Trapianti antidiabete, scoperti nuovi farmaci

Dalla ricerca italiana nuove speranze per i 250 mila italiani con diabete di tipo 1, forma giovanile della malattia del sangue dolce, che ogni anno fa registrare secondo le stime circa 5 mila nuovi casi. Un gruppo di scienziati del San Raffaele di Milano ha dimostrato per la prima volta l’efficacia di una nuova classe di farmaci nel ridurre il rischio di rigetto dopo il trapianto di isole di Langerhans, le cellule del pancreas che fabbricano l’insulina e che vengono impiantate nei pazienti diabetici per ripristinare la produzione dell’ormone controlla-zucchero. Le molecole protagoniste della ricerca, pubblicata sul ‘Journal of Clinical Investigation’, sono i farmaci anti-recettore CXCR1/2. Funzionano inibendo i recettori per le chemiochine, proteine chiave delle reazioni autoimmunitarie. E somministrandoli dopo il trapianto di isole pancreatiche, si favorisce l’attecchimento dei tessuti aumentando le probabilità di successo dell’intervento.

Lo studio è coordinato da Lorenzo Piemonti, responsabile dell’Unità della biologia della beta-cellula del San Raffaele, e condotto in collaborazione con l’azienda biofarmaceutica Dompé che ha sviluppato le molecole utilizzate. Le terapie utilizzate finora – ricorda l’Irccs milanese in una nota – hanno lo scopo di inibire i linfociti del sistema immunitario, che hanno il compito di eliminare le cellule trapiantate con conseguente rigetto del tessuto di Langerhans. Dopo avere dimostrato che un altro tipo di cellule, i polimorfonucleati, partecipano attivamente ai processi di danneggiamento del tessuto trapiantato facilitandone la distruzione e il rigetto, i ricercatori del San Raffaele hanno utilizzato modelli di topo per valutare l’effetto di farmaci in grado di inibire la migrazione dei polimorfonucleati in risposta al rilascio di citochine.

Gli studiosi hanno così dimostrato che i farmaci anti-recettore CXCR1/2 non solo riducono l’accumulo di polimorfonucleati nel sito di impianto e la conseguente infiammazione, ma soprattutto favoriscono la sopravvivenza del tessuto trapiantato nel tempo. Oltre alle indagini precliniche, il team ha condotto anche un esperimento clinico. Ha cioè verificato che la nuova famiglia di farmaci aumenta significativamente la sopravvivenza e la funzione del tessuto trapiantato anche nell’uomo, senza provocare effetti secondari indesiderati. “Prevenire il rigetto e favorire la sopravvivenza del trapianto di tessuto mediante l’uso di anti recettori per chemiochine – spiega Piemonti – è un concetto innovativo che identifica la risposta infiammatoria al centro di una reazione molto complessa. La ricaduta clinica di questo approccio – precisa il ricercatore – potrebbe essere estremamente rilevante sia nel campo del diabete di tipo 1, e forse di tipo 2, che in quello dei trapianti. Il fatto che questi farmaci siano già disponibili per lo studio nell’uomo, con un profilo di sicurezza estremamente favorevole, fa sì che nei prossimi mesi si potrà iniziare studi multicentrici a livello internazionale sia nel trapianto di isole sia nei pazienti diabetici di tipo 1 all’esordio di malattia”.

“Coinvolgendo un numero maggiore di pazienti – sottolineano Antonio Citro ed Elisa Cantarelli, membri dell’Unità della biologia della beta cellula del San Raffaele di Milano e primi autori della ricerca – questi studi avranno la possibilità di confermare definitivamente nei prossimi 2-3 anni la validità dell’approccio”.

La molecola usata per le ricerche condotte in via Olgettina è il reparixin, capostipite della nuova classe di farmaci.

 

 

 

di Paola Olgiati

da ADNKronos Salute