestazionale moltiplica rischio tipo 2

Le donne incinte che affrontano il trauma di partorire un neonato senza vita in combinazione con una diagnosi di diabete gestazionale hanno una probabilità di sviluppare un diabete di tipo 2 conclamato quasi 50 volte superiore rispetto alle donne con una gravidanza norma- le. E sono anche più a rischio per le malattie cardiovascolari. E’ la conclusione a cui approda una ricerca italiana presentata a Vienna in occasione del 50esimo meeting annuale dell’Associazione europea per lo studio del diabete (Easd), e condotta da Basilio Pintaudi e da un team della Fondazione Mario Negri Sud. Questo rischio, spiegano gli autori, si amplifica negli anni successivi alla gravidanza. I ricercatori hanno condotto uno studio di coorte basato sulla popolazione in Puglia, utilizzando dati amministrativi relativi al periodo fra gennaio 2002 e dicembre 2010. Da un campione di 2,1 milioni di donne sono state individuate 3.851 donne, età media 37 anni, con alle spalle un’esperienza di diabete gestazionale e 11.553 senza. Durante un follow up medio di 5,4 anni l’incidenza di diabete di tipo 2 è risultata di 2,1 per mille donne per anno nel campione senza diabete gestazionale, di 54 per mille donne nel gruppo con diagnosi di diabete gestazionale e di ben 115 per mille donne nel gruppo di chi aveva sperimentato la nascita di un bimbo morto e una diagnosi di diabete gestazionale.
“Si tratta di fattori decisivi. Per questa ragione le donne ad alto rischio richiedono un follow up attento, intenso e personalizzato”, concludono gli autori dello studio.
“L’azione più importante – suggeriscono – dovrebbe essere intervenire sui fattori di rischio modificabili, come dieta ed esercizio fisico, per un cambio di stile di vita drastico e un taglio netto ad abitudini non sane. Poiché la maggior parte delle donne che hanno avuto il diabete gestazionale non sono in linea con la raccomandazione di sottoporsi a un test di tolleranza al glucosio post-gravidanza, gli operatori sanitari dovrebbero anche aumentare i loro sforzi per motivarle donne a frequentare programmi di screening”.

Lucia Scopelliti

 

da ADNKronos Salute