Il TIR dovrebbe sostituire l’emoglobina glicata come endpoint primario negli studi clinici?

La gestione del paziente diabetico ha tratto numerosi benefici dall’utilizzo del monitoraggio continuo del glucosio e dalla valutazione della glicemia attraverso la misurazione del Time in Range, un parametro ritenuto più funzionale rispetto all’emoglobina glicata. Resta da capire se dovrebbe sostituirla negli studi clinici o se le due metriche potrebbero essere complementari.

Time in Range vs emoglobina glicata 
Il Time in Range (TiR) o “tempo nell’intervallo” ​​è la percentuale di tempo che una persona trascorre con i livelli ematici di glucosio in un intervallo target. Varia da soggetto a soggetto, ma le linee guida suggeriscono di iniziare con valori compresi tra 70 e 180 mg/dl.

In un unico numero, il TiR cattura come variano i livelli di glucosio nel sangue nel corso di una giornata o per periodi di tempo più lunghi. Può anche essere inteso come “ore al giorno” trascorse nell’intervallo (un TiR del 50% significa 12 ore al giorno trascorse nell’intervallo). Al contrario i livelli di emoglobina glicata (HbA1c), una misura della glicemia media in un periodo di 2-3 mesi, non sono in grado di catturare il tempo trascorso in vari intervalli ematici di glucosio durante il giorno.

Per determinare il TiR sarebbe opportuno utilizzare i dati sui livelli glicemici rilevati per almeno 14 giorni. Per una misurazione più accurata è bene utilizzare un dispositivo per il monitoraggio continuo del glucosio (CGM), anche se è possibile usare un glucometro (BGM). I dispositivi CGM forniscono un flusso costante di informazioni sulla glicemia, aggiornandosi ogni cinque minuti, in modo da fornire un quadro completo del numero di ore trascorse nell’intervallo target in una giornata, inclusi la notte e la fase postprandiale, che di solito vengono omessi ricorrendo al glucometro.

«La HbA1c non fornisce informazioni utili ad aiutare il paziente o il medico a modificare il trattamento in un modo specifico. Grazie al monitoraggio continuo del glucosio siamo in grado di analizzare le relazioni e le tendenze e possiamo concentrarci sull’opportunità di massimizzare l’intervallo di tempo, ridurre al minimo il tempo al di sotto di quel target o cercare di ridurre la variabilità glicemica» ha spiegato in un’intervista George Grunberger, presidente del Grunberger Diabetes Institute di Bloomfield Hills, Michigan. «Il CGM non è solo un modo per registrare lo stato glicemico, ma è in realtà una guida per il trattamento. Gli studi hanno dimostrato che il solo fatto di avere un paziente che controlla i propri dati sul dispositivo migliorerà il controllo glicemico».

Una metrica non ancora accettata dalla Fda come endpoint primario nei trial clinici
Per le sperimentazioni cliniche il processo di approvazione da parte degli enti regolatori è più complicato. La Fda ha sempre utilizzato l’HbA1c e non ha ancora accettato il tempo nell’intervallo come endpoint primario. L’emoglobina glicata ha il vantaggio di decenni di esperienza nel legame tra la sua riduzione e il miglioramento a lungo termine delle complicanze del diabete.

«Resta da capire quando disporremo di dati sufficienti sulla correlazione tra il TiR e le complicanze del diabete a lungo termine. È una ricerca già in corso, dato che ogni sperimentazione clinica degli ultimi 30 anni ha almeno un sottogruppo di pazienti che utilizzano il CGM» ha aggiunto Grunberger. «Il TIR è un primo passo. La Fda dovrebbe mettere in pratica quanto ha promesso di fare diversi anni fa e rendere le metriche CGM l’endpoint primario. Solo al quel punto sarà possibile decidere, nell’ambito di ogni studio, qual è l’ostacolo normativo per il tempo nel range, il tempo al di sotto del range, la variabilità glicemica e gli esiti riportati dal paziente».

HbA1c e TiR possono completarsi a vicenda nei pazienti che hanno accesso al CGM
L’emoglobina glicata è un biomarcatore molto consolidato del controllo glicemico e un surrogato per valutare l’efficacia delle terapie ipoglicemizzanti, come dimostrato da decenni di dati.

«Il bello del TiR è che si tratta di una metrica relativamente semplice e il vantaggio della tecnologia CGM, ora che è molto precisa e non richiede più la calibrazione del polpastrello, è che viene ampiamente utilizzati nei paesi ad alto reddito nel diabete di tipo 1» ha osservato Elizabeth Selvin, professore alla Johns Hopkins Bloomberg School of Public Health, che ha un approccio più prudente. «La sua utilità nelle persone con diabete di tipo 2 che non assumono insulina, tuttavia, non è ancora del tutto chiara. I dati sono ancora troppo pochi. La HbA1c è una misurazione standardizzata e i laboratori di riferimento collaborano con i produttori per standardizzare i loro metodi, cosa che ancora non avviene per i dispositivi CGM».

«Inoltre i diabetici possono avere difficoltà nell’accesso al CGM già negli Stati Uniti. Ci sono paesi nei quali non è possibile ottenere la misurazione della HbA1c, figuriamoci un dispositivo CGM» ha concluso. «Anche se rimuovessimo tutte le barriere pratiche all’uso di questa tecnologia, il limite principale è che il tempo nell’intervallo non è collegato agli esiti clinici nello stesso modo in cui lo è l’HbA1c. I dati sul diabete di tipo 1 stanno emergendo, ma non rappresenta l’intera popolazione affette da diabete. Servono dati che dimostrino che il tempo nell’intervallo ha un valore superiore alla HbA1c. Fino a quel momento dobbiamo capire come utilizzare queste metriche in modo complementare».

 

da PHARMASTAR

 

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