Napoli -Sorrento a nuoto, con il diabete

«Il diabete non è un limite». Monica Priore, una bella ragazza di 34 anni che combatte il diabete di tipo uno da quando aveva cinque anni, lo dice forte e chiaro. E lo ha appena dimostrato nei fatti, con un’impresa che la maggior parte di noi, con o senza diabete, non sarebbe capace nemmeno di immaginare: andare a nuoto da Capri a Meta di Sorrento.

Venti chilometri di bracciate, la traversata più lunga mai tentata in Europa da un diabetico. L’impresa, durata circa sette ore, era tra le iniziative promosse dagli organizzatori della Capri-Napoli, la gara di Coppa del mondo di nuoto di fondo giunta alla 45esima edizione. Ancora una volta la determinazione della ragazza di Mesagne (Brindisi) ha avuto ragione di tutte le avversità. Monica ha trovato mare molto mosso sin dalla partenza dall’isola azzurra, avvenuta poco dopo le 10, partenza data al lido Le Ondine e non al Club Nettuno a causa delle avverse condizioni del mare. Condizioni che hanno accompagnato la nuotatrice per tutta la prova, terminata poco prima delle 17 al lido Resegone di Meta di Sorrento, dove ad accoglierla c’erano tanti tifosi e amici giunti dalla Puglia oltre a numerosi sportivi campani. E i genitori, «a cui dedico questa impresa», ha precisato la ragazza.

21 CHILOMETRI – Monica Priore ha sofferto per tutti i 21 chilometri che dividono l’isola di Capri da Meta: «L’inizio e la fine sono stati i momenti più difficili – spiega -. Nel mezzo tante avversità che però non mi hanno fermata. Sono stata costretta ad alcuni stop momentanei per problemi allo stomaco ma di ritirarmi non ho mai pensato». Arrivare in fondo però non è mai stato il suo vero obiettivo: «Il mio scopo è dimostrare al mondo che il diabete non è un ostacolo: imparando a gestirlo si può fare una vita normale. La mia vittoria è sentir dire dai genitori dei bimbi diabetici che i loro figli, sapendo che cosa faccio io, trovano il coraggio per vivere e sentirsi come gli altri». Monica ci ha messo parecchio a diventare l’atleta combattiva e vincente che è oggi. A cinque anni era l’unica bambina seguita dal centro di diabetologia di Brindisi, gli altri erano anziani con diabete di tipo due. Si sentiva emarginata, diversa e la rabbia cresceva con lei: Monica rifiutava la malattia e le cure, è arrivata alle soglie dell’adolescenza carica di voglia di rivincita.

LO SPORT COME CURA – Lo sport è stato la sua “cura”. «A 11 anni ho iniziato a giocare a pallavolo: più il medico mi diceva che non era l’attività giusta per me, perché bruciavo troppi zuccheri troppo in fretta, più mi intestardivo a continuare – racconta Monica -. Per partecipare alle gare, però, avrei dovuto avere il certificato per l’attività agonistica. Nessuno voleva assumersene la responsabilità, io ero sempre più delusa e arrabbiata. A 17 anni sono entrata in piscina». Non ne è più uscita, anche se per accedere alle prime gare ha dovuto “barare”: «Ho sostenuto la visita per il certificato agonistico senza dire al medico del mio diabete. L’ho ottenuto e il medico mi ha fatto perfino i complimenti: non sono fiera di aver nascosto la malattia, ma era l’unico modo per combattere i pregiudizi. Qualche anno fa era praticamente impossibile trovare un diabetologo che desse il via libera per l’attività agonistica, lo sport era considerato tabù». Oggi il certificato di Monica porta anche la firma di un diabetologo e i suoi successi sono serviti a rassicurare molti, dimostrando che anche un diabetico può gareggiare. E vincere: alla sua prima competizione regionale Monica si è aggiudicata un bronzo e oggi disputa dieci, dodici gare all’anno contro atlete “normali” che spesso restano dietro di lei.

L’IMPRESA – «Competere sullo stesso piano di tutti è stata la mia rivalsa sulla malattia. Poi ho iniziato a pensare che dovevo fare qualcosa per gli altri, per dar loro la stessa forza che ho trovato io in me stessa». Così il 21 luglio del 2007 ha attraversato lo Stretto di Messina, ora ha percorso un tratto di mare quasi cinque volte più lungo: negli occhi dei tanti diabetici che sono arrivati da tutta Italia a sostenerla e festeggiarla c’era gioia perché l’impresa di Monica è la prova tangibile che un diabetico è davvero come gli altri, anzi può perfino osare dove solo i super-atleti hanno successo. Sentirsi in grado di vivere una vita “normale” infatti non è così scontato, per chi si trova alle prese con iniezioni quotidiane di insulina, misure della glicemia, conte dei carboidrati. «Non esiste un diabetico che accetti serenamente la diagnosi. Ancora oggi c’è chi si lascia morire perché rifiuta l’insulina: l’anno scorso è accaduto a tre ragazzini. Di fronte a tutto questo e ai pregiudizi insensati che ancora ci circondano e ci rendono la vita difficile, nello sport ma anche sul lavoro, io mi arrabbio oggi come ieri: è per questo che mi impegno nelle mie traversate – spiega Monica -. Io non sono superman: ho le crisi ipoglicemiche, mi devo controllare la glicemia 12 volte al giorno. Ma ho imparato a conoscere e a gestire la mia malattia e non permetto che sia lei a prendere il sopravvento sulla mia vita».

 

 

 

di Elena Meli

da Corriere.it Salute/Disabilità