Diabete: vita migliore con i trapianti di cellule

Studio del S. Raffaele di Milano: l’infusione di “isole” pancreatiche protegge dal rischio cardiovascolare

 

S’avvicina il giorno che il trapianto di cellule pancreatiche soppianterà quello dell’organo completo. È notizia dei giorni scorsi, pubblicata sul numero di aprile della rivista scientifica ” Diabetes Care”, che l’infusione di cellule pancreatiche in diabetici insulinodipendenti , oltre ad essere una valida alternativa al trapianto tradizionale, protegge anche dal rischio cardiovascolare, cui sono esposti questi pazienti, con conseguente aumento della loro aspettativa di vita.

La buona notizia, che riguarda direttamente 150-200 mila malati, stimandosi tra i 300 e i 400 mila i diabetici italiani insulinodipendenti e colpendo le complicanze cardiovascolari della malattia più di un diabetico su due, viene dallo studio di un gruppo di ricercatori dell’Istituto Scientifico San Raffaele, di Milano, effettuato in collaborazione con gli atenei di Varese e dell’Aquila. Non si tratta solo di un’ ulteriore convalida del trapianto di cellule pancreatiche, ma anche del presupposto scientifico di una più ampia diffusione di questo tipo di trapianto che avrà importanti riflessi sulla riduzione dei costi sociali della malattia, essendo il diabete, come dice il professor Antonio Secchi, responsabile del Programma di Ricerca Strategica del Trapianto, del S. Raffaele, «la patologia con la mortalità cardiovascolare più alta in assoluto e che rappresenta la causa di cecità più elevata nel mondo occidentale».

Ma vediamo cos’è emerso dallo studio del San Raffaele. I ricercatori hanno sottoposto a trapianto di cellule pancreatiche tecnica introdotta in Italia per la prima volta proprio al San Raffaele nell’89 , e che consiste nell’infondere nel fegato cellule pancreatiche prelevate dal pancreas di un donatore deceduto 34 diabetici, tutti già sottoposti a trapianto di rene. Su 21 il trapianto ha avuto successo, mentre sugli altri non ha funzionato. Questo significa che il trapianto di cellule pancreatiche non è per tutti? «Non esattamente», dice il professor Secchi: «Nel 20-30 per cento dei casi le cellule trapiantate non funzionano a causa di un mancato attecchimento o di un rigetto».

Ma quel che interessa di più è quanto è risultato, a distanza, dal followup dei trapiantati. A quattro anni dal trapianto, la sopravvivenza è del 100 per 100 ed a 7 è ancora del 90. Per farsi un’idea del salto di qualità realizzato, basta considerare che normalmente il diabete riduce l’aspettativa di vita di circa 25 anni e che nel paziente in dialisi per attenerci alla tipologia di malati di cui stiamo trattando la sopravvivenza a 7 anni dall’inizio della dialisi è soltanto del 37 per cento. Il trapianto di cellule pancreatiche ha anche drasticamente abbassato la mortalità cardiovascolare che nei 21 pazienti del San Raffaele nei quali ha attecchito ha fatto registrare un solo caso contro i 4 che si sono verificati nel gruppo di pazienti in cui il trapianto non aveva funzionato.

E per il futuro si prospettano numeri ancora migliori. «Se teniamo conto che questi risultati si sono ottenuti in pazienti già debilitati dalla dialisi», dice in proposito Secchi , «è ragionevole prevedere risultati anche più soddisfacenti estendendo la pratica ai diabetici che non sono ancora insufficienti renali».

Il trapianto di cellule è una semplice procedura d’infusione che si fa in anestesia locale, sotto controllo radiologico continuo, e con una degenza di 23 giorni, al massimo. In Italia si fa per ora solo al San Raffaele, dove, dall’89 ad oggi, sono stati eseguiti 60 trapianti. L’intervento è rimborsato dalla Regione.

 

 

 

di Daniele Diena

da Supplemento Salute di Repubblica

10 aprile 2003