Il diritto di avere diritti

Note a margine della tutela dei lavoratori invalidi o disabili, del collocamento mirato e delle categorie protette, ovvero della discriminazione diretta ed indiretta dell’invalido o del disabile sul luogo di lavoro o all’accesso del mondo del lavoro.

Ci scrive un giovane, diabetico e inserito tra i lavoratori ex lege 68/1999:
Oggi ho avuto un ennesimo colloquio di lavoro nel mio paese, e mi hanno fatto problemi perché sono diabetico di tipo 1 e iscritto alle categorie protette con la legge 68.
2 giorni prima ho avuto un altro colloquio con una nota agenzia di lavoro interinale che mi ha fatto storie per la mia disabilità. Dopo quest’ultimo episodio sto pensando di togliere dal mio C.V. il fatto che sono disabile civile o di togliermi dalle categorie protette, perché è contro producente…invece di aiutarmi mi sta creando solo problemi”.
Si resta sgomenti di fronte all’ennesima ritrosia nei confronti della “diversità” sia essa invalidità o handicap, al punto di dover necessariamente parlare di discriminazione.
Perché di questo si tratta, di discriminazione non già sul posto di lavoro ma addirittura prima del lavoro, nel momento dell’accesso al mondo del lavoro, che dovrebbe costituire invece il primo passo per l’affermazione di un diritto e non già la prima negazione.
Eppure il giovane non chiede altro che l’applicazione di un diritto, e – cosa ancora più grave – è che la negazione di quel diritto proviene da soggetto qualificato a raccogliere quella domanda di lavoro (“ho avuto un altro colloquio con una nota agenzia di lavoro interinale che mi ha fatto storie per la mia disabilità…”)
Dimentica forse l’agenzia di lavoro interinale che il diabete di tipo 1 non impedisce né il lavoro, né la selezione al lavoro, ma solo alcune ristrette tipologie di mansioni, incompatibili con la patologia e comunque tutte regolamentate per legge e contratti collettivi di categoria, indipendentemente da invalidità o da handicap?
Dimentica che vi è un diritto al lavoro?
Dimentica che la Legge n. 68 del 12.3.1999 è intitolata non a caso “Norme per il diritto al lavoro dei disabili” perché tutela le persone disabili, per favorirne il loro ingresso nel mondo del lavoro?
Dimentica che quella legge prevede un obbligo per il datore pubblico e privato, con più di 15 dipendenti, e che i datori sono tenuti a rispettare l’obbligo di assunzione di una quota di lavoratori disabili?
Dimentica che l’invalidità civile è diversa dalla invalidità al lavoro (meglio, inabilità al lavoro), sicché anche un invalido civile con invalidità superiore al 45%, è comunque abile al lavoro?
Dimentica che ottenuto il riconoscimento dell’invalidità civile superiore al 45% o l’inabilità al lavoro superiore al 33%, e fermo restando il requisito della disoccupazione, i lavoratori disabili devono iscriversi nell’apposito elenco tenuto dagli uffici competenti per il collocamento obbligatorio?
Noi invece non dimentichiamo.
Noi ricordiamo.
Ricordiamo la Costituzione:
Art. 1 – L’Italia è una Repubblica democratica, fondata sul lavoro. La sovranità appartiene al popolo, che la esercita nelle forme e nei limiti della Costituzione
Art. 3 – Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso di razza, di lingua di religione di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.
È compito della Repubblica rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale, che, limitando di fatto la libertà e l’eguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l’effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all’organizzazione politica, economica e sociale del Paese.
Art. 4 – La Repubblica riconosce a tutti i cittadini il diritto al lavoro e promuove le condizioni che rendano effettivo questo diritto. Ogni cittadino ha il dovere di svolgere, secondo le proprie possibilità e la propria scelta, un’attività o una funzione che concorra al progresso materiale o spirituale della società
Art. 35 – La Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni. Cura la formazione e l’elevazione professionale dei lavoratori. Promuove e favorisce gli accordi e le organizzazioni internazionali intesi ad affermare e regolare i diritti del lavoro. Riconosce la libertà di emigrazione, salvo gli obblighi stabiliti dalla legge nell’interesse generale, e tutela il lavoro italiano all’estero.
Art. 36 – Il lavoratore ha diritto ad una retribuzione proporzionata alla quantità e qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa.
Art. 38 – Ogni cittadino inabile al lavoro e sprovvisto dei mezzi necessari per vivere ha diritto al mantenimento e all’assistenza sociale. I lavoratori hanno diritto che siano preveduti ed assicurati mezzi adeguati alle loro esigenze di vita in caso di infortunio, malattia, invalidità e vecchiaia, disoccupazione involontaria. Gli inabili ed i minorati hanno diritto all’educazione e all’avviamento professionale. Ai compiti previsti in questo articolo provvedono organi ed istituti predisposti o integrati dallo Stato. L’assistenza privata è libera.
Noi ricordiamo la Carta dei Diritti Fondamentali dell’Unione Europa:
Art. 21 – “È vietata qualsiasi forma di discriminazione fondata, in particolare, sul sesso, la razza, il colore della pelle o l’origine etnica o sociale, le caratteristiche genetiche, la lingua, la religione o le convinzioni personali, le opinioni politiche o di qualsiasi altra natura, l’appartenenza ad una minoranza nazionale, il patrimonio, la nascita, la disabilità, l’età o l’orientamento sessuale”.
Noi ricordiamo infine che una precisa disposizione di legge – la “nostra” legge – impedisce ogni discriminazione, anche in assenza di complicanze invalidanti:
Art. 8 Legge 115/1987, comma 1:
“La malattia diabetica priva di complicanze invalidanti non costituisce motivo ostativo al rilascio del certificato di idoneità fisica per la iscrizione nelle scuole di ogni ordine e grado, per lo svolgimento di attività sportive a carattere non agonistico e per l’accesso ai posti di lavoro pubblico e privato, salvo i casi per i quali si richiedano specifici, particolari requisiti attitudinali”.
Quanto al quesito posto dal giovane non c’è che una risposta: non eliminare nulla dal tuo curriculum, non omettere nulla e non celare nulla.
Ricorda loro, nei prossimi colloqui di lavoro, che prima di essere diabetico, e prima di essere iscritto nelle categorie protette, sei una persona con pari diritti e, soprattutto, con pari dignità.
Avv. Umberto Pantanella