Mezz’ora di cammino

4 milioni attuali di italiani con diabete sembrano destinati a diventare 6 milioni nei prossimi 15 anni: più di uno ogni 10 abitanti. La stragrande maggioranza di questi soggetti hanno il tipo 2, una condizione quasi costantemente associata ad aumento del peso, ridotta attività fisica, dieta ricca in grassi.

Una volta tipico della età adulta e avanzata, oggi questo diabete non risparmia giovani e adolescenti. Ma vi sono alcune considerazioni che ci devono far guardare in modo meno drammatico a questa situazione. Infatti, se anche di epidemia si tratta, le armi per arginarla ci sono, ma la loro messa in atto richiede un impegno di individuo e società.

La ripresa di una moderata ma costante attività fisica (30 minuti di passeggiata a passo spedito almeno 5 giorni alla settimana), una riduzione del 5-10% del peso corporeo, una minor introduzione di zuccheri a fronte di un maggiore consumo di fibre sono manovre semplici ma efficaci. La loro adozione – è dimostrato – riduce del 60% il rischio di sviluppare diabete nei soggetti a rischio.
Ovvero chi ha un parente di primo grado con diabete, è in sovrappeso, ha elevati livelli ematici di colesterolo e/o di trigliceridi, ha già avuto alterazioni anche modeste della glicemia, è iperteso e le donne che hanno avuto il diabete in gravidanza o hanno partorito figli con peso alla nascita superiore ai 4 kg. Infine, al di sopra dei 45 anni è raccomandabile per tutti un controllo della glicemia, da ripetere ogni 3 anni se normale. Per tutti gli altri un consulto medico e un’azione di verifica dello stile di vita.
Garantire nel diabete di tipo I, ma anche di tipo 2, livelli di glicemia quanto più vicini alla normalità vuol dire ridurre significativamente il rischio di complicanze e quindi garantire un’efficienza e una qualità di vita simile a quella del soggetto non diabetico.

IL CASO SARDEGNA

La situazione italiana, per quanto riguarda il diabete tipo 2, è simile a quella del resto d’Europa, così da giustificare il recente invito alla Comunità Europea da parte della Federazione Internazionale del Diabete affinché si mettano in atto modelli di prevenzione comuni.

Diversa è la situazione per il diabete Tipo I, malattia che si caratterizza per la distruzione totale delle cellule che producono insulina per cause autoimmunitarie. In questo caso la mancata produzione dell’ormone impone l’apporto esterno tramite più iniezioni giornaliere di insulina al fine di controllare la glicemia nell’arco della giornata. Questa forma di diabete che caratteristicamente, anche se non esclusivamente, tende a manifestarsi in età pediatrica o giovanile, presenta una spiccata frequenza in Sardegna, frequenza che è 5-6 volte più alta rispetto alle altre regioni e pari solo, in Europa, a quella della Finlandia.

I motivi dell’alta incidenza della malattia non è ancora nota, ma è probabile che l’isolamento, nel vero senso della parola, abbia portato alla selezione di un particolare corredo genetico che, in particolari condizioni ambientali, sfocia in una maggiore suscettibilità nei confronti della malattia. Purtroppo, sfugge anche l’elemento ambientale responsabile dell’inizio del processo che porta alla distruzione delle cellule del pancreas produttrici di insulina. Tutti quelli sinora vagliati (alimentazione, disinfestanti, etc.) non hanno trovato conferme. Per questi soggetti, quindi, rimane la terapia con insulina in dosi multiple, i microinfusori sottocutanei e, in casi selezionati, il trapianto di pancreas.

 

 

 

Di STEFANO DEL PRATO
Dir. Mal. Metaboliche e Diabetologia, Dip. Endocr. Metab. Un. Pisa

Tratto da “Salute” supplemento de La Repubblica” del 16.03.06