Il trapianto di isole contribuisce a controllare il diabete : commento del pro. Camillo Ricordi

La prima serie di trapianti di isole che aveva avuto successo, risultando in un prolungato periodo di insulino indipendenza (fino a circa 5 anni), era stata completata dal nostro gruppo (allora a Pittsburgh) nel 1990.
Una delle ragioni per questo successo iniziale era stata il fatto che in questi pazienti le isole erano state trapiantate insieme al fegato e questa combinazione richiedeva una terapia immunosoppressiva moderata e soprattutto senza l’uso cronico di steroidi che si sono poi dimostrati tossici per le cellule insulino secernenti in trials successivi.

Il progresso della terapia anti rigetto nei trapianti di isole e’ stato lento, ma continuo negli anni 90, con i migliori risultati riportati dal San Raffaele di Milano (60% di successo) e dal gruppo di Giessen (40% di successo).
Il gruppo di Edmonton, con il Dr. James Shapiro aveva poi ulteriormente migliorato questi risultati introducendo la rapamicina, un potente nuovo farmaco antirigetto.

Questo trial multicentrico internazionale rappresenta il primo tentativo di standardizzazione di un protocollo di trapianto di isole in diversi centri per vedere se i risultati iniziali ottenuti ad Edmonton fossero riproducibili.
Il dato piu’ importante emerso da questo studio e’ che le isole trapiantate possono funzionare a lungo termine in soggetti con le forme piu’ severe di diabete di tipo 1, normalizzando i livelli di emoglobina glicosilata, e piu’ importante, ottenendo questi risultati nell’assenza di episodi di gravi ipoglicemie (uno dei problemi principali che avevano indicato il trapianto in questi soggetti).

Tuttavia, l’inabilita’ di ottenere insulino indipendenza in tutti i pazienti trapiantati e la progressiva diminuzione di funzione insulare di questi trapianti nei primi anni dopo il trapianto indicano chiaramente che questo tipo di terapia antirigetto non e’ ideale.
E’ infatti possibile che questi farmaci che inibiscono la proliferazione cellulare, impediscano anche la replicazione delle cellule produttrici di insulina.
Questa potrebbe essere una ragione per cui un trapianto inizialmente sufficiente a coprire il fabbisogno insulinico, diventi dopo 1, 2, 3 o piu’ anni insufficiente a coprire tale fabbisogno. In queste condizioni i riceventi del trapianto di isole devono reintrodurre una terapia insulinica che solitamente e’ a livelli nettamente inferiori rispetto alle dosi pre-trapianto, indicando che la maggior parte di questi trapianti continua a funzionare, ma a livelli subottimali.
Inoltre non possiamo escludere un ritorno progressivo dell’autoimmunita’ o di una forma di lento rigetto cronico che potrebbero altrettato spiegare la lenta ma graduale diminuzione di funzione negli anni.

Dobbiamo quindi rinnovare i nostri sforzi di ricerca per individuare e sviluppare nuove strategie che ci permettano di trapiantare isole nell’assenza di una terapia immunosoppressiva cronica e allo stesso tempo sviluppare fonti illimitate di cellule insulino secrenenti, non esclusa la possibile rigenerazione di tali cellule da precursori che potrebbero essere gia’ presenti in soggetti con diabete di tipo 1, evitando completamente la necessita’ di un trapianto.

 

Camillo Ricordi, MD

Direttore del Diabetes Research Institute, Universita’ di Miami, Florida, USA e co-leader insieme al Dr. James Shapiro dello studio multicentrico internazionale e inventore del metodo (Automated Method, Ricordi Chamber) per l’isolamento delle isole pancreatiche adottato dai centri partecipanti nello studio

8 ottobre 2006