Un ricovero su 4, nei reparti di medicina interna degli ospedali italiani, riguarda persone con diabete

Roma, 16 maggio 2016 – Il 23% – circa 1 su 4 – dei ricoveri nei reparti di medicina interna riguarda persone con diabete, secondo i dati rilevati dagli studi FADOI GEMINI e FADOI PRACTICE, condotti dalla Federazione delle associazioni dei dirigenti ospedalieri internisti (FADOI). Il dato non sorprende, perché il diabete è una malattia ad elevato rischio di complicanze e di ospedalizzazione: secondo i dati dell’Osservatorio ARNO 2015, la percentuale di ricovero ordinario è del 62% più alta tra le persone con diabete rispetto ai non diabetici. “La malattia diabetica incide significativamente sull’attività ospedaliera, non tanto come causa diretta del ricovero, quanto come condizione frequentemente associata alla malattia determinante il ricovero, poiché aumenta il rischio di complicanze e di mortalità e provoca allungamento della durata di degenza, che aumenta in media a 11,2 giorni in una persona con diabete rispetto ai 9,2 del paziente senza, col conseguente incremento dei costi, visto che una giornata di ricovero vale circa 750 euro”, ha spiegato Andrea Fontanella, primario di Medicina Interna all’Ospedale Fatebenefratelli di Napoli e presidente eletto FADOI.

Il dott. Fontanella ha tenuto a battesimo la presentazione del documento FADOI “L’appropriatezza nella gestione dell’iperglicemia nel paziente ospedalizzato: schemi di orientamento”, svoltasi oggi al XXI Congresso Nazionale FADOI a Roma, nell’ambito del Simposio dal titolo “Diabete in ospedale: sfide ed opportunità per la Medicina Interna”, sostenuto in modo non condizionante da Novo Nordisk. “In caso di diabete associato a patologie acute in ospedale, la complessità del ricovero impone la definizione e l’applicazione di processi clinici e gestionali strutturati, allo scopo di arrivare a una presa in carico più appropriata del paziente durante l’ospedalizzazione – ha detto Fontanella. FADOI ha messo a punto un documento che mette in evidenza le pratiche cliniche, diagnostiche e terapeutiche più appropriate in ogni fase del ricovero della persona con diabete, dall’accesso alla dimissione, a partire dalla definizione degli obiettivi glicemici e della terapia insulinica sia nei pazienti critici e non critici che in quelli in terapia cortisonica o che devono sottoporsi ad intervento chirurgico, situazioni particolarmente critiche per il controllo glicemico.”

Il documento rappresenta un ulteriore tassello nel percorso che vede FADOI impegnata negli ultimi anni in studi epidemiologici e di intervento, come lo studio FADOI-DIAMOND, e in programmi di formazione e educazione dedicati alla gestione del paziente diabetico ospedalizzato, come il progetto CLEAR. Lo studio FADOI-DIAMOND, realizzato con il supporto non condizionato di Novo Nordisk, ha valutato la gestione nel mondo reale dei pazienti diabetici tipo 2 ricoverati nei reparti di Medicina interna in 53 ospedali italiani. “Si è sviluppato attraverso una prima indagine volta a valutare l’attitudine nella gestione dei pazienti con diabete di tipo 2 ricoverati nei reparti di Medicina interna, a cui ha fatto seguito un programma educazionale presso i centri partecipanti, con contenuti definiti sulla base delle linee guida e dei principali orientamenti in termini di standard di cura internazionali. Dopo la fase educazionale, una seconda indagine ne ha valutato gli effetti”, ha ricordato Fontanella ed “è stato uno dei migliori esempi di quello che mi piace definire il Modello FADOI: formare per la ricerca e fare ricerca per formare.”

Tra i risultati più eclatanti dello studio educazionale si è riscontrato un aumento dell’impiego di insulina nella gestione del diabete in ospedale e un miglior rilievo dei dati antropometrici del paziente diabetico. “Soprattutto dal successivo studio, che ha analizzato i dati di DIAMOND, alla ricerca dell’incidenza dell’ipoglicemia in questa coorte di pazienti, si è rilevato che tali episodi, soprattutto quelli notturni, ancora permangono, cosa di particolare criticità”, sottolinea Fontanella, perché l’ipoglicemia è associata ad un aumento sia della mortalità intraospedaliera sia del tempo di degenza. “Questo rappresenta un vero unmet clinical need, un bisogno insoddisfatto, ed è in gran parte legato all’ancora troppo inveterata pratica della sliding scale (l’insulina al bisogno) nei reparti di medicina interna, piuttosto che ricorrere al più razionale uso dello schema basal-bolus (NdR, ossia la somministrazione ai tre pasti di insulina rapida con l’aggiunta di una dose di insulina ad azione lenta al momento di coricarsi), che mima molto meglio la fisiologica funzione pancreatica”, aggiunge.

Modificare tali metodiche non corrette è stato uno dei principali scopi del progetto formativo CLEAR (Complete LEARning of hyperglycemia management in inpatients), che si è realizzato su tutto il territorio nazionale attraverso cinque macroeventi regionali. È stato, tra l’altro, uno dei primi esempi di formazione sul diabete che ha utilizzato un simulatore di paziente, tecnologicamente molto avanzato, che ha permesso ai discenti di confrontarsi in un ambiente simile a quello del real word.

“Riuscire oggi a mimare la fisiologica funzione pancreatica – ha commentato Fontanella – è reso possibile dall’impiego degli analoghi dell’insulina, i cui benefici in termini di sicurezza sono appurati rispetto alla vecchia terapia con insuline umane. Da poco più di un anno, inoltre, è disponibile un nuovo analogo ad azione prolungata dell’insulina, insulina degludec, caratterizzato da un significativo minor rischio di ipoglicemie notturne rispetto all’insulina glargine, che offre alcuni benefici in termini di sicurezza e flessibilità nell’uso ospedaliero. Sono in fase di sperimentazione, infine, altre insuline ad azione prolungata e l’insulina ultra rapida faster aspart, i cui dati preliminari sono altrettanto promettenti.”

 

 

 

 

 

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