Obesità e sovrappeso, un’epidemia da affrontare a 360 gradi

Un problema mondiale. L’obesità viene oggi considerata il disturbo metabolico più diffuso nei paesi industrializzati occidentali, ma il sovrappeso è ormai un problema globale.

Secondo stime dell’Organizzazione Mondiale della Sanità relative al 2003, gli adulti in sovrappeso (considerando come valore soglia un indice di massa corporea superiore a 25) sono più di un miliardo, di cui almeno trecento milioni clinicamente obesi. Gli studi condotti su ampie popolazione dimostrano infatti che l’incremento ponderale si associa al rischio di andare incontro ad alcune forme tumorali (come quelle del colon e della mammella), facilita l’insorgenza del diabete e dell’osteoporosi e soprattutto aumenta il rischio di andare incontro a malattie cardiovascolari, perché l’aumento del peso corporeo favorisce mutamenti nei valori del colesterolo e degli altri lipidi nel sangue, con conseguente incremento del rischio aterosclerotico.

In Italia? Secondo le ultime ricerche, in media un italiano su dieci è obeso, in Italia l’obesità cresce al ritmo del 5 per cento l’anno, è più frequente tra le donne, tra le persone di cultura medio-bassa e nelle regioni meridionali. Non solo: meno della metà degli adulti – solo il 38 per cento degli uomini e il 44 per cento delle donne – si trova in condizioni di normalità del peso. Secondo l’ultimo Rapporto sull’Obesità in Italia a cura dell’Istituto auxologico, oltre il 30 per cento delle donne ultracinquantenni ha problemi di peso e l’80 per cento di queste ha anche problemi di ipertensione. Non solo: in Italia meno della metà degli anziani di entrambi i sessi sono in condizioni di peso normali e con l’avanzare degli anni l’obesità colpisce in modo importante anche le donne. L’obesità si associa poi a patologie come cardiopatie, diabete, alcune neoplasie e osteoartrosi e in definitiva a una minore speranza di vita: i giovani adulti con un indice di massa corporea (BMI) di 35 o più hanno una riduzione dell’aspettativa di vita di 8-13 anni.

La diversità del tessuto adiposo. Oggi si è capito anche che non tutti i tipi di grasso sono uguali. E’ stato infatti dimostrato che i maggiori effetti negativi sul metabolismo – con un incremento dei rischi per l’apparato cardiovascolare – sono esercitati dal grasso viscerale, quello che si accumula nell’addome e che può essere messo in correlazione con la classica “pancia”. Esso rappresenta da solo un fattore in grado di aumentare il rischio cardiovascolare, indipendente dall’età e dall’indice di massa corporea. L’obesità addominale non è un problema estetico e rappresenta un fattore di rischio cardiovascolare su cui agire modificando lo stile di vita. Anche la dieta finalizzata solo a sciogliere il grasso dei glutei può essere negativa, se non inserita in un cambiamento delle abitudini, perché quando si cessa il regime dietetico si riprende peso e il grasso si può accumulare a livello addominale, assumendo connotazioni molto più negative.

Le contromisure. Un’alimentazione corretta associata a un’attività fisica regolare rappresentano la base per ridurre l’adiposità, specie se concentrata a livello addominale, con le sue conseguenze endocrino-metaboliche. Un calo ponderale del 5-10 per cento riduce significativamente i principali fattori di rischio cardiovascolari, come i trigliceridi, il colesterolo-HDL e la resistenza all’insulina. In ogni caso, il problema del sovrappeso e soprattutto dell’obesità è molto serio e di prognosi complessa e va affrontato sul fronte sanitario fin dall’adolescenza. In Italia aumenta il numero di bambini e bambine, ragazzi e ragazze obesi: e se è vero – come è vero – che chi è obeso da giovane ha fino a 80 probabilità su 100 di esserlo anche da adulto, nel futuro della nuova generazione c’è una diffusione sempre maggiore della malattia. Chi è obeso da giovane ha molte più probabilità di avere negli anni seguenti un’obesità complicata.

L’impegno sociale. Purtroppo la cultura contemporanea percepisce ancora l’obesità come un semplice problema estetico anziché – com’è in realtà – come una vera e propria malattia. Per questo bisogna insistere su un programma di educazione alimentare e di movimento. L’impegno che la società deve sostenere è naturalmente quello di porre rimedio a questa situazione: innanzitutto curando i soggetti obesi in strutture adeguate e con protocolli d’intervento all’avanguardia, ma anche attraverso la prevenzione, che può attuarsi con azioni indirizzate alla popolazione in generale oppure mirate agli individui a rischio. A fianco delle campagne di informazione, quindi, è importante individuare i singoli soggetti a rischio e intervenire precocemente: ecco la necessità – e l’opportunità, in un paese con la scuola dell’obbligo – di interventi anche a livello scolare in collaborazione con i genitori.

 

 

di Michele Carruba
Ordinario di Farmacologia
Direttore del Centro Studi e Ricerche sull’Obesità
Università di Milano

da cardiometabolica.org

 

gennaio 2008