Ha il diabete, ma sbagliano cura L’assurda storia del piccolo Plinio

Questa è la storia di un bambino, di una diagnosi arrivata tardi, di cure non adeguate, di responsabilità che dopo quattro anni ancora mancano all’appello. Della caparbietà della sua famiglia ad avere «non vendetta ma giustizia». 

E di un sistema che non sembra saper correggere le sue «criticità». Plinio è un bel bambino, sorride sulla pagina Facebook aperta da papà Iacopo per ricordare a tutti cosa può provocare una mancata diagnosi di diabete. Le foto infatti non dicono della sua emiparesi destra, con un tutore fin sopra il ginocchio, dell’occhio da cui non vede, dei problemi cognitivi. 

Ai suoi sembra ieri quando hanno consigliato loro «di fargli dare l’estrema unzione perché era gravissimo, dopo tre arresti cardiaci». Succede tutto a luglio 2009 a Sansepolcro, nell’aretino. Plinio ha solo 18 mesi. La famiglia Ortolani racconta di avere contattato il pediatra di base di domenica, il piccolo beve molto, fa tanta pipì e il suo alito sa di frutta. Il medico, ricorda il padre, «dice di non preoccuparsi» e li rimanda a un controllo l’indomani se non migliora. 

Alla visita «Plinio era senza forze, aveva perso un chilo e mezzo». Il dottore ordina esami delle urine all’ospedale di San Sepolcro. È il primo passaggio paradossale. Il piccolo è rimandato a casa in attesa del referto. Che però viene letto per telefono al pediatra, non da un medico ma da un’impiegata del front office del laboratorio, la quale «riporta il valore di riferimento invece del risultato, e dunque che la glicemia è “assente”, mentre è superiore a 1000, indice di una situazione critica». 

Il pediatra «ci consiglia di mettere a letto Plinio ma poi lo richiamiamo, sta sempre peggio, così lo visita e ci dice di andare al Pronto soccorso dell’ospedale di Città di Castello». Qui subito si ipotizza il diabete. Ma il calvario è appena iniziato. Viene disposto infatti un protocollo di idratazione per una chetoacidosi, «ma con i livelli non adeguati all’età». 

È la sera di lunedì ormai, i sanitari decidono un trasferimento all’ospedale di competenza e cioè a Perugia, dove applicano lo stesso protocollo. Nessuno, accusa la famiglia, «controlla gli esami eseguiti ogni due ore che avrebbero potuto evidenziare l’errore». Quando il mattino dopo un neurologo lo visita nel suo cervello si è formato un edema (un aumento del liquido cerebrale) che compromette il sistema nervoso, Plinio ha ormai bisogno di un reparto di rianimazione pediatrico. Che a Perugia non c’è. Un’ambulanza lo porterà al Meyer di Firenze, in coma, tra mille contrattempi che sono altrettante stilettate al cuore dei genitori. Plinio si salva, «lì abbiamo trovato professionalità e umanità». 

Ma le complicanze del diabete diagnosticato in ritardo gli lasciano deficit cognitivi, visivi e motori. Per sempre. Ogni parola di Iacopo Ortolani trasuda orgoglio per il suo bambino, «non vogliamo commiserazione ma solo quello che è giusto. Ad esempio che Plinio abbia di che vivere quando non sapremo più aiutarlo, non credo potrà lavorare. E che ognuno si prenda le sue responsabilità, non può finire tutto a tarallucci e vino». 

C’è poi la speranza che quanto successo eviti casi simili, «sarebbe bastato che il pediatra eseguisse un test per la glicemia». Ma dopo questi anni, la fiducia comincia ad affievolirsi. La famiglia ha denunciato il pediatra e le tre strutture ospedaliere. La procura di Arezzo affida la perizia a tre medici, nessuno dei quali però – obietta l’avvocato Angela Dell’Osso – è un diabetologo. Arriva la prima archiviazione. 

Gli Ortolani si oppongono, e incaricano come perito il dottor Valentino Cherubini, direttore della Diabetologia pediatrica del Salesi di Ancona. Intanto c’è una seconda archiviazione, «si è riconosciuto che il protocollo di idratazione era scorretto, ma non si ritiene provato che questa sia stata la causa dell’edema. Ora aspettiamo che acquisiscano altri elementi da noi portati. Mentre il 16 ottobre si terrà l’udienza del procedimento civile». 

Eppure l’edema cerebrale è una delle complicanze previste in caso di chetoacidosi da diabete. «Direi che ci sono stati una serie di errori – ricapitola Cherubini -: Plinio è stato idratato con 2500 cc in 24 ore, il suo fabbisogno era di massimo 1400 cc. Il primo punto però è la diagnosi in ritardo, poi c’è stata la lettura degli esami per telefono… e il transito in tre ospedali è inaccettabile, si doveva prevedere che le condizioni potevano peggiorare e inviare subito il piccolo in una struttura con una rianimazione pediatrica. Credo che il nostro sistema sanitario debba riconsiderare la peculiarità delle esigenze pediatriche, in certi casi meglio puntare su grandi centri specializzati. Altrimenti la risposta potrebbe non essere di qualità». 

Possibile che nessuna Asl abbia preso provvedimenti? «Ho accettato questo incarico proprio per far emergere il nesso tra cure non adeguate e danni subiti, soprattutto per migliorare l’organizzazione delle cure. E servirebbero indagini interne alle Asl, per evidenziare e rimuovere le criticità incontrate: posso solo dire che il caso di Plinio non è unico. Purtroppo in Italia l’audit clinico è poco utilizzato». 

Papà Iacopo aspetta. E marcia chilometri: ha cominciato con due amici nel suo paese, ora 120 podisti in tutta Italia e le loro associazioni corrono «per Plinio», per lui e perché non si possano ripetere casi come il suo. Hanno raccolto decine di migliaia di euro, devoluti al Meyer. Come il ricavato del libro di Iacopo, «La forza che ho dentro», cominciato su suggerimento dello psicologo dell’ospedale mentre il figlio era in rianimazione.

 

di Adriana Comaschi

da l’Unità