Gravidanza e microinfusore

Prima di iniziare una gravidanza la donna con diabete dovrebbe raggiungere un perfetto equilibrio glicemico. Un obiettivo arduo che deve essere raggiunto e mantenuto per tutta l’attesa con l’aiuto del Team diabetologico e che spesso richiede l’ausilio della terapia insulinica con microinfusore.

Fino a non molti anni fa, pochi medici consigliavano alle donne con diabete di tipo 1 di iniziare una gravidanza. Troppi i rischi di malformazioni, aborti spontanei o di complicazioni durante il parto.

Non si trattava di un pregiudizio, «in passato non avevamo gli strumenti che possiamo mettere in campo oggi, e per strumenti intendo le insuline, l’autocontrollo glicemico e i microinfusori», afferma Elisabetta Torlone.

Alla donna che desidera avere un figlio, la Diabetologia oggi risponde ‘Sì, ma a una condizione’, anzi due. Che la gravidanza inizi in una fase di perfetto controllo glicemico e che prosegua in modo analogo. Si è visto infatti che il rischio di malformazioni dovute al diabete è inversamente proporzionale al grado di controllo glicemico dal preconcepimento e per tutta la fase ‘di embriogenesi’. Pertanto l’emoglobina glicata ideale nel preconcepimento dovrebbe essere inferiore al 7, meglio al 6,5%, che significa glicemie perfette. «Sono obiettivi ambiziosi», commenta la Torlone, che segue l’ambulatorio gravidanza nella Sezione di Endocrinologia e Metabolismo del Dipartimento di Medicina Interna del Policlinico Universitario di Perugia, «e che comunque non devono essere raggiunti rapidamente».

Infatti, una rapida riduzione dell’emoglobina glicata da valori alti a valori normali aumenta il rischio di sviluppare una retinopatia o di aggravare quella esistente. «Per questa e altre ragioni noi chiediamo a tutte le nostre pazienti in età fertile di programmare una gravidanza con anticipo. È necessario infatti un congruo periodo per mettere a punto e testare uno schema insulinico ottimale, senza tralasciare l’esercizio fisico e l’alimentazione», fa notare la diabetologa nata, laureata e specializzata in Endocrinologia a Perugia.

In questa fase di preparazione è indispensabile rivalutare le complicanze: la microalbuminuria per esempio deve essere tenuta sotto attenta osservazione, perché una positività pregravidanza può associarsi, oltre ai problemi per la madre, anche a un ritardo nella crescita del bambino. «Infatti il peso per ogni età gestazionale, e non solo al parto, deve essere nella norma; se la crescita non è armonica e il peso alla nascita non adeguato per l’età gestazionale, il neonato rischia di sviluppare già nell’adolescenza o nell’età matura problemi metabolici: obesità, insulinoresistenza, diabete e quindi un maggiore rischio cardiovascolare.

Anche la retinopatia deve essere tenuta sotto controllo: infatti, nel caso in cui sia presente una retinopatia diabetica, la riduzione dei valori glicemici necessaria per ottenere i target glicemici ideali per la gravidanza, può favorire una rapida evoluzione di questa condizione, quindi bisogna considerare l’eventualità di intervenire con il laser in via preventiva», nota la Torlone. Lo stesso vale per il peso, che ovviamente deve essere riportato nella norma (o quanto più vicino alla norma) prima di iniziare la gravidanza stessa.

La seconda sfida coincide con il II trimestre e il III trimestre e consiste nel garantire un equilibrato e costante ambiente glicemico intrauterino. «Stiamo imparando sempre più cose sull’influsso che l’ambiente intrauterino ha sulla vita futura del bambino», spiega Elisabetta Torlone. Prima della nascita, il feto produce l’insulina necessaria a utilizzare il glucosio che proviene dalla placenta.

«L’equilibrio glicemico materno non deve essere ‘tutto sommato buono’, deve essere costante e ottimale. Picchi iperglicemici postprandiali, soprattutto quelli rilevati un’ora dopo il pasto, raggiungono il feto che è costretto a produrre più insulina, il che facilita un ritmo accelerato di crescita. Per questo occorre che la madre prevenga iperglicemie anche di breve durata, sia attraverso una alimentazione adeguata, sia con una terapia insulinica ottimale». Questo non è affatto facile in quanto nel II e III trimestre la placenta stessa rilascia nell’organismo ormoni che aumentano la glicemia e il fabbisogno insulinico e, in questa fase l’aumento di volume dell’addome, induce modifiche nello stile di vita.
L’appetito va e viene, l’esercizio fisico tende a divenire incostante…

L’aspetto più importante e più complesso del progetto ‘glicemie perfette’ è comunque la terapia insulinica. «In genere, sia in fase di programmazione, sia durante la gravidanza, i medici possono contare su una maggiore collaborazione della paziente», commenta la Torlone, «e questo permette di impostare schemi e monitoraggi più intensivi. Uno schema insulinico ‘fisiologico’ (non certo l’unico esistente) è il seguente: una iniezione di analogo rapido prima dei pasti principali con aggiunta di NPH, quando l’intervallo fra i pasti è superiore alle 4 ore e di un’iniezione di NPH poco prima di andare a letto. Tale schema dovrà essere accompagnato da controlli della glicemia prima dell’assunzione di insulina, a un’ora dal pasto, e magari anche durante la notte. In tutto si può quindi arrivare a 7 iniezioni (se l’analogo rapido non è miscelato con la NPH) e 8 controlli della glicemia al giorno. Uno schema teoricamente possibile e sicuramente meno oneroso potrebbe essere la combinazione analogo rapido + analogo lento in una o due somministrazioni al giorno, ma al momento non abbiamo ancora dati sulla sicurezza nell’uso dell’analogo lento glargina in gravidanza».

Purtroppo non sempre è possibile e semplice raggiungere un perfetto controllo glicemico anche in presenza di una grande motivazione della paziente: è infatti necessario un adeguamento progressivo dello schema e delle dosi dell’insulina. «Ed è possibile che non si riesca con la terapia multi-iniettiva a raggiungerlo», nota la Torlone, che fa parte del Coordinamento del Gruppo di studio Diabete e Gravidanza della Società Italiana di Diabetologia. Al momento la gravidanza è una delle più importanti fra le indicazioni specifiche del microinfusore. «La terapia con microinfusore è consigliata in tutte quelle situazioni in cui è necessario ottenere un equilibrio glicemico perfetto e non si riesce a raggiungere questo obiettivo con la classica terapia con iniezioni», spiega la Torlone.

Il microinfusore è un apparecchio dotato di un computer programmabile, un motore di precisione, un pistone e una cartuccia (o reservoir) che contiene insulina. Con movimenti impercettibili governati dal computer, il motore fa avanzare il pistone che spinge l’insulina contenuta nella cartuccia verso un tubicino flessibile, il catetere. Il catetere termina con una agocannula inserita nel tessuto sottocutaneo solitamente dell’addome.

Seguendo le impostazioni ricevute, il microinfusore ‘mima’ la funzione del pancreas attraverso una ‘velocità di infusione basale’ nelle 24 ore e un bolo insulinico al momento dei pasti: in pratica attraverso l’infusore vengono liberate nell’organismo minime quantità di insulina centinaia di volte al giorno assicurando, appunto, una insulinizzazione ‘basale’, cui si aggiungono ‘boli’, ovvero quantità di insulina ‘iniettate’ per coprire i pasti o per correggere velocemente delle iperglicemie.

Il microinfusore non è solo un altro modo di iniettare insulina, il suo utilizzo richiede un team altamente specializzato e un approccio diverso al paziente che deve imparare cose nuove, acquisire nuove abitudini e in fondo abituarsi anche alla libertà di azione e all’autonomia che il microinfusore consente. La terapia con microinfusore non permette solo al diabetologo di impostare schemi insulinici più fisiologici ma anche alla donna di adeguarli alla complessa quotidianità della gravidanza. Pensiamo alle nausee che caratterizzano il I trimestre e costringono spesso a rimandare o interrompere un pasto.

Noi consigliamo alle pazienti di impostare il cosiddetto bolo a onda doppia, nel quale una parte del dosaggio insulinico previsto viene infuso prima del pasto e una parte durante, con un altro bolo prolungato a seconda della tipologia di pasto.

La terapia con microinfusore è associata a un minor numero e a una più breve durata di ipoglicemie, «il che è positivo visto che sono state riscontrate associazioni fra lunghe ipoglicemie nella madre e ritardi intellettivi nel bambino», commenta la diabetologa di Perugia, «e permette di raggiungere determinati obiettivi glicemici con una quantità minore di insulina. Inoltre, visto che il fabbisogno di insulina aumenta progressivamente durante tutta la gravidanza, permette di adeguare meglio il dosaggio». Il microinfusore può essere portato durante tutta la gestazione senza nessuna difficoltà, magari applicando la cannula più verso i fianchi che nella parte centrale dell’addome e tenendolo appeso al reggiseno.

La terapia può essere continuata eventualmente anche durante il parto, mentre può essere staccato per alcune ore dopo il parto quando interviene una fase nella quale il fabbisogno di insulina si riduce drasticamente.

E dopo? «Molte donne che magari lo avevano accettato come strumento temporaneo, chiedono di poterlo tenere», conclude Elisabetta Torlone, «in quanto le può aiutare a gestire una fase non meno importante sotto il profilo glicemico come l’allattamento, quando è necessaria ancora maggiore flessibilità».

 

 

Elisabetta Torlone,
diabetologa presso il DIMI, Sezione Medicina Interna, Scienze Endocrine e Metaboliche dell’Università di Perugia. Membro del Coordinamento del Gruppo di Studio Diabete e Gravidanza della Società Italiana di Diabetologia. Consulente presso la Clinica Ostetrica e Ginecologica dell’Università di Perugia per “Diabete e Gravidanza”.

1 luglio 2006

da www.microinfusori.it