ADA2022: il diario di “bordo” del Dr Andrea Scaramuzza (day 4)

Siamo in dirittura d’arrivo. Domani si chiude. Il meglio probabilmente è passato, ma resta lo spazio per qualche chicca, per qualche considerazione, per qualche chiacchiera. Prima della top ten di domani.

Anche oggi oltre 50 occasioni di approfondimento, con il clou che si raggiungerà alla fine col simposio congiunto ADA/EASD durante il quale saranno presentate le nuove linee guida per la gestione dell’iperglicemia nei pazienti con diabete tipo 2.
Inizio riprendendo uno dei più interessanti, a mio giudizio, simposi di quest’anno, quello dedicato alla salute mentale dei pazienti con diabete tipo 1. Katharine Barnard-Kelly ha così sintetizzato: “The relentless, unforgiving nature of living with any type of diabetes can take its toll on anyone“, (La natura implacabile e spietata della convivenza con qualsiasi tipo di diabete, può mettere a dura prova chiunque). Per chiunque abbia avuto o ha a che fare col diabete non credo esistano parole che megliono riescano a descrivere lo stato d’animo.
Nella sua relazione la dottoressa Barnard-Kelly ha detto chiaramente come i tassi di suicidio o di lesioni auto-inflitte volontariamente fra le persone con diabete siano sottostimati. Secondo un rapporto dell’Organizzazione Mondiale della Sanità i tentativi di suicidio sono almeno 20 volte di più rispetto al numero di morti per suicidio effettivamente registrati.
Il suicidio rappresenta fino al 7% dei decessi registrati in questo gruppo, ma la percentuale è probabilmente sottostimata, a causa delle difficoltà nell’identificare il suicidio come causa della morte. Nei dati di uno studio su 160 casi di sovradosaggio di insulina, il 90% è stato rubrica come suicidio o parasuicidio, mentre il 5% è stato considerato come accidentale.
Codifica degli episodi e segnalazioni scadenti possono contribuire a una sottovalutazione del tasso di suicidi. “L’aspetto peculiare del diabete è che le persone hanno accesso all’insulina, che è un ormone salvavita“, ha detto Barnard-Kelly durante la presentazione. “Ma è anche molto facile in questo modo accedere a uno strumento molto efficace per togliersi la vita“.
L’ideazione del suicidio è riportata dal 15% delle persone con diabete rispetto al 9.4% della popolazione generale. Le persone con diabete hanno da tre a quattro volte più probabilità di tentare il suicidio e da due a tre volte più probabilità di essere depressi. Il rischio di suicidio, ideazione suicidaria e autolesionismo è ancora più alto per chi oltre il diabete ha un disturbo dell’umore.
Tra gli adolescenti e i giovani adulti, quelli con diabete di tipo 1 hanno il 61% in più di probabilità di riferire pensieri suicidiari rispetto a quelli senza diabete. L’aumento del rischio di depressione, autolesionismo e suicidio si osserva in tutti i sottogruppi di persone con diabete, indipendentemente da età e sesso e grado di controllo glico-metabolico. Infatti, chi pensasse che un controllo glicemico ottimale equivalga ad una buona qualità della vita, si sbaglia. Almeno non per tutti è così.
A tale proposito ricordo un’indagine fatta quando ancora lavoravo a Milano rispetto alla qualità della vita dei nostri pazienti. Coloro che avevano presentato i risultati migliori erano coloro con un controllo glicemico medio, ne troppo brutto, ma nemmeno troppo buono. Ancora una volta il detto ‘in medio stat virtus‘ racchiude tanta verità.
La tecnologia, in questo senso non aiuta, e capita che se da una parte contribuisce a ridurre l’ansia per le possibili ipoglicemie, dall’altra aumenti lo stress legato alla gestione della tecnologia, agli allarmi, etc. Ma non è la tecnologia il problema, ma il non affrontare l’argomento. Cosa che invece dovrebbe sempre essere fatta durante le visite ambulatoriali.
Passando ora ad argomenti più lieti, Dexcom G7 è atteso a breve. L’ipotesi più probabile è il lancio in occasione occasione di EASD, il congresso europeo, e quindi a settembre 2022. Nel frattempo approfondiamo un po’ G7 dalle parole del CEO di Dexcom Kevin Sayer, che alla domanda che differenza ci fosse fra G6 e G7 ha risposto: “Ogni singola parte è diversa, dall’angolo di inserzione del sensore all’algoritmo per determinare la glicemia, così come ogni singola parte del manufatto. Solo i sensori sono grosso modo gli stessi. Anche la APP è diversa. Abbiamo il grafico e le icone abituali, ma allo stesso tempo, abbiamo aggiunto il dato del time in range. Si possono vedere i dati del TIR di 3,7,14, o 90 giorni. Questo da agli utilizzatori un idea immediata di come stanno andando”.
Non c’è il trasmettitore, a differenza del G6, rendendo la fase di inserzione differente e allo stesso tempo semplice e intuitiva. Il warm-up è di soli 30 min. Oltre ai canonici 10 giorni, gli utilizzatori potranno beneficiare di 12 ore aggiuntive durante le quali possono cambiare sensore, mentre il vecchio continua a funzionare. Questo è un bel vantaggio se, per esempio, si deve cambiare il sensore di notte.
G7 è il 60% più piccolo di G6 (più piccolo di un quarto di dollaro, e leggermente più grande di un nichelino, di ziopaperoniana memoria, per gli amanti di Topolino). Sarà molto semplice da usare anche per i neofiti.
Il costo di G7 dovrebbe essere simile a quello di G6 per renderlo più conveniente per molti.
A proposito della integrazione con altri devices, è confermato che sarà integrato sia in Tandem Control-IQ che in Omnipod 5. Una volta sul mercato inizieranno a lavorare sui protocolli di condivisione, ma ci vorrà un po’, circa sei mesi, giorno più, giorno meno. Anche per quanto riguarda l’integrazione con le penne intelligenti, sono in corso trattative sia con Novo che con Lilly.
Per quanto riguarda l’integrazione con altri devices solo il tempo dirà cosa succederà.
Sicuramente fin da subito G7 cercherà di distinguersi per non appesantire il già voluminoso fardello di chi ha il diabete. Le dimensioni aiutano, un migliore segnale perché non venga perso durante il funzionamento del sensore e la possibilità di richiedere la sostituzione di un sensore direttamente dalla APP, dovrebbero insieme contribuire a rendere il tutto meno gravoso.
Interessante la sessione di revisione dei lavori più significativi dello scorso anno in alcuni ambiti fra cui il diabete pediatrico. Linda Anne DiMeglio , professore di Pediatria alla Indiana University School of Medicine ha affermato, in maniera per nulla sorprendente, che numerosi studi nell’ultimo anno hanno esaminato vari aspetti del COVID-19 e il suo impatto sul diabete e sulla cura del diabete.
I dati di alcuni studi osservazionali riguardanti l’aumento acuto dell’incidenza del diabete in concomitanza con la pandemia hanno fatto pensare che il COVID-19 abbia accelerato la comparsa dei nuovi casi, o forse ne sia addirittura stata la causa, di diabete tipo 1. I rapporti iniziali basati su studi di popolazione, tuttavia, non hanno confermato questa ipotesi”, ha affermato la dottoressa DiMeglio. “Piuttosto, i dati hanno suggerito che le persone che si presentavano con diabete all’esordio, avendo spesso ritardato l’accesso alle cure per paura del COVID-19, avevano un esordio più grave spesso con chetoacidosi severa“.
Ulteriori studi hanno suggerito che la “tempesta di citochine” osservata in corso di COVID-19 potrebbe interferire gravemente o esaurire le limitate riserve di cellule beta, accelerando l’esordio della malattia.
David A. D’Alessio, Professore di Medicina e Responsabile di Endocrinologia e Metabolismo presso la Duke University School of Medicine, ha esaminato i punti salienti della ricerca traslazionale nell’ultimo anno. La cura del diabete personalizzata basata su biomarcatori o test genetici è ancora imprecisa. I contributi poligenici al decorso clinico sono significativi e richiederanno una maggiore comprensione per essere adeguatamente presi in considerazione.
Silvia Corvera, MD, professoressa presso la University of Massachusetts Medical School, ha esaminato i punti salienti della scienza di base dell’ultimo anno, compresi i progressi nella trascrittomica unicellulare che hanno fornito importanti spunti sulla composizione cellulare e sui percorsi molecolari nei tessuti che sono metabolicamente rilevanti nel diabete.
Il sequenziamento unicellulare ci consente di guardare ogni tipo di cellula e capire cosa sta facendo a livello trascrizionale, e stiamo vedendo potenziali meccanismi patogeni che non erano mai stati approfonditi prima. La trascrittomica unicellulare e uninucleo, ad esempio, ha rivelato meccanismi in cui i loci di suscettibilità potrebbero aumentare il rischio di sviluppare diabete tipo 1, rivelando un nuovo possibile ruolo patogenesi delle cellule duttilità delle isole pancreatiche.
La dottoressa Corvera ha anche discusso l’evoluzione della ricerca sulle cellule staminali pluripotenti indotte, facendo seguito ai rapporti sull’impianto di cellule beta indotte da cellule staminali pluripotenti che hanno recentemente fatto notizia a livello mondiale. I progressi nelle terapie cellulari sono una nuova entusiasmante frontiera.
E la vera speranza per una cura definitiva, aggiungo io.
È stato poi ribadito in diversi simposi che il diabete, anche il diabete pediatrico e il diabete tipo 1, è una malattia estremamente eterogenea. I risultati di numerosi studi hanno dimostrato che, anche tra i pazienti con mutazioni patogene dominanti associate al diabete, la presentazione clinica può variare. Le attuali classificazioni del diabete continuano a essere messe in discussione, con esempi di variabilità tra le categorie tradizionali.
Sono stati presentati i dati sulla comparsa di diabete tipo 2 nei giovani, ora apparentemente in aumento anche in Europa e in Italia e non solo in US o nei paesi sudamericani o dell’est asiatico. In questi pazienti le complicanze sembrano molto più frequenti che nei pazienti con diabete tipo 1, già dopo 8 anni di osservazione.
Oggi è stato presentato da James Markmann del Massachusetts General Hospital di Boston, un caso clinico di un paziente che ha raggiunto la insulinoindipendenza dopo trapianto di cellule staminali, anche se il trattamento non è ancora approvato da FDA e è in corso una querelle per stabilire il dosaggio più appropriato. Si tratta di un uomo di 64 anni con alle spalle una storia di diabete da 40 anni, che ha ricevuto una singola infusione con il trattamento sotto investigazione VX-880 a metà della dose target.
Sviluppato da Vertex Pharmaceuticals, il trattamento funziona come una terapia sostitutiva delle cellule delle isole pancreatiche derivate da cellule staminali allogeniche, completamente differenziate.
Entro il giorno 90 dello studio clinico di fase I/II, il paziente ha verificato una serie di miglioramenti nelle misure della funzione delle isole pancreatiche e del controllo glicemico:
1) Livello di peptide C a digiuno: non rilevabile al basale rispetto a 280 pmol/L al giorno 90
2) Livello di picco del peptide C stimolato con test di tolleranza ai pasti misti: non rilevabile al basale rispetto a 560 pmol/L al giorno 90
3) HbA1c: 8,6% al basale vs 7,2% al giorno 90
Anche la dose giornaliera di insulina del paziente è scesa da 34 unità/die a sole 2,9 unità/die, rappresentando una diminuzione del 91% dell’uso quotidiano di insulina esogena.
Inoltre, la variabilità glicemica è scesa dal 41,8% al 27,5% misurata con monitoraggio continuo della glicemia.
Il tempo trascorso nell’intervallo target – da 70 a 180 mg/dL – è aumentato dal 40,1% al 63,2%.
Questi dati hanno continuato a migliorare entro il giorno 150, ha raccontato Markmann. A questo punto, i livelli di peptide C a digiuno sono aumentati a 404 pmol/L e l’HbA1c è scesa al 6,7%. Anche il tempo trascorso nell’intervallo target è aumentato all’81,4%.
Entro il giorno 270 dopo l’infusione iniziale di metà dose, questo paziente ha raggiunto la completa indipendenza dall’insulina, una HbA1c di 5,2% e il tempo in range del 99,9%.
“Questa è la prima somministrazione al mondo di isole derivate da cellule staminali e infuse nel fegato”, ha detto Markmann durante una conferenza stampa dell’ADA.
In passato, esperienze fatte con isole estratte da cadaveri avevano dimostrato di funzionare quando infuse nel fegato. L’esperienza riportata dal dottor Markmann riferisce di un tentativo simile molto ben riuscito, rappresentando con questo lavoro rivoluzionario un vero e proprio balzo in avanti verso la cura del diabete.
Un secondo paziente per cui si è arrivati a 150 giorni di osservazione sta confermando i riscontri positivi del primo paziente. Certamente la terapia immunossopressiva resta un problema non da poco da cercare di risolvere.
Omnipod 5 continua ad essere un mistero. Presentati i dati di almeno 6 studi, tutti piuttosto incoraggianti, anche se nulla di particolarmente stratosferico. Ma se si chiede quando uscirà tutti glissano. Ipotesi di acquisto di Insulet (azienda che produce Omnipod 5 ) da parte di Dexcom ora messa un poco a tacere. Staremo a vedere.
Nel frattempo abbiamo imparato che nei piccolini (2-6 anni) Omnipod 5 funziona non solo nel pivotal di 3 mesi ma fino a 12 mesi, con TIR sempre intorno al 68-69% e glicata da 7,4% a 6,9%.
Dati così così nell’estensione a 15 mesi del gruppo principale (n=110), da 6 a 69 anni. TIR che sale bene a 67% a 6 mesi ma poi tende a flettere un po a 15 mesi. Idem la glicata, 7,7% basale, 6,9% a 6 mesi e lieve rialzo a 15 mesi a 7,2%.
Aspettiamo con trepidazione (più alcuni pazienti, forse, che il sottoscritto, probabilmente, ma comunque con grandissima curiosità) il marchio CE e poi la commercializzazione anche alle nostre latitudini.
Non è successo molto altro, per cui è tempo di saluti e vi do l’appuntamento a domani per l’ultima giornata, un focus sulla terapia immunologica e sulla prevenzione e l’ormai attesa top ten delle 10 situazioni che più mi hanno intrigato durante questo.
Dr Andrea Scaramuzza
Responsabile Endocrinologia, Diabetologia & Nutrizione Pediatrica presso ASST di Cremona