Il trapianto di rene e/o pancreas nel paziente diabetico in fase uremica

I trapianti di pancreas costituiscono l’unica concreta opportunità di realizzare stabilmente l’insulino-indipendenza nei pazienti diabetici di tipo 1. A lungo termine il ripristino dell’euglicemia può prevenire l’insorgenza, rallentare il decorso, e talora migliorare le complicanze secondarie del diabete, aumentando la qualità di vita dei pazienti e prolungandone la sopravvivenza. In particolare il trapianto di pancreas e rene, rispetto sia alla dialisi che al trapianto di solo rene, prolunga la spettanza di vita del paziente (rispettivamente, in media, di 15 e 10 anni). Gli effetti benefici dei trapianti di pancreas sono tanto più tangibili quanto meno avanzate, e quindi irreversibili, sono le complicanze secondarie del diabete. Il trapianto di pancreas e rene dovrebbe essere realizzato quanto più precocemente possibile, auspicabilmente prima dell’inizio della dialisi o subito dopo. Il trapianto renale da donatore vivente, eventualmente completato con un trapianto di pancreas da donatore cadavere (simultaneo o successivo), costituisce un’opzione terapeutica ulteriore che, fino ad oggi, nel nostro Paese è stata valorizzata solo in parte.

Il trapianto di solo pancreas offre concreti benefici ad un gruppo ben selezionato di diabetici tipo 1 non nefropatici o con danno renale limitato. Il trapianto di solo pancreas può migliorare il decorso della nefropatia diabetica.

INTRODUZIONE

Quarant’anni dopo la prima applicazione nell’uomo (1) il trapianto di pancreas (TP) rimane l’unica terapia che ottiene, in modo riproducibile e duraturo, l’insulino-indipendenza nei pazienti diabetici di tipo 1 ( 2 ). Il TP, infatti, reintegrando il patrimonio beta-cellulare del paziente ripristina a pieno la fisiologia del metabolismo glucidico ( 3 ).

Le altre forme di terapia sostitutiva del diabete tipo 1, pur potendo realizzare, occasionalmente e spesso transitoriamente, l’insulino-indipendenza (trapianto di isole di Langerhans) (3-5) o migliorare il controllo metabolico (terapia insulinica intensiva) (6-10), non ripristinano la normale fisiologia glucidica. Infatti, ad esempio, nel trapianto intraepatico di isole di Langerhans non è evidente la secrezione di glucagone che le cellule alfa normalmente dispongono in risposta all’ipoglicemia (3, 11-13). D’altronde, la terapia insulinica intensiva si associa ad un aumento del rischio di ipoglicemia severa, che cresce con il migliorare del controllo metabolico nella misura del 26% per ogni riduzione del 10% della concentrazione dell’ HbA 1 C, rispetto al valore di partenza ( 10 ). Inoltre, senza uno schema dietetico adeguato ed un programma di attività fisica aerobica (14), la terapia insulinica intensiva produce un aumento della massa grassa corporea (6) che, soprattutto nel diabetico, è dannoso per l’insulino-resistenza che ne consegue (14, 15) e per l’aumento del rischio cardio-vascolare (16, 17).

La normalizzazione del metabolismo glucidico ottenuta con il TP può tradursi, come in grado minore già evidente per il controllo glicemico ottimale (6-10, 18, 19), in un decorso più favorevole delle complicanze croniche del diabete che, in relazione al danno basale, possono anche regredire, del tutto o in parte (18, 20-46). Questi risultati si associano sia ad un miglioramento della qualità della vita (47), che ad un allungamento della spettanza di vita (48-56). Nel diabetico con nefropatia conclamata il TP associato a quello di rene produce benefici ancora maggiori, soprattutto in relazione al deciso peggioramento della qualità della vita e della prognosi associati alla nefropatia diabetica (20, 57-60) ed alla dialisi (20, 52-57, 61).

Di seguito vengono presentate le principali opzioni di TP disponibili per i pazienti diabetici ed uremici, incluso il loro impatto sull’evoluzione delle complicanze croniche del diabete, facendo riferimento sia all’esperienza Internazionale che a quella del Centro Trapianti dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana.

 

TRAPIANTO DI SOLO RENE, DI PANCREAS DOPO RENE, E DI PANCREAS-RENE

Nel paziente diabetico la nefropatia aumenta decisamente il rischio cardiovascolare ben prima dell’inizio della dialisi (20, 58-65). Infatti, la proteinuria aumenta di 15 volte l’incidenza di coronaropatia, rispetto ai diabetici non proteinurici, e determina un rischio di morte di circa 40 volte superiore, rispetto alla popolazione generale (58, 60). Infatti, il tasso di mortalità a 5 anni, dopo 30 anni di diabete, è di 11% senza proteinuria, di 26% con microalbuminuria, di 44% con proteinuria, e di 71% con insufficienza renale conclamata (20).

Per il paziente diabetico con proteinuria, ma non ancora in insufficienza renale cronica, il trapianto di solo pancreas è in grado di ridurre la proteinuria (23), potendo anche determinare la regressione della proteinuria nefrosica (22). Questi benefici, in un follow-up di medio termine, non si associano ad un’accelerazione della progressione del danno funzionale renale (23). Per il diabetico in insufficienza renale cronica, in trattamento conservativo (clearance della creatinina < 30 ml/min) o sostitutivo), è necessario almeno il trapianto di rene che dovrebbe essere realizzato prima dell’inizio della dialisi, o subito dopo (57) . Infatti, nel diabetico, il trapianto renale pre-dialisi riduce di oltre la metà sia il rischio di funzione ritardata che di rigetto aumentando, in modo proporzionale, la durata della funzione del rene e la spettanza di vita del paziente (57). Il TP associato a quello di rene prolunga ulteriormente e significativamente la spettanza di vita del paziente (48-56) e ne migliora la qualità di vita (47). Il TP e di rene è quindi considerato salvavita, nel medio-lungo termine, e la miglior opzione terapeutica attualmente disponibile per i pazienti diabetici ed uremici.

Trapianto di solo rene (KTA)

Anche nel paziente diabetico e uremico il trapianto renale è la migliore terapia sostitutiva della funzione renale (57). Infatti, rispetto alla dialisi, il trapianto di rene riduce il rischio di morte di circa il 73% (p< 0.001) ed incrementa la spettanza di vita di circa 11 anni (17 anni per i pazienti di età compresa fra 20 e 39 anni) (61). Il trapianto di rene da donatore vivente è la prima opzione terapeutica nel paziente diabetico dal momento che elimina il periodo di attesa, è programmabile, spesso è realizzato con alto grado di compatibilità HLA, e, soprattutto, si associa ad un ulteriore e considerevole incremento della durata della funzione renale e della spettanza di vita (57). Infine la donazione da vivente offre la possibilità di “condizionare” il ricevente in caso di immunizzazione ( 66, 67 ) e/o di accedere a programmi di donazione crociata ( 68-70 ). Inoltre, la donazione da vivente consente di affrontare l’incompatibilità di gruppo sanguigno, mantenendo elevate possibilità di successo a lungo termine (67, 71-73 ).

Tuttavia, il trapianto di solo rene, non correggendo il diabete, non tutela dalla possibilità di recidiva della nefropatia diabetica (fino a 100% in 4 anni) (74-78) ed ha una prognosi “quoad vitam” peggiore rispetto al trapianto di pancreas e rene (48-56). L’opzione migliore è quindi quella del trapianto simultaneo di pancreas e rene. In alternativa, al trapianto di rene può fare seguito uno di pancreas, oppure un trapianto di rene da donatore vivente può essere associato, nello stesso intervento, ad uno di pancreas da donatore cadavere (79, 80).

Trapianto di pancreas dopo rene (PAK)

Il trapianto PAK è eseguito con frequenza crescente e oggi costituisce circa il 25% di tutti i TP. Spesso il PAK completa un trapianto renale da donatore vivente, ma può essere realizzato anche dopo trapianto di pancreas-rene (SPK), se viene persa la funzione del graft pancreatico. La sopravvivenza del paziente ad 1 anno è simile a quella del SPK mentre l’insulino-indipendenza, pur in miglioramento, resta di poco inferiore (81).

In teoria tutti i diabetici di tipo 1 che hanno un trapianto renale funzionante dovrebbero avere anche un PAK. In pratica l’opportunità di aggiungere un trapianto PAK dipende dal rischio operatorio del ricevente, dal rischio immunologico (livello di anticorpi anti-HLA) e dalla funzione del graft renale. Il livello di funzione renale, infatti, è rilevante sia per la sopravvivenza del paziente che per la prognosi del graft renale. In realtà questi due elementi sono strettamente legati. Infatti, dopo trapianto PAK ad una funzione renale sub-ottimale corrisponde un aumento del rischio di perdita del graft renale cui, a sua volta, è legato un aumento del rischio relativo di morte del paziente. La tutela della funzione del graft renale è quindi molto importante e deve essere ben valutata nella pianificazione terapeutica. D’altronde, a medio-lungo termine, non correggere il diabete oltre a comportare un concreto rischio di recidiva della nefropatia diabetica ha svantaggi considerevoli in termini prognostici (sopravvivenza inferiore del 50% a 10 anni) ( 48 ). Con clearance della creatinina superiore a 60 ml/min/1.73 m 2 il trapianto PAK è opportuno. Per valori compresi tra 60 e 40 ml/min/1.73 m 2 , soprattutto se associati a proteinuria, è necessaria un’accurata valutazione nefrologica, mentre per livelli di funzione inferiori il trapianto PAK è, probabilmente, non opportuno ed, eventualmente, potrebbe essere indicato un trapianto SPK ( 2, 82, 81).

Trapianto simultaneo di pancreas e rene (SPK)

Il trapianto simultaneo di pancreas e rene (SPK) rappresenta l’opzione migliore di trapianto per il paziente diabetico (tipo 1) ed uremico. Idealmente il trapianto dovrebbe avvenire prima della dialisi, ed in realtà quanto prima una volta che il danno renale sia giudicato irreversibile (quindi anche in pazienti in trattamento conservativo e clearence della creatinina relativamente elevata) ( 57 ).

I vantaggi del trapianto SPK sono molteplici, ma quello probabilmente più rilevante riguarda l’incremento di spettanza di vita del paziente che è incrementata considerevolmente rispetto sia alla dialisi che al trapianto KTA (48-56).

Trapianto di pancreas da cadavere e di rene da vivente (SCPLK)

Il razionale per trapiantare simultaneamente un pancreas da donatore cadavere ed un rene da donatore vivente risiede nella disponibilità, relativamente buona, di pancreas da cadavere (83-85), negli evidenti vantaggi del trapianto renale da donatore vivente (57, 86) e nel fatto che, eseguendo il trapianto in un’unica operazione, il ricevente è esposto al rischio chirurgico di induzione dell’immunosoppressione una sola volta anziché due (come nel caso di un trapianto KTA seguito da PAK) (79, 80). L’esperienza con questo tipo di trapianto è ancora limitata, ma i risultati a breve-medio termine sono promettenti (79, 80).

Trapianto di pancreas e rene da donatore vivente (SLPK)

Il trapianto simultaneo di pancreas e rene può essere realizzato interamente da donatore vivente. Questa opzione, attualmente non ancora praticabile in Italia per mancanza di norme legislative specifiche, prevede la donazione di un segmento di pancreas (corpo-coda) e di un rene dallo stesso donatore. Il prelievo di pancreas può essere eseguito anche con tecnica laparoscopica (87). Attualmente, in tutto il mondo sono stati eseguiti circa 150 trapianti di pancreas da donatore vivente (88). Non sono noti decessi dei donatori. Il rischio di diabete (tipo 2) a lungo termine è di circa il 3%, soprattutto se viene mantenuto un BMI < 27 kg/m 2 . I presupposti etici ed i dettagli medici della valutazione del donatore vivente di pancreas sono riportati nelle recenti pubblicazioni della Transplantation Society (88, 89). Il trapianto SPLK è un’utile opzione terapeutica, talvolta l’unica realmente percorribile, soprattutto per i riceventi iperimmuni (88, 90, 91).

 

REGISTRO INTERNAZIONALE DEI TRAPIANTI DI PANCREAS

Il registro internazionale di trapianti di pancreas (IPTR) (www.iptr.umn.edu) raccoglie tutti i TP eseguiti negli Stati Uniti e parte di quelli effettuati nel resto del mondo. Ad oggi all’IPTR sono noti circa 25,000 TP, la maggior parte dei quali sono trapianti SPK.

 

IL CENTRO TRAPIANTI DI PISA

L’attività di TP a Pisa è iniziata il 2 Maggio 1996 e si è sviluppata pienamente a partire dall’anno 2000. Complessivamente, al Dicembre 2006, sono stati eseguiti 245 TP di cui 129 SPK, 27 SCPLK, 19 PAK e 70 di solo pancreas (PTA).

Lo sviluppo di questo programma, che oggi realizza una media di 35 TP/anno ed è stato il più attivo in Italia consecutivamente negli ultimi 6 anni, è stato facilitato da alcune strategie organizzative:

•  in primo luogo, il programma è gestito in modo integrato e paritario da un team di specialisti, che si è aggregato ed organizzato intorno ad un gruppo di diabetologi, da tempo dedicati anche alla terapia sostitutiva trapiantologica del diabete attraverso attività, sperimentale e clinica, di trapianto di isole di Langerhans;

•  inoltre, l’Organizzazione Toscana Trapianti (OTT), riconoscendo la gravità della prognosi del paziente uremico e diabetico (di tipo 1), ha messo in atto un algoritmo operativo che prevede un percorso specifico per l’allocazione degli organi ai pazienti diabetici. Ad essi è infatti assegnato un rene di ogni donatore di età compresa fra i 15 ed i 45 anni. E’ inoltre previsto che il rene possa essere trapiantato con il pancreas, se quest’ultimo è idoneo e/o indicato nel ricevente, oppure come organo solitario (eventualmente seguito da PAK).

 

EFFETTO DEI TRAPIANTI DI PANCREAS SULLA PREVENZIONE ED EVOLUZIONE DELLE COMPLICANZE CRONICHE DEL DIABETE

Nefropatia

Le implicazioni prognostiche della nefropatia diabetica (20, 58-65) sono già state illustrate in precedenza. Quando la nefropatia è evoluta oltre i limiti della reversibilità (dato non sempre di facile determinazione) il trapianto SPK diventa indispensabile. Negli altri casi è possibile che l’insulino-indipendenza ottenibile con il TP possa impedire l’insorgenza della nefropatia diabetica o rallentarne l’evoluzione fino, anche, a determinarne il miglioramento. In effetti, da tempo, è noto che un TP funzionante può determinare la regressione del danno istologico della nefropatia diabetica, ma che ciò si realizza solo dopo alcuni anni (21, 24, 25). Purtroppo è altrettanto noto che gli inibitori di calcineurina, farmaci “base” nei moderni protocolli immunosoppressivi, producono una riduzione del filtrato glomerulare pari al 25% (92) e, nel lungo termine, possono portare all’insufficienza renale cronica anche reni che inizialmente erano istologicamente e funzionalmente normali ( 93 ). Il nostro gruppo ha recentemente dimostrato che il trapianto di solo pancreas produce in paragone alla terapia insulinica, in assenza di un danno funzionale renale, la diminuzione della proteinuria (23) fino a determinare la scomparsa della sindrome nefrosica (22). Tuttavia, quanto peggiore è la funzione renale nativa pre-trapianto tanto maggiore è la possibilità che l’evoluzione della nefropatia subisca un’accelerazione dopo TP. In questo caso, però, in considerazione delle implicazioni prognostiche presentate in precedenza, la scelta non è tra TP e trattamento conservativo della nefropatia, ma piuttosto tra trapianto di solo pancreas e trapianto SPK. Se questo problema viene affrontato dal punto di vista del singolo paziente è chiaro che la scelta migliore, per coloro che hanno una funzione renale “meno che buona”, sarebbe il trapianto SPK. Tuttavia alla luce della carenza di reni, e quindi esaminando il problema anche dal punto di vista di gestire al meglio la “risorsa donazione”, esistono margini concreti per realizzare trapianti di solo pancreas in diabetici con nefropatia non irreversibile, ma danno funzionale già evidente. Tutti coloro nei quali la nefropatia non peggiorerà o migliorerà saranno diventati insulino-indipendenti evitando il trapianto renale. Per gli altri il trapianto sarebbe stato comunque necessario. Se la nefropatia evolverà verso l’insufficienza renale cronica sarà necessario anche un trapianto renale.

Retinopatia

Lo studio DCCT, in cui erano stati inclusi pazienti senza retinopatia (profilassi) o con retinopatia lieve (terapia) ha dimostrato che, dopo un iniziale peggioramento, la retinopatia ha, rispettivamente, un’incidenza minore ed un decorso più favorevole nei pazienti con miglior controllo metabolico (terapia insulinica intensiva) rispetto ai controlli (terapia insulinica convenzionale). Nonostante non sia stato identificato un valore “soglia” per lo sviluppo o il peggioramento della retinopatia, lo studio DCCT ha mostrato che ogni riduzione dei valori di HbA 1 C determina un calo del rischio di insorgenza/,evoluzione della retinopatia, che persiste anche per concentrazioni inferiori a 6.5% (27).

Questi dati suggeriscono che la totale insulino-indipedenza raggiungibile con il TP possa influenzare positivamente sia l’incidenza che l’evoluzione della retinopatia. Tuttavia la maggior parte dei pazienti che hanno ricevuto un TP avevano retinopatia avanzata. Infatti la maggior parte degli studi post-TP è stata effettuata in riceventi di SPK in cui, spesso, la retinopatia è già in stadio proliferante, spesso è laser-trattata, e non di rado ha già comportato una grave perdita di visus fino alla cecità completa. Non è quindi sorprendente che alcuni studi non abbiano documentato effetti positivi dell’insulino-indipedenza sulla retinopatia diabetica estremamente evoluta (94). Altri studi, sempre effettuati su riceventi di SPK, hanno però documentato un beneficio che inizia a divenire evidente dopo 3 anni di euglicemia soprattutto se la retinopatia non era particolarmente evoluta (27, 30-32). L’edema maculare pare risolversi costantemente dopo TP (27).

Più recentemente il nostro gruppo ha documentato gli effetti positivi del TP sull’evoluzione della retinopatia sia non-proliferante che proliferante dopo trapianto di solo pancreas (28) e di SPK (29). Nella nostra esperienza, soprattutto nei riceventi di pancreas isolato (28) , i miglioramenti sono evidenti già durante il primo anno post-TP.

Neuropatia

La polineuropatia è le complicanza cronica più frequente del diabete con una prevalenza che varia dal 34% ad oltre il 90%, in base alla durata della malattia (41) ed all’uso di criteri diagnostici solo clinici o anche strumentali (38). Spesso, la polineuropatia si associa a nefropatia e retinopatia, supportando l’ipotesi che l’iperglicemia sia il meccanismo patogenetico comune (38). Conseguentemente la terapia insulinica intensiva (39, 40) ed il trattamento con inibitori dell’aldolasi reduttasi ( 95, 96 ) producono miglioramenti, sebbene transitori e modesti, della velocità di conduzione nervosa e, talora, dei test funzionali (38). La comparsa e/o la progressione della neuropatia può essere ritardata e/o rallentata mantenendo uno stretto controllo metabolico a lungo termine ( 6, 18 ).

Dopo TP la neuropatia motoria e sensoriale migliora già ad 1 anno, mentre quella autonomica richiede tempi più lunghi (anche 5 anni) ( 38 ). Tuttavia, essendo la neuropatia autonomica legata ad un’elevato rischio di morte improvvisa ( 97-99 ) il miglioramento di questa complicanza è uno degli obiettivi principali del TP. Dal momento che la neuropatia autonomica e somatica riconoscono una patogenesi comune, la presenza di polineuropatia grave può essere considerata un indice prognostico valido (mortalità a 10 anni 49.8%) (38) e costituire quindi una buona indicazione al TP anche nei pazienti senza danno apparente della funzione renale. Questa conclusione è supportata anche dal prolungamento della sopravvivenza che consegue al miglioramento della neuropatia (42, 43, 54). Da questo punto di vista è opportuno sottolineare che, come per le altre complicanze croniche, l’effetto del TP è più evidente se la neuropatia è lieve e che il beneficio prognostico si realizza se il TP è stato funzionante per almeno 3 mesi (38).

I miglioramenti più precoci rilevabili dopo TP sono di natura funzionale mentre la ri-mielinizzazione delle fibre nervose richiede tempi più lunghi (38). La rigenerazione delle fibre nervose è stata documentata dopo 2 anni dal trapianto (45). I pazienti diabetici non uremici, quindi ad uno stadio più precoce di malattia e con neuropatia meno grave, mostrano i miglioramenti più consistenti e precoci (38).

A livello di qualità di vita, i miglioramenti registrati dopo TP (47) sono, almeno in parte, attribuibili agli effetti benefici sulla neuropatia autonomica e somatica (38).

Malattia cardiovascolare/rischio di morte cardiovascolare

La maggior parte dei pazienti diabetici ed uremici, pur asintomatici, candidati a SPK sono affetti da coronaropatia ostruttiva. Il rischio è maggiore per i pazienti di età superiore a 45 anni dove la prevalenza della coronaropatia ostruttiva raggiunge l’80% (100) .

Il rischio di sviluppare malattia cardio-vascolare, e conseguentemente di morte, appare legato in studi epidemiologici al livello di controllo metabolico (101-103). Il trial DCCT, infatti, ha dimostrato che l’incidenza di eventi cardiovascolari è ridotta del 40% con la terapia insulinica intensiva (19).

Per quanto riguarda il TP non esistono studi prospettici e randomizzati sul rischio cardio-vascolare. D’altronde, le molteplici evidenze che i TP prolungano la sopravvivenza rispetto ai trattamenti alternativi, rendono eticamente difficile realizzare un gruppo di controllo omogeneo rispetto a quello di studio. Pertanto, ad oggi, manca una dimostrazione diretta ed inconfutabile che il TP arresti la progressione della malattia cardio-vascolare nel diabetico, pur essendovi numerose evidenze indirette. Infatti, è noto che il trapianto SPK migliora la prognosi rispetto sia al trapianto KTA che alla dialisi. Inoltre sono disponibili studi funzionali che mostrano come il trapianto SPK ha effetti positivi maggiori rispetto al trapianto KTA (35-37). Anche il controllo della pressione arteriosa è migliorato dal trapianto SPK (vs. KTA) ( 104, 105 ).

Il nostro gruppo ha dimostrato che il trapianto isolato di pancreas (vs. terapia insulinica) si traduce già a sei mesi, in un miglioramento del profilo lipidico, degli indici di flogosi, della funzione cardiaca, e del controllo pressorio (consentendo, spesso, di eliminare e/o di ridurre i farmaci anti-ipertensivi) (34).

 

CONCLUSIONI

I TP rappresentano una terapia avanzata del diabete di tipo 1. Per i pazienti diabetici ed uremici il trapianto di pancreas e rene è la migliore terapia disponibile, l’unica in grado di migliorarne chiaramente la qualità di vita e soprattutto di prolungarne ampiamente la spettanza. Attualmente il TP di pancreas è l’unica terapia realmente in grado di rendere insulino-indipendente il ricevente. I trapianti di isole di Langerhans e di cellule staminali, così come i tentativi di rigenerazione del patrimonio beta-cellulare endogeno, rimangono terapie sperimentali che, pur a diverso stadio di evoluzione, rimangono futuribili e non costituiscono ancora un’opzione terapeutica concreta. E’ opportuno infine notare come nessuna di queste opzioni possa prescindere dalla terapia immunosoppressiva, che per le isole di Langerhans è perfino più energica rispetto al TP, mentre per le cellule staminali e la rigenerazione endogena sarà comunque necessaria, anche se probabilmente più blanda, per impedire la recidiva del processo autoimmune di distruzione delle beta-cellule.

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di Ugo Boggi, Fabio Vistoli, Marco Del Chiaro, Carlo Moretto, Stefano Signori 1 , Gabriella Amorese 2 , Massimiliano Barsotti 3 , Piero Marchetti 4 , Gaetano Rizzo 3 , Franco Mosca 1 .

AFFILIAZIONI: Divisione di Chirurgia nell’Uremico e nel Diabetico, Università di Pisa, Pisa – Italy

1 Divisione di Chirurgia Generale e Trapianti, Università di Pisa, Pisa – Italy

2 Divisione di Anestesia e Rianimazione 1, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa – Italy

3 Divisione di Nefrologia e Trapianti, Azienda Ospedaliero-Universitaria Pisana, Pisa – Italy

4 Divisione di Divisione di Diabetologia e Metabolismo, Università di Pisa, Pisa – Italy

 

5 giugno 2007