Quel medico padovano che non butta via i reni

L’edizione canadese di The Huffington Post ci mette questo titolo: «Riciclaggio di organi umani: i medici hanno tentato di farlo con fegati, cuori, reni». Concetto forte per dire al mondo che qualcuno c’è riuscito. Questo qualcuno è Lorenzo Gallon, medico, padovano, trasvolato negli Stati Uniti nel ’92 dopo la laurea a Padova, prima 7 anni ad Harvard, e poi a Chicago, al Northwestern Memorial Hospital, che è anche un’Università. Gallon, 48 anni, è direttore medico del centro di ricerca sui trapianti dell’ospedale ed è riuscito a fare qualcosa che, così, nessuno aveva fatto prima. Raccontiamolo, come in un articolo conciso e preciso ha fatto il New England Journal of Medicine lo scorso 26 aprile.

Si tratta di un trapianto di rene, ma tutt’affatto speciale. C’è un ragazzo di 27 anni, Ray Fearing, in dialisi perché affetto da FSGS, glomerusclerosi focale segmentale. Deve abbandonare il lavoro, per lui il trapianto è vitale. E’ sua sorella Cera, 24 anni, a donargli un rene. L’intervento avviene nel giugno 2011. Ma dopo due giorni la malattia attacca anche il nuovo rene: non basta la terapia immunodepressiva, la recidiva è più forte. Naturalmente i medici tentano di salvare il trapianto, ci provano per quattordici giorni. Buttare via un organo donato è una vera perdita, per di più con tutte le implicazioni etiche visto che proveniva da vivente, e proprio la sorella. Ma il rene sta proprio andando, lo dicono le biopsie, i controlli quotidiani. Che fare? Lorenzo Gallon un’idea ce l’ha, ed è un’idea nuova: se l’organo ha un destino segnato dentro a Ray, può funzionare benissimo su qualcun altro che non ha la stessa patologia. E’ una decisione difficile: da far capire a Ray, a sua sorella. Ma quello che fa decidere Gallon sta tutto in una sua frase: «La necessità di trapianti di rene è molto più alta delle nostre capacità di intervento». Non ci stanno dietro, i medici, c’è moltissima gente in lista d’attesa, e poche donazioni. «La gente muore in dialisi, in attesa di reni», dice Gallon.

Parla con Ray, ancor oggi è colpito dalla reazione del ragazzo. Racconta Gallon: «La malattia era molto aggressiva, lo prendeva totalmente. Ma lui ha deciso di aiutare un altro. Non tutti sono così». Ray e sua sorella danno il «consenso responsabile». Continua il medico: «Quel rene dovevo comunque toglierlo a Ray, faceva perdere 40-60 grammi di proteine al giorno, il fabbisogno di un uomo. Ho ipotizzato che, invece di buttarlo via, potesse essere adoperato per qualcun altro. L’organo era danneggiato, una parte essenziale della filtrazione non funzionava bene. Ho pensato che il processo potesse essere reversibile». Allora si deve salvare quell’organo che a Ray non serve ma può salvare qualcun altro. Viene individuato il secondo ricevente: Erwin Gomez. Non a caso è un medico, ha 66 anni e cinque figli, i reni rovinati dal diabete mellito, è allo stadio finale. Ma anche Gomez ha i suoi dubbi: come sarà un rene di terza mano? Poi dice sì, conscio di rischi e possibilità.

L’intervento avviene il 30 giugno 2011, espianto da Ray e ri-trapianto su Erwin. Va tutto bene. E Gallon ricorda: «Sembrava incredibile, quel rene danneggiato ha cominciato a funzionare da subito e a guarire, lo vedevamo giorno dopo giorno. Non me lo aspettavo. Però confermava la mia ipotesi». Tutto bene anche ora, otto mesi dopo. «Mi sento un miracolato», ha dichiarato Gomez, uomo di scienza obnubilato dalla felicità. Solo ora, dopo otto mesi di controlli, Lorenzo Gallon comunica cos’è successo.Solo dopo otto mesi parla anche Ray Fearing, al quale un rene è stato dato e tolto: «Sono contento di aver fatto parte di questo passo avanti, sono felice di aver aiutato un altro malato. Verrà anche il mio giorno». Intanto è tornato in dialisi e aspetta un donatore.

Questa la storia, che ha confini scientifici e medici precisi, ma che ha scatenato i media americani e non solo. Il giorno dopo la pubblicazione sul New England Journal of Medicine, la stampa americana, ma anche sudamericana e canadese, ha subissato Lorenzo Gallon. Prima è arrivata, ovviamente, la Cnn. Il messaggio alla fine è stato: si possono riciclare gli organi, una grande notizia perché le liste d’attesa sono infinite, i donatori pochi e «prima i medici buttavano via gli organi rigettati». Non è proprio così, ma resta il fatto assolutamente unico, prima volta nella storia della medicina, che un organo prelevato da viventi è servito due volte, anzi tre visto che c’è anche il donatore.

Il medico padovano non ama le esagerazioni giornalistiche: «Ricordiamoci innanzitutto che per noi medici il trapianto su Ray è stato un fallimento. Il nostro obiettivo deve essere sempre la riuscita dell’intervento. Solo quando abbiamo esaurito tutta la parte terapeutica possiamo pensare a qualcos’altro». Certo, si è aperta una nuova possibilità. Dice Gallon: «L’anno scorso abbiamo gettato via cinque reni, forse avrebbero potuto essere riutilizzati. Potrebbe succedere per tre, quattrocento reni ogni anno negli Stati Uniti». Lorenzo Gallon ha aperto una finestra nuova, una possibilità che probabilmente non inciderà sui grandi numeri dei trapianti, ma che è importantissima per un progresso della mentalità di chi i trapianti li fa. È il commento del professor Paolo Rigotti, un’autorità in materia: è responsabile del Centro trapianti rene e pancreas dell’Azienda ospedaliera di Padova, è a capo del Norditalia Transplant, la rete che coordina i centri trapianti dell’Italia settentrionale. Bene, dice Rigotti: «Bravo Lorenzo Gallon, ha introdotto una novità in uno dei pochi casi in cui è possibile. L’ha permesso proprio la patologia del primo ricevente, in pratica la recidiva della glomerusclerosi. Ma il caso rappresenta una vera novità». E’ evidente la cautela: soprattutto quella di non far credere che un rene “inutile“ si possa riciclare comunque. Dice Rigotti: «Anche in caso di rigetto noi facciamo di tutto per mantenere l’organo in funzione nel ricevente. Continuiamo con le terapie immunodepressive, l’obiettivo è che il nuovo rene funzioni, anche se non benissimo. Un paziente in queste condizioni può andare avanti per anni».

Gli fa eco il dottor Giuseppe Piccolo, anche lui del Norditalia Transplant : «Da Gallon ci viene uno stimolo: mettere sempre in discussione tutto, non dare mai nulla per assodato. Per dire, Einstein non sarebbe Einstein se non l’avesse fatto. Il caso americano ci può far cambiare mentalità».

Da notare che casi di questo tipo sono già avvenuti in Italia: ma erano da cadavere. Esempio classico: un trapiantato muore per altre cause e si “recupera” il rene che gli era stato donato per trapiantarlo ancora. Ma da vivente non era mai successo.

Altri casi negli Stati Uniti: tra il 1987 e il 2005 sono stati riciclati undici fegati, nel 2009 un cuore a Boston, negli anni ’90 un rene in Spagna e un cuore in Svizzera. Ma sempre da trapiantati morti. Tecnicamente, in medicina lo chiamano “retransplant”. Gallon ha quindi preso una decisione difficile: privare il primo ricevente della sua speranza, anche se speranza in realtà non c’era. In realtà, i risultati non stanno soltanto nel felice esito del trapianto su Erwin Gomez.

Tutto il processo ha permesso di conoscere meglio il meccanismo della FSGS, di aggiungere conoscenze per provare comunque a salvare l’organo ricevuto dal primo paziente. Perché quello resta l’ovvio obiettivo dei medici.

Scremato dall’enfasi mediatica, il risultato scientifico è davvero importante. Perché magari non muoverà i terribili numeri delle statistiche (negli Stati Uniti, 73 mila persone in lista d’attesa; in Italia, dati del 26 febbraio scorso, 6542), ma indica una possibilità in più per non perdere un organo che si può riutilizzare. Per il malato, e anche per l’équipe che lo segue, il suo caso non è nella statistica. E’ il “suo” caso, perché è la sua pelle.

 

 

di Paolo Coltro

da Il Mattino di Padova