Autoimmunità e intestino

Il diabete di tipo 1 è considerato una malattia autoimmune, in cui linfociti T, attivati verso alcuni autoantigeni pancreatici, quali insulina e glutammato decarbossilasi, infiltrano le insule pancreatiche e distruggono le cellule produttrici di insulina. Fattori ambientali quali gli antigeni alimentari ed i virus sono stati associati con il diabete di tipo 1 (1). Tra gli antigeni della dieta, e’ stato postulato il ruolo delle proteine del latte vaccino come uno dei fattori responsabili del diabete tipo 1; in particolare l’uso di formule a base di latte vaccino e’ stato considerato un fattore di rischio per lo sviluppo di diabete di tipo 1 in individui geneticamente suscettibili (2). Meccanismi di mimetismo molecolare sono stati suggeriti per spiegare l’effetto diabetogenico. Il sistema immune dell’intestino rappresenterebbe il collegamento fra i fattori di rischio ambientali ed il diabete di tipo 1. Numerose prove indirette di un tal ruolo sono state segnalate in esseri umani: una risposta immune di sregolata nei confronti di antigeni alimentari e’ presente nei pazienti con il diabete di tipo 1 (3); le cellule T GAD-reattive esprimono un recettore di “homing” che ne tradisce la derivazione intestinale (4); inoltre segni di infiammazione in un intestino strutturalmente normale sono stati descritti in diabete di tipo 1, consistenti in una più alta espressione delle molecole di DR e del DP MHC nei villi dell’epitelio e nelle cripte rispetto ai controlli (5).

Il topo diabetico non obeso (NOD) è un modello molto bene studiato del diabete autoimmune. I topi NOD sviluppano insulite, mostrano cioe’ un’infiltrazione iniziale linfocitaria nel pancreas che produce le lesioni infiammatorie all’interno delle insule. Segue la distruzione della vasta maggioranza delle beta-cellule producenti insulina, un processo mediato dall’attivazione delle cellule T autoreattive di tipo Th-1 CD4+ e successivamente delle cellule T CD8+ (6,7).

Come negli esseri umani, parecchi fattori genetici ed ambientali sembrano cooperare per indurre il diabete di tipo 1 nel topo NOD (6). L’aplotipo del complesso di istocompatibilità H-2g7 (MHC) nel locus Idd 1 è necessario affinchè il diabete si sviluppi (12).
Tuttavia, la diverse regioni cromosomiche coinvolte nel diabete (loci Idd) sono state descritte e cio’ rafforza la natura multigenica della malattia in questo ceppo murino (9).

L’evidenza della partecipazione del sistema immune dell’intestino nel diabete è fornita pure da questo modello: linfociti che esprimono le molecole di adesione mucosale sono state trovate negli infiltrati pancreatici (10-12); i linfociti mesenterici derivanti da topi NOD di 3 settimane sono stati indicati capaci di trasferire il diabete (13). Nei topi NOD, ma anche nei ratti di BB, un altro modello animale bene caratterizzato di diabete, è stato dimostrato chiaramente che la dieta modifica l’incidenza della malattia (14,15). In particolare, gli agenti diabetogenici provengono dalla frazione proteica vegetale dell’alimento naturale (16,17); le proteine della farina frumento e della soia rimangono i componenti diabetogenici maggiori (16,17).

Più recentemente, è stato osservato un ritardato esordio del diabete nei topi NOD che non sono mai stati esposti al glutine (18). Tuttavia in questi modelli animali, poco ancora è conosciuto circa i meccanismi con cui le differenti componenti diabetogeniche della dieta operano nello sviluppo della malattia. In particolare, non ci sono prove rispetto ad una perdita di tolleranza orale nei confronti degli antigeni della dieta (specialmente il glutine) e poco è conosciuto circa la possibilità di una enteropatia infiammatoria in questi topi, in grado di favorire al livello mucosale l’inizio della risposta autoimmune.

Molto interessante è l’associazione fra la malattia celiaca (MC) ed il diabete di tipo 1 (19), ad avvalorare l’ ipotesi che i meccanismi orali di tolleranza sono disturbati nel diabete di tipo 1. La malattia celiaca (MC) e’ caratterizzata da danno alla mucosa intestinale e malassorbimento causati da una dieta comprendente glutine del frumento e proteine simili dell’orzo e della segale (20), con le gliadine, specifiche componenti del glutine del grano, in grado di esercitare un ruolo prevalente (21).

I pazienti affetti dalla MC sviluppano anticorpi sierici contro la gliadina e contro un autoantigene, identificato come transglutaminasi tissutale (tTG) (22), un enzima in grado di catalizzare il cross-linking Ca2+ dipendente tra residui aminoacidici di glutamina e amino gruppi primari di peptidi e poliamine. Il livello degli anticorpi contro entrambi gli antigeni aumenta con l’esposizione al glutine e diminuisce nella dieta priva di glutine.

E’ stato dimostrato che i peptidi della gliadina sono presentati ai linfociti T a livello intestinale dagli HLA di classe II (23) e questo spiega la stretta associazione della MC con l’HLA DQ 2 (24). Il ruolo della tTG nella MC non e’ stato ancora chiarito, sebbene sia stato proposto che quest’enzima sia coinvolto nella modificazione chimica dei peptidi gliadinici, causandone quindi la tossicità (25). Inoltre, la contemporanea modificazione della tTG ne indurrebbe l’immungenicità, con conseguente risposta anticorpale autoimmune.
Si spiegherebbe in questo modo la scoperta che il trattamento con frammenti di gliadina di campioni di biopsia intestinale in coltura, induce la sintesi d’anticorpi anti tTG (26).

Gli anticorpi anti-transglutaminasi (anti-tTG) sono altamente specifici nella diagnosi di MC e sembrano essere prodotti esclusivamente dai soggetti con MC in risposta all’introduzione del glutine nella dieta.
La sintesi degli anti-tTG e’ a carico dei B linfociti intestinali mentre i B linfociti circolanti non sono in grado di produrre questi anticorpi (27).

Questa osservazione sostiene l’ipotesi che la rottura della tolleranza verso l’auto-antigene transglutaminasi avviene nella mucosa intestinale. Da un punto di vista epidemiologico la MC ha una elevata prevalenza tra la popolazione generale (1%) con una maggiore prevalenza i familiari di primo grado di soggetti celiaci (8-12%), e i soggetti con malattie autoimmuni (8%) (28,29).

Come per altre patologie autoimmuni anche la MC si associa ad altre malattie autoimmuni (30).
In particolare, la prevalenza delle malattie autoimmuni che si aggregano ai soggetti celiaci e’ direttamente proporzionale al tempo di esposizione al glutine e il rischio di sviluppare patologie autoimmuni tra i soggetti celiaci aumenta di circa dell’1.1% per ogni anno di ritardata diagnosi (31).

Da un punto di vista biologico, l’esposizione al glutine facilita la produzione di auto-anticorpi organo-specifici, attraverso meccanismi ancora non completamente noti (32), (anticorpi anti pancreas: ICA, IA2, GAD; anti-tiroide: anti-tireoperossidasi; anti-sistema nervoso centrale: anti-cellule di Purkinje; anticorpi anti miocardio) mentre la dieta senza glutine blocca rapidamente la produzione di questi autoanticorpi (33-35).

Queste osservazioni epidemiologiche hanno giustificato l’avvio di screening per la malattia celiaca nelle popolazioni a rischio, mediante test sierologici, principalmente indirizzati alla ricerca degli anticorpi anti-transglutaminasi.
Nonostante l’elevata sensibilità (96%) e specificità (94%) diagnostica degli anti-tTG, tra i gruppi a rischio di MC (soggetti con malattie autoimmuni, familiari di primo grado di soggetti con MC) si sono osservate sieroconversioni tardive (tre anni dopo il primo test negativo) agli autoanticorpi correlati alla MC, nonostante ripetuti test fossero risultati negativi nel corso di screening per MC (36).
In altre parole e’possibile che soggetti geneticamente predisposti all’intolleranza al glutine (positivita’ per HLA DQ2/8) possono essere identificati tardivamente a causa di bassi livelli di anticorpi specifici non dosabili dagli attuali test.
Questa tecnica può dimostrare la effettiva produzione di auto-anticorpi mucosali, in assenza degli stessi anticorpi circolanti. In particolare può aiutare a dimostrare se esiste una popolazione di celiaci, (in particolare tra i soggetti a rischio di celiachia: parenti di primo grado di celiaci, soggetti con malattie autoimmuni come il diabete tipo1, la tiroidite autoimmune) negativi agli anti-transglutaminasi sierici, positivi agli HLA di classe seconda DQ2/8 e con una biopsia intestinale normale sia da un punto di vista morfologico che immunoistochimico (infiltrato intraepiteliale CD3+ normale).

Il Phage display di frammenti anticorpali umani ha dimostrato essere un metodo efficace per studiare la risposta immune nelle patologie autoimmunitarie (37-39).
Secondo questa metodica, il repertorio di anticorpi e’ espresso come proteina di fusione con una proteina del rivestimento di un fago clonata in un vettore fagmidico. Ogni fago ha sulla propria superficie un diverso anticorpo e contemporaneamente trasporta il relativo gene (40).
In breve, le regioni variabili anticorpali delle catene pesanti VH e di quelle leggere VL vengono amplificate mediante PCR a partire da cDNA di linfociti.
I primers usati per l’amplificazione inseriscono alle estremità dei geni delle sequenze complementari (linker) in modo che le due regioni V mescolate si uniscano. In seguito ad un’ulteriore amplificazione, le regioni VH vengono unite stabilmente alle VL, formando quello che viene definito un single-chain antibody fragment (scFv). Il scFv viene infine clonato in un vettore fagmidico a monte del gene III codificante per la proteina minoritaria del rivestimento del fago M13, g3p.
Dopo trasformazione di E. coli e infezione con un fago helper M13, vengono prodotte delle particelle fagiche che esprimono un anticorpo funzionale sulla loro superficie. Anticorpi specifici verso un determinato antigene possono essere isolati mediante cicli ripetuti di legame su un antigene immobilizzato su fase solida, lavaggio, eluizione, infezione di batteri ed amplificazione dei fagi legati all’antigene.
Infine, i cloni batterici che esprimono una specificità anticorpale contro l’antigene sono caratterizzati per l’epitopo riconosciuto.

Il processo di caratterizzazione nelle malattie autoimmuni risulta ancora più complesso in quanto gli epitopi riconosciuti dalla risposta anticorpale sono spesso di tipo strutturale [41-43].
Per questo motivo utilizzando antigeni ricombinanti risulta difficile se non impossibile la caratterizzazione degli autoanticorpi, sia da siero che utilizzando librerie fagiche anticorpali. Una soluzione al problema può essere ottenuta analizzando l’interazione antigene-anticorpo non in vitro (es.: con tecniche ELISA, RIA, etc.) ma direttamente in vivo, ossia mediante l’espressione e l’interazione intra-cellulare sia dell’antigene che dell’anticorpo di interesse.
Questa strategia presenta il vantaggio di una espressione della proteina di interesse nella conformazione più simile alla forma nativa sia in termini di struttura che di modificazioni post-traduzionali (glicosilazione, etc). Una metodologia recentemente sviluppata in questa direzione utilizza il sistema del doppio ibrido in cellule di lievito S. cerevisiae [44].
Questo sistema consente che un anticorpo (espresso come un frammento variabile a singola catena (scFv) o come singola regione variabile (VH o VL)), espresso come prodotto di fusione tra un dominio di transattivazione trascrizionale possa interagire con l’antigene, fuso al dominio di legame al DNA di LexA o Gal4, ed attivare così la trascrizione di geni reporters.
Questa metodica, utilizzata con successo per il clonaggio di anticorpi intracellulari (intrabodies) diretti contro antigeni citoplasmatici [45,46], consente di analizzare genoteche anticorpali relativamente ampie contro antigeni che necessitano dell’ambiente citoplasmatico per assumere una corretta conformazione.

Un ulteriore problema delle malattie autoimmuni riguarda la caratterizzazione di anticorpi diretti contro autoantigeni ignoti. Le strategie perseguite a questo scopo possono essere laboriose ed indirette – come l’analisi di genoteche di espressione di cDNA con sieri di pazienti autoimmuni [47,48]. Una strategia più diretta si avvale della possibilità di analizzare librerie anticorpali fagiche mediante “panning” su cellule o tessuti microdissecati [49,50]. In particolare nel caso del T1DM è possibile mediante microdissezione a laser (Leica AS LMD) manipolare preparati di pancreas fresco (espianto chirurgico) o incluso, in modo da ottenere preparati privi, o alternativamente arricchiti, della componente insulare. Queste componenti arricchite possono essere utilizzate come fonte di antigeni immobilizzati per la selezione di anticorpi serici o fagici. Esperimenti preliminari condotti su questi preparati, hanno permesso di ottimizzare la procedura di selezione di librerie anticorpali fagiche. In particolare hanno dimostrato che è possibile selezionare un fago tracciante esponente una catena leggera VL specifica per la catena B dell’insulina umana.

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