La mia rivincita

E’ iniziato tutto con “l’esordio”.
Anzi no: e’ iniziato tutto ancora prima dell’esordio, non saprei dire realmente quando. 
Era il gennaio del 1980, io avevo solo due anni e quattro mesi.
Mia madre, donna perennemente attenta e apprensiva al punto giusto, rimase colpita dal mio continuo quanto mai insolito “straripare di urine” dal pannolino, e intuí immediatamente che qualcosa non andava in me.
Al tempo lei, ancora 22enne, non aveva il men che minimo barlume di cosa potesse mai essere il diabete e, sebbene io non mostrassi alcun altro sintomo eccetto quel continuo urinare, decise di portarmi immediatamente al pronto soccorso del Santo Bambino a Catania.
Una volta al cospetto del medico, espresse chiaramente la sua preoccupazione per quelle incontenibili urine che non solo la costringevano ripetutamente a cambiarmi il pannolino diverse volte durante il giorno e la notte, ma che strabordando dal pannolino, inondavano a macchia d’olio il materasso. 
Il medico, il dott. F., scrutandomi velocemente da vicino, esclamò ad alta voce: “Ah, queste giovani mamme di oggi! Stanno sempre a preoccuparsi continuamente per i propri figli… mia bella signora, ma non vede che colorito roseo ha suo figlio in viso?”. E sbuffò in una risata.
Mia madre quindi si sentì sollevata.
Era vero: io avevo un colorito roseo nel mio viso, è rimasto per sempre scritto nei referti medici.
Sicuramente il lasso di tempo che era trascorso dall’insorgere della malattia al suo primo palesarsi esplicitamente attraverso l’unico e solo sintomo del continuo urinare, doveva essere stato brevissimo: il diabete infatti, insorge ancora prima del suo esordio, scaraventandosi silenziosamente e all’improvviso contro le cellule Beta del pancreas, per poi continuare a covare silente, in quiescenza, come un famelico predatore che mimetizzato dentro il nostro corpo rimanga in agguato, pronto ad azzannare al momento più opportuno la sua preda per poi poterla inghiottire.
Dopo aver raccolto ed esaminato le mie urine, il Dott. F. si precipitò con fare concitato da mia madre e… con voce strozzata, soffocata e dimessa – si sentiva forse “leggermente” in colpa per la risata fatta poco prima? – ma allo stesso tempo urgente, disse a mia madre: “Signora dobbiamo ricoverare immediatamente il bambino”.
Io, non ricordo nulla di tutto ciò: sono trascorsi trentotto anni, quasi tutta la mia vita. 
Ho vissuto la scena milioni di volte nella mia mente, cercando di riuscire a ricostruire qualche particolare attraverso i racconti di mia madre, ma non riesco a rievocare nulla.
La mia vita, quindi, inizia da diabetico.
Parlando di me stesso, mi viene molto più spontaneo e naturale dire “io sono diabetico tipo 1” piuttosto che “io ho il diabete tipo 1 “. Forse perché il diabete è stato con me da sempre, una parte inscindibile del mio essere e della mia vita: non ricordo un “prima”, una vita che fosse “altra”, senza diabete.
Per me, il diabete non e’ stato una malattia che, sopraggiunta improvvisamente, abbia diviso un “prima” da un “dopo” nel corso della mia esistenza.
Il diabete per me, ad oggi, e’ … l’ unica e sola realtà che io conosca, il mio unico e solo metro di confronto: non posso sapere cosa significhi veramente “viverne senza”.
Perché ne parlo ancora dopo quasi 40 anni?
Sicuramente il diabete mi ha segnato, lasciando un solco profondo e indelebile nel mio essere, oltre alle milioni di cicatrici sul mio corpo.
Sono cresciuto con la paura dell’irreversibile, dell’indelebile. Con la paura dell’inaspettato, dell’imprevisto.
Ho paura delle cicatrici, del non ritorno.
Tuttavia, sebbene il diabete sia diventato per me una “condizione dell’essere” oltre che malattia metabolica, spero che presto, magari tra alcuni anni a venire, tutti i giovani che sono incorsi in questa complessa e difficile realtà, possano viverlo solo come “brutto ricordo” del passato, un periodo di transizione della loro vita dopo il quale c’è stato poi … “molto altro”.

Allora, mi sarò preso anch’io la mia rivincita.

 

di Orazio Greco