Diabete di tipo 1, farmaci approvati in altre indicazioni mostrano efficacia nel preservare le cellule beta
Al congresso 2025 della European Association for the Study of Diabetes (EASD), tre studi clinici hanno acceso l’interesse della comunità scientifica per il potenziale di farmaci già approvati in altre indicazioni nel rallentare la progressione del diabete di tipo 1 in fase iniziale. Le terapie testate, globulina antitimocitaria, verapamil e baricitinib, hanno mostrato risultati promettenti nella preservazione della funzione delle cellule beta, pur non sostituendo la necessità del trattamento insulinico.
«Stiamo assistendo a un numero crescente di terapie in grado di modificare la malattia nello stadio 3 del diabete di tipo 1, che dimostrano efficacia e sicurezza. Sappiamo di poter controllare il sistema immunitario e salvare le cellule beta rimanenti» ha affermato Sanjoy Dutta, direttore scientifico di Breakthrough T1D. «Dal momento che questi farmaci rallentano il sistema immunitario o proteggono le cellule beta, o entrambe le cose, la nostra speranza è di poter ridurre il fabbisogno di insulina dei pazienti».
ATG efficace e sicuro a basso dosaggio
Lo studio MELD-ATG, presentato da Chantal Mathieu della Katholieke Universiteit Leuven, in Belgio, ha valutato l’efficacia della globulina antitimocitaria (ATG, un farmaco immunosoppressore utilizzato principalmente per modulare la risposta immunitaria in contesti clinici come il trapianto d’organo e alcune malattie autoimmuni) derivata da coniglio in 117 pazienti tra i 5 e i 25 anni, trattati entro 9 settimane dalla diagnosi. I partecipanti sono stati randomizzati a ricevere una delle quattro dosi iniziali di ATG o placebo, poi ridotte a due (2,5 mg/kg e 0,5 mg/kg) secondo il protocollo dello studio.
Entrambe le dosi hanno mostrato una significativa preservazione della funzione beta, misurata tramite il peptide C, rispetto al placebo (P=0,0028 e P=0,014). La dose più bassa ha presentato un profilo di sicurezza migliore, con minori incidenze di malattia da siero e sindrome da rilascio di citochine, oltre a livelli di emoglobina glicata (HbA1c) più favorevoli.
Mathieu ha sottolineato che l’ATG derivato da coniglio non può essere risomministrato per motivi di sicurezza, ma nuove formulazioni potrebbero consentire trattamenti ripetuti. I risultati dello studio, pubblicati su Lancet, sono stati accompagnati da un editoriale di Cate Speake del Benaroya Research Institute, un centro di ricerca biomedica con sede a Seattle, che ha osservato: «Come per altre malattie autoimmuni, è probabile che un trattamento appropriato del diabete di tipo 1 richieda una varietà di terapie e forse una combinazione, come nei tumori. I risultati dello studio MELD-ATG suggeriscono che sono necessari ulteriori studi con ATG».
Con verapamil risultati incoraggianti nonostante l’endpoint mancato
Lo studio Ver-A-T1D, presentato da Thomas Pieber dell’Università di Graz, ha coinvolto 136 adulti con diabete di tipo 1 di nuova insorgenza trattati con verapamil, un bloccante dei canali del calcio che agisce anche sul regolatore redox TXNIP, implicato nella perdita di cellule beta.
I partecipanti hanno ricevuto verapamil orale a rilascio prolungato (da 120 a 360 mg) o placebo per 12 mesi. Anche se l’endpoint primario, ossia l’area sotto la curva del peptide C, non ha raggiunto la significatività statistica, sono emerse tendenze favorevoli (P=0,06) e risultati significativi nell’analisi per protocollo (P=0,034).
Come ha spiegato Pieber, il declino del peptide C nel gruppo placebo è stato più lento del previsto, rendendo lo studio sottodimensionato per rilevare differenze clinicamente significative. La sperimentazione proseguirà per 24 mesi, seguita da un’estensione di 3 anni (Ver-A-Long), e sarà accompagnato da una meta-analisi.
«Verapamil è un agente protettivo delle cellule beta economico e non immunosoppressivo, facile da associare a interventi di immunomodulatori» ha concluso.
Baricitinib mostra benefici evidenti ma reversibili
La dottoressa Michaela Waibel, del St. Vincent’s Institute di Melbourne, ha illustrato i risultati dello studio BANDIT, che ha valutato il JAK inibitore baricitinib in 91 pazienti tra i 10 e i 30 anni, trattati entro 100 giorni dalla diagnosi.
Dopo 48 settimane il livello medio di peptide C era significativamente più alto nel gruppo baricitinib rispetto al placebo (0,65 vs 0,43 nmol/l/min, P=0,001). Dopo la sospensione i benefici del trattamento si sono tuttavia attenuati, dato che a 72 settimane i livelli erano 0,49 vs 0,36 (P=0,015) e a 96 settimane 0,37 vs 0,26 (P=0,336), con un aumento del fabbisogno insulinico e una perdita del controllo glicemico.
La relatrice ha evidenziato che baricitinib si distingue perché è orale, ben tollerato anche dai bambini e chiaramente efficace. I dati attuali supportano i risultati precedenti, mostrando la perdita di effetto terapeutico con l’interruzione del farmaco e giustificano ulteriori studi nel diabete di tipo 1 in stadio 3 e come prevenzione nel diabete in stadio 2.
Prospettive future e approccio personalizzato
Per Jay Skyler dell’Università di Miami, co-moderatore della sessione, che questi studi confermano la validità dei meccanismi farmacologici valutati. Ha anticipato lo sviluppo di un ATG umanizzato e di nuovi agenti più specifici rispetto a verapamil.
In conclusione, i dati presentati all’EASD 2025 rafforzano l’idea che il trattamento del diabete di tipo 1 possa evolvere verso un approccio più proattivo e personalizzato. L’obiettivo non è solo il controllo glicemico, ma la modificazione del decorso della malattia, con terapie capaci di preservare la funzione beta e prevenire le complicanze a lungo termine. Questi studi aprono la strada a nuove strategie terapeutiche che potrebbero cambiare radicalmente la gestione del diabete di tipo 1 nei prossimi anni.
da PHARMASTAR